Da sempre ci s’interroga sul significato dei sogni.
Immagini misteriose e spesso incomprese, tradotte in premonitori segni di funesti o, al contrario, favorevoli eventi.
Per uno dei gruppi etnici più noti nel Borneo, gli Iban o Dayak del mare, quello del sogno non è mai stato un fenomeno da prendere tanto alla leggera.
Per gli Iban, in passato noti per la loro agguerrita caccia alle teste, durante il sogno lo spirito della persona, libero dalle restrizioni del corpo fisico, vaga raggiungendo spazi e dimensioni ultraterrene, accedendo a conoscenze ed intuizioni. Un mondo spirituale molto vivo e sentito da queste comunità, tanto da volerne celebrare il racconto per mezzo di un’arte pregiata e antica: quella degli ikat.
Uomini Iban con armi e copricapi
Immagine di Wellcome Images via Wikipedia – licenza CC BY 4.0
Con Ikat s’intende la speciale tecnica di produzione e colorazione dei tessuti, ma anche il tessuto in tal modo prodotto.
Picasso la definì una “tecnica appassionante, trascendentale e di notevole importanza”.
Gli Iban e diverse comunità loro affini, forti delle loro abilità nella tessitura di abiti cerimoniali esclusivamente lavorati a mano, hanno reso i loro Ikat la veste sacra per eccellenza. Un capo divenuto essenziale emblema di ogni fase del ciclo di vita della persona che lo indossava.
Giovani donne Iban indossano il costume tradizionale
Immagine di Matthew Timbang via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0
Era credenza che fosse una dea ad inviare specifici sogni ad ogni membro della comunità, così come i suggerimenti per i disegni da imprimere sui loro magnifici tessuti. Si riteneva infatti che queste stoffe fossero intrise di un potente potere spirituale, capace di proteggere l’anima stessa di chi li indossava. Pertanto gli Ikat erano usati durante tutte le pratiche religiose col compito di mantenere viva l’armonia tra gli spiriti e l’uomo.
Panno rituale degli Iban – inizio del ‘900
Immagine di Hiart via Wikimedia Commons – licenza CC0
Di base la tecnica prevede che si annodino alcune porzioni di filati rendendo precise sezioni incolumi al getto della tintura. Così facendo, il colore impregna solo le parti scoperte del filato. Questo sistema lascia emergere le più variegate forme e geometrie. Sono immagini spesso sfumate, più simili a nuvole nelle cui trame sono incastonati i segreti messaggi dei sogni di questi popoli.
La parola Ikat significherebbe per l’appunto “nuvola”, o per altri “annodare, legare”, e la sacralità di questi tessuti nasceva dall’origine stessa di ogni sua componente.
Mostra di tessuti ikat alla Galleria d’Arte dell’Università di Malaya
Immagine di Mihai Deac via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
Produrre un autentico Ikat era infatti un vero e proprio rituale che esigeva la massima segretezza. Il lavoro era totalmente manuale. Protagoniste di ogni fase erano le donne. Erano loro che piantavano, raccoglievano e lavoravano il cotone. A loro spettava inoltre la delicata fase della tintura, processo svolto nel massimo riserbo. Nessun curioso era infatti ammesso.
Secondo la leggenda, chi infrangeva il segreto di queste pratiche era costretto ad un’esemplare punizione: assaggiare il colore impiegato per la colorazione. Agli uomini era concesso di occuparsi per lo più della tintura di alcuni fili.
Era necessario che la filatura, i disegni, la colorazione, tutto rispettasse il naturale ciclo delle stagioni. Un processo che era pertanto lungo e che poteva essere ripetutamente interrotto al malaugurato manifestarsi di qualsiasi evento ritenuto non propizio (decessi avvenuti nel villaggio, calamità naturali, etc). Ponendosi in ascolto della natura e dei suoi “malumori”, gli Iban offrivano reverenziale ascolto ad ogni evento circostante, traducendolo in un preciso messaggio dal cielo.
Una donna Iban prepara il cotone per la filatura – data sconosciuta
Immagine di haabet2003 via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.0
Con il tempo e con l’avanzare delle influenze straniere, anche i soggetti di queste immagini andarono mutando.
Non solo i sogni, ma anche vicende storiche e mitologiche fecero la loro apparizione sugli Ikat, divenuti in seguito tessuti destinati a famiglie aristocratiche straniere. Fino all’inizio del ‘900, agli Ikat fu assegnato infatti il compito di portare lustro alle famiglie dei vari committenti, dando onore alle più memorabili gesta e vicende storiche di ogni casato.
Ikat conservato in una chiesa
Immagine di Nilfanion via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0
L’interpretazione dei simboli impressi sugli Ikat originali restano oggi mistero. Si tratta infatti di un sapere antico, esclusivamente trasmesso per via orale ed oggi conservato nella sola memoria degli anziani membri di queste comunità.
Con il processo di globalizzazione e la ricerca di sempre nuovi materiali da impiegare nel mondo della moda e dell’arredamento, anche gli Ikat hanno fatto il loro portentoso ingresso nel costume odierno.
Tessuto cerimoniale, probabilmente del XVIII secolo

Quelle immagini che erano sacra trasposizione dei sogni e di segreti sigilli di un mondo spirituale antico e misterioso, lasciano ora il posto a figure per lo più copiate ed abbellite secondo le esigenze ed i gusti degli acquirenti, al preciso scopo di favorirne la vendita. Per far fronte alla crescente commercializzazione e alla continua domanda, anche il processo di produzione è sostanzialmente cambiato, industrializzandosi, con una conseguente sostituzione delle materie prime, non più di origine vegetale o minerale. Così, l’identità di un Ikat finisce per essere pari a quella di un comune altro tessuto. Ciò rende ancora più pregiati gli Ikat autentici, capi molto ricercati dai collezionisti di tutto il mondo.
Panno cerimoniale della fine del XIX secolo
Immagine via Wikimedia Commons – licenza CC0
Per non permettere che un simile patrimonio vada perduto, sono diverse le organizzazioni che operano per il restauro e la conservazione di queste tradizioni. Si cerca di incentivare così il ruolo delle tessitrici di Ikat e di onorare un’arte permeata di misticismo e tradizione.
Un’arte simbolo dei sogni e del bagaglio culturale di questi popoli, che a quei tessuti hanno a lungo affidato il preziosissimo racconto della loro storia.