Ancora oggi, nel civilissimo mondo occidentale del XXI secolo, siamo costretti a parlare di episodi di discriminazione, anche violenta, nei confronti di chi non si identifica nei due soli generi – uomo e donna – riconosciuti dalla società. E va bene che abbiamo alle spalle due millenni di indottrinamento religioso che ha escluso qualsiasi espressione della sessualità non destinata alla procreazione, ma questo non è sufficiente a giustificare una chiusura mentale dovuta solo all’ignoranza. Perché basta semplicemente informarsi e leggere qualcosa sull’argomento per comprendere che la storia ci insegna tutt’altro.

Senza ritornare sui diversi costumi sessuali di romani e greci, molto lontani nel tempo, basta allungare un po’ lo sguardo fuori dai nostri confini, per spingerlo nel sud-est asiatico dove, per secoli, la fluidità di genere non ha mai scandalizzato nessuno. O meglio, scandalizzava i viaggiatori occidentali che trovavano incredibile come l’omo/bisessualità fosse non solo tollerata, ma considerata una cosa normale. Dalla Malesia al Borneo all’Indonesia, sono tante le testimonianze di chi arrivava lì e proprio non capiva; giunto in Borneo a metà dell’800, il geologo olandese Carl Schwaner scrive, a proposito dei Dayak, peraltro feroci cacciatori di teste: “Nonostante la loro odiosa vocazione, sfuggono al meritato disprezzo”, mentre un certo Harleland, sempre nel XIX secolo, commenta a proposito degli sciamani: “Vestiti da donne vengono usati nelle loro feste idolatriche e per abomini sodomitici, e molti di loro sono formalmente sposati con altri uomini.”

Sull’isola di Sulawesi, nella montuosa regione centrale, vive un popolo, i Toraja (conosciuti oggi per i loro complessi rituali funebri), che prima del contatto con gli occidentali erano cacciatori di teste, bellicosi e temutissimi. Eppure, in una società che ai nostri occhi può sembrare incentrata sul culto dell’uomo guerriero, c’era libertà di scelta: gli uomini che non si sentivano tali potevano benissimo vivere come donne, dedite alle pratiche religiose, senza per questo essere messi in ridicolo.
Ancora più significativo è il caso del popolo Bugi, che vivono nell’area meridionale di Sulawesi e sono la più numerosa delle tre etnie presenti sull’isola.

I Bugi, nonostante siano una piccola minoranza tra la sterminata popolazione dell’Indonesia, hanno comunque una grande influenza politica nel paese, frutto forse della loro storica propensione alla navigazione e al commercio, attività che non solo li aveva portati a dominare in molte isole dell’Indonesia e della Malesia, ma anche a dare del filo da torcere agli olandesi che, con la loro Compagnia delle Indie Orientali, volevano avere il monopolio degli scambi commerciali nel sud-est asiatico.

I Bugi potrebbero essere d’esempio per quel che riguarda la tolleranza sessuale, anche se tolleranza non è la parola giusta, visto che tra loro rappresenta la norma non distinguere le persone in due soli generi. Ed è una cosa talmente naturale da avere, nella loro lingua, le parole per distinguere cinque generi diversi, ovvero cinque modi di vivere la propria sessualità: makkunrai e oroani corrispondono ai concetti occidentali di donne uomini che si riconoscono nel sesso di nascita. I Calalai nascono con corpi femminili ma assumono ruoli di genere tradizionalmente maschili, che si manifestano anche nell’abbigliamento, nell’acconciatura dei capelli e nel lavoro svolto. I Calabai sono nati con corpi maschili ma assumono ruoli di genere femminile, persone che abbracciano la loro femminilità ma non si considerano donne, né intrappolati in un corpo non loro.
Per i Bugi, come riportato dall’antropologa Sharyn Graham Davies, la sessualità delle persone non può essere ridotta a un binario, ma è piuttosto un ampio spettro dove coesistono varie diversità e complessità, come diversa e complessa è la natura umana.

Il quinto genere è il bissu, che racchiude in sé sia elementi femminili sia maschili: non solo persone che fisicamente sono intersessuali o androgini, ma anche chi – seppure non in maniera fisicamente evidente – riunisce tutti i generi.

I bissu, in realtà, vanno oltre la classificazione di genere, sono esseri spirituali che riuniscono le caratteristiche di maschio e femmina, di esseri mortali e divini, intermediari tra il mondo celeste e quello umano e per questo destinati a diventare sciamani.
La spiegazione è semplice, secondo le parole di un Bugi:
“Non sappiamo se Dio è maschio o femmina,
quindi solo qualcuno che è metà uomo e metà donna può essere posseduto
kadongkokang) e mediare con il mondo degli spiriti”
Durante i riti che celebrano, i bissu devono dimostrare di essere immuni a un coltello cerimoniale chiamato keris, un’arma tipicamente maschile, mentre indossano abiti femminili e fiori.

Prima di tutto questo devono accettare di non sposarsi mai e affrontare un lungo percorso di conoscenza degli antichi riti, dei testi sacri, della magia, tutti elementi che poi consentono di guarire gli ammalati e offrire benedizioni per raccolti, viaggi, matrimoni e ogni aspetto della vita.

Dalla metà del secolo scorso però l’armonia della società bugi ha iniziato a sgretolarsi di fronte alla radicalizzazione dell’islam, la fede abbracciata dalla maggioranza dei Bugi dal 1500/’600 in avanti. Per secoli i Bugi, ma anche altre popolazioni di Indonesia, Malesia e Thailandia, hanno conciliato la nuova fede con la loro plurale percezione di genere.

Quando l’Indonesia diventa una repubblica indipendente, nel 1949, i Bugi, per quanto influenti, sono solo una delle tante etnie presenti nell’arcipelago. Col tempo il ruolo dei bissu viene sempre più emarginato, poi contestato e perseguitato da chi pretendeva di attenersi rigidamente all’insegnamento islamico.
Oggi i bissu si possono contare sulle dita di una mano, mentre anche calabai e calalai affrontano discriminazioni e persecuzioni sempre più violente. I Bugi vedono per loro un futuro cupo, lo spettro dell’omologazione binaria imposto con la forza.
Eppure c’è anche chi ha il coraggio di ribellarsi, come l’antropologo Halilintar Lathief, che ha messo in piedi un’organizzazione volta a preservare le tradizioni bugi. Così, nel corso degli ultimi anni, dopo la paura di essere arrestati o uccisi, molte persone hanno ritrovato il coraggio di mostrarsi per quello sono – bissu, calabai e calalai – perché, come scrive un sito dedicato, “Senza limitazioni di genere, la diversità nelle scelte di vita aumenta in modo esponenziale. Quando le società rimuovono il genere dalla categorizzazione degli esseri umani, le opportunità di accesso diventano allargate e uguali.”