Appena uscito, Avatar: la via dell’acqua è stato subito riconosciuto un capolavoro, una di quelle opere che solo l’uomo dei record come Cameron avrebbe potuto ideare. Entri in sala e ti ritrovi catapultato in un mondo incredibilmente realistico, bello, vivo e dinamico: Pandora, una luna dotata di un meraviglioso ecosistema, così simile alla Terra nei sui tempi migliori, che si staglia minuscola dinanzi al gigante gassoso Polifemo, quasi affine a un’isola caraibica e all’immenso continente alle sue spalle.
La vita dei suoi abitati, i Na’vi, viene sconvolta dall’arrivo di una specie aliena, invasiva, i terrestri: una piaga che, dopo aver guastato irrimediabilmente la Terra, portandola alla crisi ambientale, ha cominciato a infettare Pandora, minacciando il suo affascinante biosistema.

La crisi che affligge l’umanità, ha portato alla prima missione su Pandora, un pianeta ospitale, abbondante di risorse, un riflesso del Nuovo Mondo di Cristoforo Colombo, il genovese che, nel 1492, aprì ai castigliani le porte di una nuova fonte di ricchezze, una terra da conquistare: l’ideale per una società appena uscita dalla Reconquista (la crociata dei regni iberico-cristiani ai danni dei musulmani di Spagna, i “mori”), carica di valori militari, particolarmente avvezza alla guerra e alla migrazione (la Reconquista fu anche un grande movimento migratorio verso il sud della Penisola Iberica); una società proveniente da una terra arida, poco adatta all’agricoltura, adibita più all’allevamento ovino transumante e, soprattutto, povera di metalli.

Lo sviluppo della tecnologia e delle conoscenze diedero a Colombo la forza di superare l’Atlantico, di raggiungere le Indie, un grande deposito di beni per l’Occidente. Mentre Colombo desiderava stabilire relazioni e far fiorire il commercio; gli spagnoli erano più interessati all’oro, alle spezie e all’evangelizzazione dei cosiddetti “indios”, talvolta docili, talvolta ostili. Inutile istruirli e insegnargli la lingua se, come nota la dottoressa Weaver nel film, “contro di loro si usano i mitra“. Solo pochi assennati rifiutano la rapacità di chi punta soltanto a razziare, calpestando qualunque cosa gli si pari davanti, pur di raggiungere i nuovi “oro e spezie“, il prezioso Unobtainium e la flora, dotata di sostanze utili alla fabbricazione di medicinali ed elisir di lunga vita.

Ciò spinge la compagnia RDA a finanziare spedizioni interplanetarie, con l’obiettivo di sfruttare le miniere e rivendere il materiale a caro prezzo. E’ questo a finanziare i viaggi spaziali e le attività della ditta su Pandora, proprio come i metalli e le spezie, la cui vendita era capace di generare profitti che andavano oltre il 300%, finanziavano le spedizioni trans-oceaniche verso le Americhe e l’Estremo Oriente, specialmente le Isole delle Spezie.

Nel Vecchio Continente si formavano Compagnie privilegiate, cui i governi concedevano monopoli di commercio su determinate aree del globo e la possibilità di combattere in specifici casi. Come una sorta di erede della VOC (Compagnia Olandese delle Indie Orientali) o della controparte inglese, l’RDA si è recata su Pandora allo scopo di accaparrarsi le risorse. Le Compagnie entravano in contatto con i nativi, cercando di stabilire relazioni, ma presto si passava ad approcci violenti, all’uso delle armi, così come farà la loro collega immaginaria nello spazio.

Sia gli europei dell’epoca delle grandi esplorazioni geografiche che i terrestri di Avatar hanno considerato le popolazioni autoctone come selvagge, inferiori, in un modo o nell’altro da sottomettere. E similmente alle grandi aziende occidentali, anche l’RDA si è resa responsabile del disboscamento e dell’annientamento della biodiversità locale, al fine di costruire le proprie infrastrutture, un po’ come la United Fruit in America Latina.

Non si pensava che a sfruttare i territori in cui ci si installava. Al pari delle piante di Pandora, si credeva che le spezie delle Molucche potessero essere usate come medicinali. I terrestri di Cameron stabiliscono basi sul satellite; gli europei sulle coste dei continenti e degli arcipelaghi toccati. La base della RDA diventa una sorta di Forte Navidad, l’insediamento costruito dagli spagnoli guidati da Colombo, distrutto dai nativi di Hispaniola in seguito alle molestie subite. La principessa na’vi, Neytiri promuove la rivolta, come Anacaona contro i castigliani.

I Na’vi rifiutano l’ultimatum, nessun requerimento (il testo che gli spagnoli leggevano ai nativi, in cui gli proponevano di asservirsi o assaggiare la spada) è accettabile. Si ritrovano a dover combattere i terrestri, stanchi di aspettare e desiderosi di mettere le mani su una nuova Potosì, o una specie di Tenochtitlan. Accertatisi della presenza di immense quantità di metallo prezioso, gli spagnoli di Cortes presero la città messicana, capitale del cosiddetto impero Azteco, arraffando un’immensa fortuna. A questi due luoghi (la ricca Tenochtitlan e l’immenso giacimento di argento peruviano di Potosì), somiglia l’Albero Casa di Pandora, nel cui sottosuolo riposa un enorme quantità di Unobtainium. E così come Tenochtitlan è stata rasa al suolo e data alle fiamme, l’Albero Casa verrà abbattuto da uomini accecati dalla cupidigia e da un’irrefrenabile furia sterminatrice.

Alla fine del primo film gli umani hanno subito una dura sconfitta, ma l’invasione è appena iniziata e “La Via dell’Acqua” ce ne darà la prova. Altre luci si scorgono nel cielo. Altre flotte sono arrivate. Uno scenario visto così tante volte sulla Terra. I nativi lo sapevano: le luci che fluttuavano sul mare, nella notte, erano sinonimo di guai. Le devastazioni che seguivano lo sbarco portavano le tribù a migrare; l’alternativa era spesso la morte o la schiavitù di fatto. Così anche la famiglia di Jake Sully dovrà presto lasciare la sua casa.
Questo nuovo Gonzalo Guerrero, si è oramai integrato nella società nativa della foresta, gli Omaticaya; ha combattuto e continua a combattere gli invasori, che proseguono la presa di possesso della terra, importando le costruzioni della madrepatria, non diversamente dai loro antenati. Ma la sua permanenza nella foresta è giunta al termine.

Il secondo film, ci trasporta in un ambiente radicalmente diverso, dominato dall’acqua. Una regione dai tratti tropicali, polinesiani, dove i Sully troveranno ospitalità presso i popoli del mare, ricalcando anche solo in minima parte i passi di Christian Fletcher, l’ammutinato del Bounty che, innamoratosi della piacevole vita tahitiana e di una donna dell’isola, aveva disertato pur di vivere coi polinesiani e gli altri suoi seguaci, fuggendo, poi, a Pitcairn, insieme alla sua sposa, per evitare di essere catturato da una nave inglese, che lo avrebbe portato dritto sul patibolo.

A dominare il mare di Pandora sono i mastodontici tulkun, creature simili a cetacei, coi quali condividono il triste destino: essere cacciati per una sostanza contenuta nei loro crani. Se i balenieri della Terra battevano gli oceani alla ricerca di spermaceti, venduto come combustibile per le lampade a olio, i loro eredi navigano alla ricerca dell’amrita, una sostanza capace di fermare l’invecchiamento umano. Come i loro colleghi, i balenieri di Pandora attaccano i cetacei arpionandoli e sfiancandoli, per poi catturarli in sicurezza ed estrarre la preziosa sostanza dal capo, gettando via tutto il resto. Questa pratica si pone in netto contrasto con la cultura autoctona, la quale rigetta la mancanza di rispetto verso tali creature, similmente ai maori neozelandesi, cui Cameron ha ampiamente attinto.

Uno di questi tulkun, Payakan, pare quasi un alter ego di Mocha Dick e della sua controparte fantastica, Moby Dick, il capodoglio capace di sopravvivere a parecchi attacchi dei balenieri e di distruggerne le imbarcazioni. E non di meno ricorda il responsabile dell’affondamento dell’Essex. Tulkun e Popoli del Mare sono legati. I Metkayina ricordano molto i Maori, non solo nei tatuaggi, ma anche nel legame con i cetacei, che consideravano protettori dei naviganti.

Proprio come gli europei di epoca moderna, i terrestri dell’universo Avatar sono partiti da una patria ormai povera, sciamando su Pandora, un Eden tutto da sfruttare, abitato dai “selvaggi” Na’vi, creature, per gli invasori, non meritevoli di diritti, ma degne di essere annientate insieme all’ambiente da loro abitato; difese solo da alcuni scienziati, per certi versi eredi dei frati Las Casas e Montesinos, sostenitori dei diritti dei nativi al tempo della colonizzazione spagnola. Così Cameron traspone su grande schermo una storia fantastica, la storia di una luna, dei suoi abitanti, della sua biosfera e del traumatico contatto, troppe volte già visto.