Il mito dell’El Dorado: storia di un’incessante ricerca dell’oro

Ci sono molte spezie e miniere d’oro… [I nativi] non hanno… armi”. Questa è una delle prime immagini che ci vengono dal Nuovo Mondo, quando Cristoforo Colombo tornò in Europa dalla prima spedizione, tra il 1492 e il 1493. In Spagna era appena terminata la reconquista; Granada era stata presa poco prima della partenza del genovese e ora si poteva volgere l’attenzione in altre direzioni, ad esempio a ovest, dove la Corona castigliana era intenzionata a raccogliere quante più ricchezze possibile, così come testimoniato dalle Capitolazioni di Santa Fé.

L’obiettivo iniziale era l’Asia, il Cipango, le ricche terre narrate da Marco Polo e John Mandeville, la dimora del ricchissimo Prete Gianni; e chissà, magari ci sarebbero arrivati se in mezzo all’Oceano non si fosse trovato un altro continente, l’America. Ma alla fine che fosse l’uno o l’altro contava fino a un certo punto.

L’importante era arricchirsi; avere un continente tutto per sé doveva essere anche meglio

Difatti, la bramosia d’oro non si fece attendere. I conquistadores, di solito poveri hidalgos e figli cadetti di importanti famiglie, abituati alla guerra e alla ricerca del bottino, presero a imbarcarsi sulle navi dirette nel Nuovo Mondo. Fin da subito i castigliani si riversarono lì in cerca di fortune, occupandosi prima delle isole, poi del continente, da cui cominciavano ad arrivare notizie di terre ricche d’oro. Notizie che spingeranno il conquistador Hernan Cortes ad addentrarsi fino al centro del Messico e conquistare la grande metropoli Tenochtitlan.

Siamo venuti per servire Dio, il Re e anche per diventare ricchi”, forse più per diventare ricchi. Intanto, più a sud, nell’Istmo di Panama, avevano già cominciato a circolare notizie di fiumi e montagne ricche d’oro; Vasco Nunez de Balboa verrà a conoscenza di un Paese, a sud, in cui abbondava il metallo prezioso: forse riferendosi al cosiddetto impero inca. Pasqual de Andagoya si dirigerà verso l’area del Golfo di San Miguel, dove raccoglierà notizie sulla bellicosa e popolosa provincia meridionale del Birù. Le informazioni su una terra ricca d’oro c’erano; mancava qualcuno deciso a conquistare quelle regioni. Quel qualcuno sarà Francisco Pizarro, che, ispirato dalle novità giunte dal Messico a proposito del grande regno e delle immense ricchezze arraffate da Cortes, si impegnerà a guidare la conquista del Sud.

La conquista di Tenochtitlan, quadro del XVII secolo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Anche nel cuore del continente sudamericano le società autoctone erano a conoscenza dei quechua e delle loro ricchezze. La prosperità degli inca era impressionante: basti pensare alla storie delle tre stanze riempite d’oro e argento per la liberazione di Atahualpa, alle grandi quantità di stoviglie, alle imponenti statue in oro da lui possedute e alle numerose miniere che si diceva controllassero. L’oro aveva un gran valore votivo e ornamentale per gli indigeni, ma per gli spagnoli era il sogno di una vita. Le storia sulle ricchezze del Messico e del Perù infiammeranno gli animi dei conquistatori. Altrove doveva pur trovarsi un altro regno mirabile.

Intanto, in Europa era già stato eletto imperatore Carlo V, che si ritrovò a governare i domini ereditari asburgici dell’Europa centrale e l’Impero spagnolo. Il suo regno fu caratterizzato da spese importanti, che lo costrinsero a chiedere prestiti alle famiglie di banchieri, tra cui figuravano i tedeschi Welser, i quali lo aiutarono anche nell’elezione imperiale. Proprio i Welser otterranno, dall’imperatore, al posto della restituzione del denaro, una concessione di terra in Venezuela. Era il 1528. L’anno dopo Pizarro riceverà il permesso regio di conquistare il Perù (Capitolazione di Toledo). Diverse pedine iniziavano a muoversi, minacciando le popolazioni sudamericane.

Subito, i tedeschi inviarono a Coro una spedizione guidata da Ambrosius Ehinger, il quale prese a esplorare la regione tra Coro e Maracaibo, dove raccoglierà informazioni circa una popolazione che forniva, dagli altopiani interni, l’oro alle popolazioni costiere. Successivamente sarà Nicolaus Federmann, altro personaggio vicino ai Welser, a inoltrarsi nel Venezuela, incontrando tribù di coltivatori di mais e di pescatori, dalle quali raccolse notizie di popolazioni ricche d’oro e smeraldi. La marcia si svolse, come di consueto, tra mille difficoltà: attacchi degli indigeni (che iniziavano a essere sterminati, anche dalle malattie europee) e dei grandi predatori della foresta, la calura, l’umidità, la fatica, la fame, gli insetti e le febbri tropicali. Erano iniziati gli anni ’30 del XVI secolo.

I conquistatori Tedeschi. Immagine di Hieronymus Köler (XVI secolo) – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

I pericoli delle foreste tropicali, nonostante tutto, non fermarono i conquistatori, ormai accecati dalla speranza di trovare un regno dell’oro, che li avrebbe resi immensamente ricchi. A sud di Maracaibo, nelle aree aperte, sorgevano villaggi con un centinaio di capanne, riforniti d’oro e sale da una popolazione detta Xerira. Ehinger guiderà un’altra spedizione alla ricerca di questa tribù, arrivando al fiume Magdalena e alla città-mercato di Tamalameque. Raccoglierà una grande quantità d’oro, che affiderà al fidato Vascuna, il quale, morto a causa di un attacco indigeno, perderà il tesoro, dopo averlo sepolto sotto un albero. A causa di una freccia avvelenata morirà lo stesso Ehinger, intento a tornare a Coro.

Intanto, in Spagna arrivava l’oro peruviano, talmente cospicuo e talmente bello da spingere i tedeschi a inviare a Coro George Hohermuth de Spira, il quale si spingerà quasi sino al ricco villaggio muisca di Sogamoso, sede di uno splendido tempio. Purtroppo per lui, non riuscirà a raggiungerlo, fermato dall’incapacità di trovare un passo accessibile sulle montagne. Gli europei si stavano avvicinando al luogo d’origine dell’El Dorado. Anche de Spira tornerà sconfitto, logoro e stremato. I morti di queste spedizioni furono centinaia tra gli europei. Incalcolabili quelli fra gli indigeni.

Mentre Spira era in viaggio, Federmann, risoluto nel trovare la sua fortuna, era partito, incontrando, tra l’altro, i sopravvissuti della spedizione di Diego de Ordaz (compagno di Cortes), il quale mentre cercava di risalire l’Orinoco (percorso negli anni ’80 e ’90 del XVI secolo da Antonio de Berrio e Walter Raleigh) incontrò dei nativi che gli parlarono dell’oro del Rio Meta, cercato poi da Ortal. Intanto altri conquistadores erano partiti: Gonzalo Jimenez de Quesada (da Santa Marta) e Sebastian de Belalcazar (da Quito). Tutti cercavano l’oro. E tradizionalmente si attribuisce proprio a Belalcazar il primo uso del nome El indio Dorado, dopo aver ricevuto la notizia, da un nativo dell’entroterra, circa un capo che si cospargeva di polvere d’oro da capo a piedi, prima di immergersi in un lago, dove gettava oggetti votivi in oro; il termine El Dorado, tuttavia, pare fosse usato già prima e per indicare luoghi ricchi d’oro. Nel 1539, Federmann, Quesada e Belalcazar arrivarono nei pressi di Bogotà, la casa dell’El Dorado, la quale, dopo essersi accordato con gli altri due, verrà conquistata da Quesada, che razzierà templi e case senza minimo scrupolo.

Ricostruzione del Tempio del Sole di Sogamoso (Colombia) – Foto di Aizquier – Immagine sotto licenza Creative Commons Attribution 1.0 Generic via Wikipedia

Sull’altopiano di Cundinamarca viveva una popolazione formata da varie tribù, comunemente note come chibcha o muisca. Queste società erano dedite a guerra, commercio e agricoltura. Coltivavano mais e patate; erano governate da capi in disputa tra loro (i principali erano lo Zipa e lo Zaque). Vivevano in villaggi di capanne e si dedicavano al commercio, mediante il quale si procuravano, scambiandolo con una merce ancora più importante (il sale, ma anche gli smeraldi e altri prodotti), l’oro dalle tribù vicine, che a loro volta lo raccoglievano dai fiumi. Quella dei chibcha non era una terra ricca d’oro. Dopo averlo acquistato, lo fondevano e ne ricavavano splendidi oggetti ornamentali e votivi.

Il “vero” El Dorado, inteso come il luogo d’origine dell’Indio Dorado era stato conquistato, ma non era abbastanza. Doveva essercene un altro, magari a sud, in Amazzonia, dove un certo Pineda era andato alla ricerca del tesoro degli inca, trovando, invece, un Paese della cannella, verso il quale si dirigerà Gonzalo Pizarro, che, arrivato nell’area del Rio Napo, raccoglierà notizie su un popolo ricco d’oro. Alla spedizione di Gonzalo partecipò anche Francisco de Orellana. Il Paese della cannella si rivelò una regione povera, per cui gli esploratori opteranno per proseguire, dividendosi in due gruppi: uno a terra guidato da Gonzalo e uno sul fiume, a bordo di un brigantino, guidato da Orellana. Il secondo ricevette l’ordine di andare avanti e tornare qualora avessero trovato qualcosa. Ma percorrere quei fiumi controcorrente era impossibile. Orellana entrò, così, nel Rio delle Amazzoni. Qui, tuttavia, pareva non esserci la ben che minima traccia di una città d’oro, bensì solo capanne col tetto d’un bianco splendente e informazioni su un regno dell’oro abitato da donne guerriere. Arrivato alla foce del fiume, decise di tornare in Spagna e ottenere il permesso per un’altra spedizione, ma morirà poco dopo. Gonzalo Pizarro, dal canto suo, era tornato a Quito. La vita nella foresta era impossibile per lui.

Villaggio Omagua – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Del regno delle Amazzoni sentì parlare anche Philipp von Hutten (il quale aveva partecipato alla spedizione de Spira), il quale andrà in Amazzonia, alla ricerca dell’oro, che stavolta doveva trovarsi nel territorio degli Omagua, dove scorgerà una grande città, prima di essere cacciato dagli indigeni. L’Eldorado si spostava. Da Cundinamarca adesso era ubicato nel cuore foresta pluviale. Ed è proprio qui che si avventurerà Pedro de Ursua.

L’Amazzonia era, in fondo, il luogo perfetto in cui poteva nascondersi una ricca città d’oro

Era un luogo misterioso, quasi impenetrabile, un labirinto di fiumi e alberi in cui risultava difficile orientarsi. La ricerca della regno dell’oro porterà spesso i cercatori alla rovina. L’oro spesso si trovava, ma con esso anche la morte. Questo, tuttavia, non fermerà le ricerche, che continuano ancora oggi, di questo luogo leggendario, diventato un po’ il simbolo dell’avidità umana, identificato via via con posti sempre nuovi.

Un’imbarcazione muisca in oro – Fotografia di Pedro Szekely Immagine sotto licenza CC BY-SA 2.0 via Wikipedia

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