Gonzalo Guerrero: il Conquistador che diventò un Maya

Molti uomini, dalla scoperta del Nuovo Mondo, si trasferirono nelle Antille desiderosi di cambiare vita. Le prime carte rappresentanti le nuove terre presero presto a circolare in Europa, diventando obsolete nel giro di pochi mesi e venendo puntualmente rimpiazzate da altre più aggiornate, con nuovi spazi bianchi ancora da riempire. La conoscenza sulle popolazioni delle Indie si rinnovava giorno dopo giorno: molti popoli abitavano le isole e la terraferma recentemente scoperta, di loro si raccontavano le storie più disparate; alcuni indios parlavano di un grande regno situato nell’entroterra messicano, ricco e prospero. Gli spagnoli, avidi di fortune, non si fecero attendere. Il 18 febbraio 1519 Hernàn Cortés parte alla volta dello Yucatan, la grande penisola abitata dalle popolazioni maya.

La prima terra su cui mise piede fu l’Isola di Cozumel. Qui i nativi gli riferirono di alcuni bianchi barbuti che abitavano la terraferma. Inizialmente si pensò a uomini perduti dalle precedenti spedizioni di Hernandez e Grijalva, magari fatti prigionieri da qualche tribù nascosta nell’inestricabile foresta. Cortés, incuriosito, mandò un suo fedele luogotenente, Diego de Ordaz, sulla costa del continente per riscattare i prigionieri spagnoli. Questa piccola ambasciata restò alla fonda per qualche giorno, fece consegnare una lettera e delle perline agli indiani che abitavano la provincia, ma non ottennero risposta, così tornarono rassegnati a Cozumel. Poco dopo alcune canoe si fecero avanti, attraversando lo stretto canale; sulla costa un uomo proveniente dall’entroterra si fece avanti, ripeteva di essere castigliano e cristiano:

Si chiamava Gerónimo de Aguilar

Quest’infelice incognito non mostravasi niente diverso dagli Americani, essendo nudo com’essi, e della lor tinta, e co’ suoi capelli intrecciati d’intorno alla testa; e portando ancor egli una mazza sulla spalla, un arco in mano, lo scudo, e le frecce sul dorso, e una tal rete in forma di sacco, in cui erano le sue provvisioni di viveri, con due orologi a polvere ch’egli s’era mai sempre conservati per misurar il tempo negli esercizi della sua religione”.

La sua prima domanda fu quale giorno fosse. Difficilmente fu compreso in quanto non ricordava perfettamente la sua lingua madre e vi frapponeva termini maya. Cortes lo abbracciò, gli prestò il suo mantello con gran calore e si fece raccontare la sua storia. Era il 13 marzo, la prima domenica di Quaresima.

Sotto, ritratto di Geronimo de Aguilar:

Aguilar era nativo di Ecija, cittadina andalusa dove si istruì, prese i voti e dalla quale partì alla volta del Nuovo Mondo. Questi si trovava a Darien al tempo della cacciata di Nicuesa. Dopo questo accadimento Aguilar riprese il mare imbarcandosi sulla caravella di Juan Valdivia.  Mai avrebbe potuto immaginare cosa il destino gli stesse riservando: mentre si dirigeva a Santo Domingo (Hispaniola) fu colta da una di quelle pericolosissime tempeste tropicali e si incagliò nelle secche di Los Alacranes, al largo della costa giamaicana.

Venti uomini si salvarono riunendosi su una scialuppa, andando alla deriva, lasciandosi trasportare dalla corrente di quel mare ancora poco conosciuto. I generi alimentari andarono perduti, la speranza di raggiungere le coste cubane si scontrava con la disperazione data dalla fame e dalla sete che la calura tropicale e la salsedine accentuavano enormemente. Vagarono tredici giorni per il mare, in balia delle onde, torturati da ogni sorta di disagio, bevendo la propria urina e cibandosi dei cadaveri.

Sette di loro morirono di stenti

La fortuna sembrò finalmente volgere verso di loro quando per grazia divina avvistarono terra. Approdarono vicino a Cabo Catoche, dove si imbatterono in una popolazione locale. Le speranze di salvezza svanirono in un attimo: la barca fu distrutta, gli spagnoli arrestati, chiusi in una gabbia di legno e messi all’ingrasso. Presto Valdivia e quattro compagni furono presi e immolati agli idoli dei locali, in una cerimonia culminata col consumo della carne dei sacrificati.

Presto si tenne un grande banchetto, in cui la carne delle vittime venne servita come portata principale

Aguilar e gli altri furono lasciati nella grossa gabbia dove sarebbero dovuti rimanere, continuamente serviti, in attesa della prossima cerimonia. I naufraghi, dopo aver visto la scena della precedente notte rifiutarono di mangiare, il ricordo di quella scena cruenta scosse profondamente i loro animi; sapevano che rimanere lì significava solo una cosa, la morte. Così, una volta calate le tenebre, in qualche modo ruppero le sbarre e riuscirono a scappare nella foresta.

Lo spavento dei sopravviventi può essere più presto immaginato che descritto: i loro cuori si agghiacciarono, quando udirono gli urli selvaggi di que’ barbari sulle loro vittime, e le grida orribili nel caldo della gozzoviglia e delle loro antropofaghe e immani orge; cosicché d’allora in poi i miseri prigioni rifiutavano con orrore il cibo che loro veniva posto innanzi in quantità, all’idea che questo fosse loro dato a solo oggetto d’ingrassarli per un futuro banchetto“.

Per diversi giorni si nutrirono di erbe e radici, fino a quando non incontrarono alcuni nativi americani. Questi gli portarono al cospetto di un Cacique (capo) nemico dell’altro, che si contentò di prenderli come schiavi. Dopo parecchio tempo passato sopportando immani fatiche, di quel gruppo rimasero solo due:

Geronimo de Aguilar e Gonzalo Guerrero

I due trascorsero i loro giorni presso questa nuova tribù; Aguilar non abbandonò mai le sue origini, la sua cultura, dando prova di irriducibili fede e castità, Guerrero al contrario preferì integrarsi, sposare un’americana e metter su famiglia. I signorotti della regione erano continuamente in guerra tra loro, e Guerrero non perse occasione per farsi notare e mettere a disposizione del capo le sue abilità belliche europee. Ottenne così il comando di un esercito, con gran disappunto degli altri signori che pretendevano il loro sacrificio. Per questo mossero guerra, andando tuttavia incontro solo a una cocente sconfitta operata delle capacità dello spagnolo.

Gli anni passarono, e giunse un giorno in cui arrivò la notizia dello sbarco di un gruppo di stranieri provenienti dal mare. Aguilar stentava a crederci, era l’occasione che aspettava da tempo, poteva finalmente tornare dai suoi compatrioti; Guerrero, invece, non era della stessa idea, rifiutò l’offerta preferendo la sua nuova casa.

Una Statua di Guerrero. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:

Nonostante i servizi resi al suo padrone, Aguilar rimase sempre ridotto alle sue condizioni di schiavo. Meno audace del suo compatriota Gonzalo Guerrero, incapace di sposarsi a causa degli ordini sacri che aveva ricevuto, e con la sua mente sempre fissa sulla speranza che aveva di tornare un giorno alla vita civile, quell’uomo, mezzo ecclesiastico e mezzo soldato, mai cercò di uscire dalla sua umile condizione. Un giorno la vita dello schiavo ricevette una scossa straordinaria. In tutta quella terra si diffuse una voce confusa riguardante uomini bianchi e barbuti, venuti su grandi canoe, che sbarcavano sulla costa. Il cuore di Aguilar batteva di gioia, perché capiva che erano i suoi compatrioti, che, senza dubbio, avevano appena scoperto la terra dei Maya. Ma quando stava ancora intrattenendosi in un modo per incontrarli, arrivò la triste notizia che gli stranieri erano tornati per imbarcarsi e sparire”.

Doveva trattarsi della spedizione di Hernandez de Cordova; due anni dopo tuttavia fu raggiunto dall’ambasciata di Cortes, la quale portava i doni per ottenere la liberazione dei due.

Solo Aguilar accetterà di buon grado l’offerta

Guerrero ormai si era adattato alle costumanze della sua nuova patria, portava gli ornamenti americani, aveva il corpo pitturato e le mutilazioni rituali, vestiva e viveva come loro, aveva una moglie e tre figli che adorava più della sua stessa vita; lesse la lettera e rispose che se fosse andato gli spagnoli avrebbero riso di lui; non poteva lamentarsi della fortuna ottenuta nel villaggio di Chetemal. Aguilar, scosso, lo rimproverò di questa scelta, perdere la sua anima per un’indiana. Guerrero era deciso, non voleva abbandonare la sua famiglia e la sua casa, oltretutto era divenuto un principe, dopo aver sposato la figlia del capo, e non era intenzionato a lasciare il suo status per quello di avventuriero in cerca di fortuna. Solo Aguilar tornerà sotto le braccia della corona spagnola, unendosi al conquistatore e diventando suo interprete.

Guerrero, ormai divenuto un vero e proprio americano, combatté a fianco dei Maya contro i Conquistadores, tentando di organizzare le difese dei nativi contro l’invincibile potenza degli spagnoli. Dopo molti anni di combattimenti morì in Honduras nel 1536, durante una battaglia contro il capitano Lorenzo di Godoy, venendo trafitto in pancia con una freccia.

Questa piccola storia si colloca agli inizi della colonizzazione del Messico: Hernandez de Cordova e Juan de Grijalva tra il 1517 e il 1518 prepararono il terreno per la venuta di Cortez. La superiorità organizzativa e tecnologica impressionarono non poco i nativi; in Messico iniziavano a serpeggiare le prime dicerie sulla futura distruzione delle civiltà amerinde. Una cosa risultava evidente, anche solo dopo pochi incontri: gli spagnoli si sarebbero presto imposti come nuovi signori, spodestando i capi locali e annientando uno dei più grandi imperi d’America, l’impero mexicano.

Fonti: Archive.org 1, Archive.org 2, Archive.org 3, Archive.org 4.

Sotto, il documentario “Between Two Worlds: The Story of Gonzalo Guerrero”, da cui sono tratte le immagini di questo articolo:


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