La Gran Carovana “Il Cairo-La Mecca”: il Pellegrinaggio attraverso il Deserto

Il Cairo, città ricca di moschee, giardini, palazzi, una metropoli multiculturale già nel XVI secolo (vi abitano Armeni, Abissini, Turchi, Mori, Indiani, Persiani, Europei e Arabi), invasa da mercanti di ogni nazione che si incontrano qui per vendere e comprare un’infinità di merci. Un Suq di mille colori e altrettanti profumi si insinua tra le polverose vie della città; piazze e strade traboccanti di gente, che a spintoni cerca di farsi largo fino allo stand successivo.

Questa città è il punto di partenza di un’immensa carovana, una via di pellegrinaggio di fondamentale importanza economica, sociale e culturale, una specie di via della seta tra Egitto e Arabia. Forse la manifestazione religiosa più importante del tempo, il Pellegrinaggio alla Mecca raccoglie, in questo punto del globo, centinaia di migliaia di persone, in un epoca di disordini politici, ma con tradizioni culturali e religiose in grado di riunire le popolazioni più svariate.

Uno dei tanti percorsi di pellegrinaggio. Fonte: British Museum:

Durante la celebrazione del Bairam, festa che sancisce la fine del Ramadan, moltissime persone, asiatiche, berbere, greche, si riversano nella capitale egiziana, pronti a partecipare a uno dei più grandi viaggi del tempo. Ognuno è spinto dalle proprie motivazioni: c’è chi va per devozione, chi per commerciare, altri per passare il tempo. In questi giorni di festa, il Pascià, nel suo castello, convoca il Capitano della Carovana e i suoi ufficiali, ai quali, dopo un solenne cerimoniale, dona degli indumenti, di pregio proporzionale al grado.

Il capo riceve il Chisua Talnabi, di seta con scritta ricamata in oro: “non ci sono dei, ma Dio e il suo ambasciatore Maometto”; essa dovrà essere portato alla Kaaba, il luogo più sacro dell’Islam. Oltre a questo, gli vengono consegnate altre sete di fattura pregiata. Alla fine dell’incontro, il Capitano e il suo seguito di ufficiali e soldati partono seguiti dalla popolazione della città, che forma una grandissima processione. Dal castello vanno verso Birca, a circa un centinaio di chilometri dal Cairo. In questo tragitto gli spettatori lanciano fiori ai protagonisti, urlano e fanno festa. E’ un evento frequentatissimo.

I cammelli procedono altezzosi, ornati d’oro e piccole campanelle. Qui viene montato il campo, dove, per qualche giorno, restano in attesa di coloro che desiderano partecipare al viaggio. Le inondazioni del Nilo hanno creato, in questa regione, un grande stagno dove gli i cammelli e gli altri animali possono abbeverarsi. Ci sono almeno quarantamila tra cammelli, muli e dromedari, e le persone che l’accompagnano, ogni anno, sono circa cinquantamila. L’ultima notte prima della partenza si abbandonano a grandi festeggiamenti, cantano, ballano; i soldati si aggirano tra le tende gridando; abili giocolieri si destreggiano con il fuoco e un forte baccano risuona nella notte di quell’oasi egiziana.

All’alba, al suono di una tromba, iniziano la marcia. Il Gran Signore consegna, ogni viaggio, diciotto borse contenenti 625 ducati d’oro, al capitano, per le spese della carovana e per soddisfare le necessità dei pellegrini. La protezione è assicurata da quattrocento soldati, duecento cavalieri su dromedari e duecento lanceri.

Il capitano non si fa mancare l’ausilio di otto guide che conducono la carovana durante la notte, facendosi strada grazie alle stelle, mandando avanti quattro o cinque uomini che fanno luce con l’ausilio di torce fabbricate con legna secca, così da non andare fuori strada, cosa che se dovesse succedere gli costerebbero talmente tante bastonate sui piedi che ne conserverebbero per sempre il ricordo.

Egli ha a sua disposizione un luogotenente che, insieme ad alcuni soldati, ha l’incarico di mantenere tutti sotto controllo, e far ripartire la carovana dopo le soste. Questi “poliziotti” si spostano da una parte all’altra della carovana per controllare che tutto proceda liscio.

Dodici cammelli trainano sei pezzi d’artiglieria sia per difendersi dai predoni, che per fare un’entrata trionfale alla Mecca. I mercanti portano che se grano, riso, stagno, seta, coralli. Alcuni vendono durante il tragitto, altri alla Mecca.

Un “capo medico”, provvisto di medicine per ogni evenienza, porta vicino a sé i malati, posti su dei cammelli, per non fargli patire la durezza del viaggio. Proprio dietro al medico cammina un dromedario, il più bello che si possa trovare nei domini del Gran Signore, decorato con tessuti in seta e oro, che porta con se un bauletto in legno, senza decorazioni d’oro, simile all’Arca dell’Alleanza dell’Antico Testamento. Al suo interno c’è il Corano, scritto in lettere d’oro, legato tra due tavole d’oro massiccio. L’animale è accompagnato da cantanti e musicisti che non smettono mai di suonare, durante la marcia.

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Seguono altri cammelli adornati da stoffe pregiate, con sacche piene di denaro, abbigliamento e provviste. Lo stendardo del Gran Signore viene portato con fierezza, accompagnato da arcieri e musicisti, seguiti dall’esercito di pellegrini e cammelli. I mercanti procedono costantemente in guardia, preoccupati per i loro beni, mentre i pellegrini tendono a essere più tranquilli, non avendo più di quanto serva.

La carovana procede per quanto possibile lungo il Mar Rosso, in modo da poter concentrare le guardie armate solo da un lato, rendendo la marcia più sicura. Una preda così invitante attirava molti ladri e predoni, che puntavano a fare attacchi veloci e mirati, per accaparrarsi quanto possibile e fuggire nella vastità dell’oceano di sabbia; gli attacchi erano abbastanza frequenti, ma difficilmente si concludevano con bene per loro. Ma questo non era il solo pericolo. La stanchezza, la fame, la sete, gli animali del deserto, le tempeste di sabbia e le malattie erano sempre in agguato.

Sotto, Litografia di un pellegrinaggio. Fonte: British Museum:

Dal Cairo alla Mecca intercorrono quaranta giorni di viaggio. Si viaggia molto e si riposa poco. Camminano dalle due del mattino all’alba, si fermano sino alle nove e riprendono fino al sopraggiungere della notte. Si riposano, ancora, sino alle due e riprendono il ciclo giornaliero. Questo fino alla fine del viaggio, tranne quando giungono nelle fortezze o nei villaggi più importanti, dove si fermano una giornata e mezzo, così da far riprendere gli animali dalla fatica.
Agerut, Nachel e Acba sono i principali centri di rifornimento. Tra essi non si trova acqua. Ma superata questa linea, ogni tanto, ci si può imbattere in qualche pozzo.

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Dopo parecchi giorni e altrettante peripezie giungono finalmente a Iehbir, terra al confine del regno dello Sharif della Mecca, dove vengono accolti dal governatore con gran gioia. Questo posto abbonda di acqua fresca, sorgenti e alte montagne. Qui trovano mercati di datteri, carne e merci varie. I pellegrini possono rinfrescarsi e riposare, dopo una marcia tanto lunga che, certo, basta a espiare qualsiasi peccato.
Il cammino riprende presto, e, a due miglia dalla destinazione, lo sceriffo in persona va ad accoglierli, celebrandoli e offrendo loro un lauto banchetto.

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Finalmente, dopo quaranta giorni di marcia arrivano alla Mecca, dove incontrano altre carovane. La folla supera le 200mila persone e 300mila capi di bestiame.

Tutti insieme passeranno intere giornate ad adempiere ai tradizionali cerimoniali musulmani, e pronti a partecipare a una mastodontica festa, degna di una delle più grandi carovane mai costituite.

Dettaglio di pellegrini. Fonte: British Museum:

Fonte: Richard Hakluyt, The Principal Navigations, Voyages, Traffiques and Discoveries of the English Nation, Vol. IX, Asia, Part. II, Edinburg, EDMUND GOLDSMID, F.R.H.S., 1889.

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