Nella seconda metà dell’Ottocento, la Francia pone il Vietnam sotto protettorato. Questo verrà reso nullo dall’invasione nipponica, durante la Seconda Guerra Mondiale, che porterà alla creazione dell’Impero del Vietnam, uno Stato fantoccio, che proclamerà la sua indipendenza nel 1945, grazie all’opera di Ho Chi Minh e del suo partito nazionalista e filo-comunista denominato Viet Minh. La Francia non può accettare la perdita della sua egemonia in Indocina. Delibera, così, di bombardare la città di Haiphong.
La Guerra d’Indocina e Conferenza di Ginevra
Concluso il bombardamento le truppe francesi proseguono via terra, occupando interi villaggi, a partire da quelli situati presso il delta del Fiume Rosso. I vietminh, avvalendosi dell’aiuto della Cina comunista, combattono gli invasori mediante azioni di guerriglia. I guerriglieri vietnamiti, addestrati dalla Cina, infliggono duri colpi, nel Nord Vietnam, ai francesi, che si ritrovano arroccati nel delta.
Sul globo aleggia la Guerra Fredda. Gli USA cercano di contenere l’avanzata comunista. Non possono permettere che l’URSS espanda la sua sfera d’influenza al governo vietnamita. A questo scopo l’amministrazione Truman delibera di aiutare finanziariamente i francesi, i quali, tuttavia continueranno a perdere battaglie, uomini, armamenti e denaro. Sarà nel marzo del ’54, a Dien Bien Phu, nel Tonchino, che i francesi subiranno la disfatta decisiva, dovuta principalmente ai disaccordi sorti tra i comandi francesi e alla loro malsana idea di dividere l’esercito, dando ai vietminh, le cui fila sono in continuo rafforzamento, la possibilità di aprirsi la strada a colpi di artiglieria e penetrare le linee nemiche. Il 7 maggio i francesi verranno definitivamente sconfitti.

Il 26 aprile, intanto, è iniziata la Conferenza di Ginevra, dove le grandi potenze (Cina, Francia, UK, URSS e USA) avrebbero discusso, in un clima di sfiducia, di Corea e Vietnam, decise a raggiungere un accordo a livello internazionale. In questa sede il Vietnam verrà diviso in Nord, governato dalla Repubblica Democratica del Vietnam, filo-comunista e controllata dai Vietminh; e Sud, filo-occidentale e retto da una monarchia. La soggezione ai francesi renderà il sovrano del Sud, Bao Dai, impopolare in patria. Approfittando della situazione il primo ministro Ngo Diem, supportato dagli americani (che puntano a promuovere l’amicizia con il Sud per evitare la sua caduta in mani comuniste) proporrà delle elezioni, da lui manipolate, dalle quali scaturirà la Repubblica del Vietnam del Sud, con Ngo Diem alla presidenza.
L’Intervento americano
Diem non perde tempo e si mette subito a combattere e reprimere la resistenza, i cosiddetti Vietcong (membri del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud), fonte di non pochi problemi per il regime di Diem, di cui minano l’autorità. L’amministrazione Diem è divenuta estremamente impopolare, soprattutto nelle campagne, dove i Vietcong sono particolarmente attivi con la loro propaganda. Diem è troppo autoritario e spregiudicato: aumenta le tasse, non risolve il problema dei soprusi e della corruzione degli amministratori locali, limita la libertà di stampa, reprime l’opposizione, presta poca attenzione ai piccoli coltivatori. I Vietcong reagiscono tramite azioni di guerriglia e attentati, eliminando migliaia di funzionari del governo.
Salito, nel ’61, alla Casa Bianca, John Kennedy decide di aiutare il governo Diem con aiuti e consiglieri militari. Partono aerei carichi di sostanze chimiche defolianti (Agente Arancio), per rendere arduo ai vietcong condurre la loro guerriglia. Sono gli anni culmine della Guerra Fredda (invasione della Baia dei Porci, crisi dei missili di Cuba, costruzione del muro di Berlino). La tensione tra i due blocchi è alta. Si teme la guerra nucleare. Certo, bisogna mostrare i muscoli, ma con prudenza.

Kennedy non vorrebbe impegnare troppe forze, ma la debolezza di Diem (incapace di tenere testa ai Vietcong, aiutati da un Vietnam del Nord deciso a riunificare il Paese), lo porterà a inviare più militari (i berretti verdi), per addestrare i sud-vietnamiti e consiglieri. Si arruolano uomini e si fortificano i villaggi, perimetrati dal filo spinato e dai soldati. Ma è tutto inutile: Diem cade vittima di un colpo di Stato. Il Vietnam del Sud è nel caos e i Vietcong fanno esplodere delle bombe nella capitale, Saigon. I generali che si susseguono al potere non hanno la capacità di compattare il Paese e sconfiggere i nemici. Intanto, in America anche Kennedy è stato ucciso: il suo posto verrà preso da Lyndon B. Johnson.
Gli States in guerra
La politica americana non vuole lasciar spazio ai comunisti, ignorando che il fine dei vietnamiti è la liberazione e l’unificazione nazionale. In America si discute sul da farsi. C’è molto pessimismo. Si teme che i comunisti possano prendere il controllo del Sud. Il governo, inoltre, deve tenere d’occhio l’opinione pubblica e gli avversari politici. Johnson punta a un più duro intervento americano. L’occasione arriva quando, il 2 agosto del ’64, i nord-vietnamiti attaccano l’USS Maddox, inviata nel Golfo di Tonchino a spiare le comunicazioni nord-vietnamite. Girerà, poi, la notizia di un altro presunto attacco avvenuto il 4 agosto. Gli americani rispondono attaccando le basi costiere nord-vietnamite e i depositi di carburante. Il 7 agosto il Congresso vota, quasi all’unanimità, la risoluzione del Tonchino, che permetterà a Johnson di “prendere tutte le misure necessarie per respingere qualsiasi attacco armato contro le forze degli Stati Uniti e per prevenire ulteriori aggressioni”.

Il governo sudvietnamita è martoriato dai continui tentativi di colpo di Stato, che non aiutano l’esercito a conseguire delle vittorie o a impedire il rafforzamento del Fronte di Liberazione, il quale riceve nuovi membri dal Nord, mentre truppe nordvietnamite attaccano basi del Sud. A Washington si delibera di bombardare il Vietnam del Nord. Non si può indugiare oltre, dato che la fragilità del governo del Sud incoraggia i suoi nemici a sferrare attacchi più audaci. Il 7 febbraio del ’65 viene attaccata la base americana di Pleiku. In tutta risposta, Johnson ordina una serie di attacchi aerei ai danni di varie basi nordvietnamite (Operazione Flaming Dart).

Il 2 marzo, gli statunitensi iniziano una cruenta campagna di bombardamenti contro obiettivi del Nord (basi militari, depositi e infrastrutture): è l’operazione Rolling Thunder. Si vuole rendere difficili le infiltrazioni al Sud e portare al tavolo delle trattative il governo del Nord. Sarà un fallimento. I nordvietnamiti, anche grazie agli aiuti degli alleati comunisti, dimostreranno un’incredibile tenacia e grandi capacità di adattamento e reazione.
L’8 marzo vengono inviati i primi marines presso la base di Da Nang. Presto ne sarebbero arrivati altri. I reparti sudvietnamiti si sono rivelati troppo dipendenti dagli americani e inadatti alla guerra. A luglio, gli USA aumentano gli attacchi aerei in tutto il Vietnam e deliberano l’invio di altri soldati. Nel conflitto gli USA hanno preso il posto di un Sud, ormai, totalmente dipendente dall’alleato. La presidenza, seppur convinta di poter sconfiggere i nordvietnamiti, non è entusiasta dell’escalation. Nel ’68 più di mezzo milione di soldati americani saranno impegnati in Vietnam. La strategia statunitense prevede l’individuazione di basi e unità nemiche e la loro distruzione a opera di truppe trasportate su elicotteri, supportati da artiglieria e attacchi aerei. I vietcong, tuttavia, conoscono il territorio e sanno come muoversi nella giungla (che gli americani tentavano di distruggere con sostanze chimiche), oltre ad avere un morale molto alto e grande capacità di reclutamento.
Intanto, i nordvietnamiti continuano a infiltrarsi al Sud passando dal Laos (un Paese neutrale) e convertendo alla loro causa i contadini, che hanno visto distrutti i loro raccolti e le loro case. Per contro, i marines prenderanno a fermarsi nei villaggi, fornendo protezione e addestramento, e attaccando le unità nemiche vicine.

Verso la fine
A cavallo tra ottobre e novembre 1965, si svolgerà la battaglia di Ia Drang, nella quale gli USA sperimenteranno un impiego massiccio di elicotteri per il trasporto dei militari. Riescono a infliggere ai nordvietnamiti pesanti perdite. Gli americani evacuano i villaggi, che, poi, radono al suolo, insieme a importanti porzioni di foresta, mediante bombardamenti, nel tentativo di annientare il nemico e distruggere i tunnel sotterranei (operazione Cedar Falls). Gli americani sono convinti di essere arrivati a buon punto. Ma, a fine gennaio, un’imponente attacco a sorpresa dei nordvietnamiti e dei vietcong (Offensiva del Tet), cambierà le sorti del conflitto. I nordvietnamiti vogliono costringere gli USA a ritirarsi e a promuovere la pace. L’attacco coinvolge le principali città sudvietnamite. Entrambi i lati riporteranno grandi perdite, ma saranno i vietcong a subire il danno maggiore, mentre per gli States il colpo sarà più che altro psicologico.
L’opinione pubblica statunitense e internazionale è sdegnata. Nelle città di tutta America si protesta. Proliferano i gruppi pacifisti. I media raccontano il conflitto e Johnson si deve rendere conto del suo eccessivo ottimismo. Non gli rimane che interrompere i bombardamenti sul Vietnam del Nord.
La fine della guerra
Nel gennaio 1969 inizia la presidenza Nixon. Sono partiti i negoziati di pace a Parigi, ma gli USA desiderano parteciparvi in una posizione di forza. Così, gli scontri continuano. Nixon dà il via ai bombardamenti in Cambogia (Operazione Menu) contro le basi nordvietnamite (i nordvietnamiti passano da lì per compiere le loro infiltrazioni nel Sud), minaccia l’uso dell’atomica (per spaventare i comunisti), chiede il ritiro dei nordvietnamiti dal Sud e la cessazione delle ostilità. Intanto, è iniziato il ritiro delle truppe americane dal Vietnam. Gli americani si occupano con più impegno dell’addestramento dei sudvietnamiti; forniscono armi migliori e più munizioni; si occupano della difesa dei villaggi, togliendo potere ai vietcong. I problemi di diserzione e corruzione del Sud, comunque, persistono. La permanenza americana è, dunque, ancora necessaria.

Le trattative sono bloccate e gli eserciti stanchi. La guerra ha logorato tutte le parti, ma i nordvietnamiti hanno ancora le forze per un’altra grande operazione. Avrebbero approfittato del fallimento sudvietnamita in Laos (dove si erano avuti degli scontri per interrompere il sentiero di Ho Chi Minh e le infiltrazioni nordvietnamite). Pensando che il Sud sia ormai irrimediabilmente logorato e che il suo esercito non avrebbe potuto resistere a un altro grande attacco, i nordvietnamiti puntano a sconfiggere il grosso dell’esercito nemico, sperando, così, di rafforzare la propria posizione al tavolo dei negoziati. Il 30 marzo inizia l’offensiva di Pasqua. Più di centomila soldati nordvietnamiti, sostenuti dai vietcong, entrano nelle province settentrionali del Sud Vietnam, scortati da carri armati ottenuti dall’URSS, avvicinandosi anche a Saigon. Incontreranno, tuttavia, la strenua resistenza dell’esercito sudvietnamita. Decisivo sarà l’intervento americano, consistente in pesanti bombardamenti contro obiettivi strategici nel Vietnam del Nord, anche vicino ad Hanoi.
I nordvietnamiti non intendono cedere e Nixon ordina un nuovo massiccio bombardamento della regione di Hanoi, costringendo i suoi nemici a riprendere i colloqui. Nel gennaio del ’73 si firmano gli accordi di Parigi. Gli americani si ritirano dal Vietnam. Entrambe le parti rilasciano i prigionieri. Tuttavia, il conflitto tra Nord e Sud Vietnam continua. I nordvietnamiti riprendono a infiltrarsi al Sud e a occupare punti strategici, mentre Saigon è nel caos, lacerata dall’impopolarità del governo, dalla corruzione e dalla significativa diminuzione degli aiuti americani. I nordvietnamiti, certi che gli americani non sarebbero intervenuti, rendono più decise le loro offensive, arrivando fino a Saigon. L’esercito sudvietnamita è demoralizzato; i soldati disertano. Per gli americani non vale più la pena impiegare ingenti risorse per un Paese ormai morto. Il 30 aprile del ’75, Saigon viene presa dai nordvietnamiti. Sud e Nord vengono unificate nella Repubblica Socialista del Vietnam. La guerra è finita. Gli Stati Uniti ne sono usciti profondamente umiliati; il conflitto gli è costato più di cinquantamila uomini e 165 miliardi di dollari. Più di un milione sono i morti nordvietnamiti e del Fronte di Liberazione.