Giovanni Giustiniani Longo: l’ultimo generale al servizio di un Imperatore Romano

Quando si parla dell’assedio e della caduta di Costantinopoli, è sempre facile ridurre il confronto a una sorta di duello a scacchi tra Maometto II e Costantino XI Paleologo. I due personaggi sono quelli che, come diremmo oggi, per ragioni diverse si prendono la copertina dell’avvenimento e catalizzano tutta l’attenzione, ma esiste un uomo che ha avuto un ruolo fondamentale nella battaglia e di cui spesso si tende a dimenticarsi.

Giovanni Giustiniani Longo, nominato comandante in capo dei difensori (protostrator) dallo stesso imperatore nel gennaio del 1453, infatti, ha rappresentato secondo molti dei testimoni oculari la vera anima combattiva degli assediati. Arguto tattico e combattente feroce quanto scaltro, non sorprende che la sua uscita di scena durante l’assalto decisivo dei turchi (in maniera controversa, come vedremo) abbia causato la rotta dell’intero fronte dei difensori. Prima di questo, però, occorre fare un passo indietro e porsi una domanda: chi era davvero Giovanni Giustiniani?

Nato a Genova intorno al 1418, la sua famiglia è una delle più importanti e ricche della repubblica marinara ligure, soprattutto grazie alla partecipazione nel “consorzio” di privati che gestisce le redditizie attività economiche dell’isola di Chio (la famosa Maona). Come tutti i rampolli delle famiglie mercantili patrizie, Giovanni passa la sua giovinezza in una sorta di apprendistato costante tra Genova, la sua flotta e i territori del Levante da lei controllati.

Possiamo supporre con una certa sicurezza che già da giovanissimo abbia manifestato il comportamento sopra le righe che lo caratterizzerà anche da adulto, come le cronache relative al suo modo spregiudicato di condurre affari commerciali negli anni tra il 1443 e 1444 confermano. Incurante di obblighi verso i creditori come anche di tacite convenzioni politiche, si avvicina alla fazione della famiglia Fregoso, esiliata dai dominanti Adorno nella guerra civile a bassa intensità che dilania Genova, senza curarsi minimamente dei legami che suo padre ha intessuto con il doge in carica.

Questa scelta apparentemente incosciente è quella che, conformemente all’antico adagio secondo cui la Fortuna arride agli audaci, proietta la vita di Giovanni in una rapida parabola ascendente. Nel 1447, infatti, proprio la fazione dei Fregoso prende il potere a Genova grazie a un ardito colpo di mano, e il nuovo doge si dimostra molto riconoscente verso coloro che lo hanno supportato.

Oltre alla restituzione dei beni congelati per debiti presso i magazzini della colonia di Pera, infatti, Giovanni diventa uno dei punti di riferimento del doge, tanto da essere nominato provveditore per la guerra che scoppia nel novembre del 1447 contro il marchese di Finale Ligure. Forse per il successo nell’impresa, come anche per la fiducia di cui gode presso la nuova fazione dominante, a Giovanni viene consentito di convolare a nozze con Clemenza Fregoso, sorella del futuro doge Pietro, in un matrimonio chiaramente politico.

Da quanto abbiamo visto fino a ora, è facile pensare che il nostro Giustiniani fosse una persona molto capace, probabilmente con un carattere forte e non facile, ma estremamente competente e leale. Proprio questa lealtà sta probabilmente alla base del prestigioso incarico che gli viene affidato nel 1448. La colonia genovese di Caffa, nella lontana Crimea, ha infatti bisogno di un nuovo console, e il doge Giano Fregoso non ha dubbi: Giovanni è l’uomo giusto per far capire anche oltremare che la fazione degli Adorno non è più al comando. Incurante di esporsi a pesanti critiche per la nomina di uno dei suoi pupilli, il doge non perde dunque tempo ed esorta Giustiniani a partire per il Mar Maggiore, nome che l’attuale Mar Nero aveva all’epoca sulle mappe e non solo.

In molti, come era consuetudine in quei tempi, avrebbero venduto la propria carica per evitare di sobbarcarsi un viaggio tanto lungo verso una provincia tanto remota, giacché il clima della Crimea non deve essere stato troppo piacevole nemmeno nel 1400, ma abbiamo ormai capito come Giovanni non sia una persona a cui piace conformarsi agli schemi. Dimostrando un desiderio di avventura che pare calzargli a pennello, il nostro uomo parte senza indugio per Caffa, dove giunge verso la fine di novembre del 1448.

Per i due anni successivi, Giovanni è protagonista della difesa degli interessi genovesi nella regione, interagendo con i principali funzionari politici della colonia ed esteri con il solito piglio spregiudicato, dobbiamo supporre. Quando nel 1450 gli viene notificata la nomina di un membro della famiglia Grimaldi come sostituto al consolato di Caffa, Giustiniani si trova di fronte a un bivio: tornare a Genova per dedicarsi agli affari, o rimanere nel Levante in cerca di avventura?

La risposta dovrebbe essere piuttosto scontata a questo punto. Non abbiamo molte fonti relative alle attività di Giustiniani per il biennio successivo al 1450, ma dobbiamo supporre che abbia utilizzato la colonia di Chio come base per accrescere il proprio patrimonio personale, sia tramite i leciti traffici commerciali sia tramite la meno lecita ma ancora più redditizia attività piratesca.

Quando nel 1452 i venti di guerra tra i turchi di Maometto II e l’imperatore Costantino XI iniziano a spirare, troviamo Giustiniani di ritorno a Genova per consultarsi con il doge sul da farsi in una situazione tanto delicata. Il cammino verso la città natale non è esattamente tranquillo…per gli altri naviganti. Documenti destinati al Gran Consiglio di Genova ancora in nostro possesso ci parlano infatti di diversi saccheggi compiuti dal capitano lungo la rotta, a danno di imbarcazioni aragonesi, tunisine e ragusee nello specifico.

Come si porrà la Repubblica nei confronti di Costantinopoli? Dobbiamo immaginare che questa domanda circolasse con morbosa frequenza tra i carruggi durante le settimane concitate alla fine del 1452. Gli insediamenti d’oltremare di Pera, Chio e Caffa avevano inviato allarmate richieste di aiuto alla madrepatria, ma la situazione era tutt’altro che facile. Genova aveva firmato un trattato di amicizia coi turchi e non poteva schierarsi contro il sultano, ma sapeva anche che non agire avrebbe aggravato notevolmente la posizione di Costantinopoli. Esattamente come la rivale Venezia, la Repubblica aveva nella capitale dell’agonizzante impero uno snodo fondamentale per i suoi traffici verso il Mar Nero: la sua caduta in mano a Maometto II avrebbe inflitto un colpo durissimo al commercio di risorse estremamente redditizie come mastice, pellicce e allume, per non parlare dell’inesigibilità dei cospicui crediti vantati nei confronti della casa imperiale.

In questo scenario di stallo, possiamo immaginarci un Giustiniani piuttosto irrequieto e non esattamente felice della decisione del doge di rimanere neutrale nei confronti delle due fazioni…ma senza impedire la libera iniziativa dei cittadini genovesi che volessero partire volontari per il Bosforo. Se le fonti ci danno un’idea del suo carattere, possiamo immaginarci Giustiniani disgustato da una simile decisione dal retrogusto di vigliaccheria, tanto da assoldare a proprie spese una compagnia di otto-novecento mercenari e salpare per Costantinopoli alla testa di due navi.

E proprio lì lo ritroviamo il 26 gennaio del 1453. Nonostante il boccone amarissimo mandato giù dai greci nel ratificare l’unione della Chiesa Ortodossa con quella di Roma, l’accoglienza riservata al genovese e ai suoi è festosa. Finalmente, pensano gli abitanti della città, i latini mandano soldati in risposta alle nostre richieste di aiuto, sebbene pochi. L’imperatore, pur aspettandosi qualcosa in più anche dalle altre potenze occidentali, non può certo dirsi scontento dei rinforzi: accoglie con affabilità Giustiniani, con il quale dobbiamo supporre sia stato in contatto per via epistolare durante il consolato a Caffa, e gli promette la signoria sull’isola di Lemno in caso di successo nella difesa della città. Assumendo quindi il titolo di protostrator, Giovanni si carica sulle spalle la responsabilità dell’organizzazione e del comando delle difese di Costantinopoli.

Il compito che lo attende, per usare un eufemismo, è complicato: la città può contare su circa ottomila uomini e una trentina di navi per respingere l’assalto nemico, ma i turchi dispongono di almeno ottantamila tra fanti e cavalieri secondo le stime più conservative e di non meno di duecento legni. Certo, Costantinopoli vanta un innovativo sbarramento galleggiante per tenere la flotta turca fuori dal Corno d’Oro e il sistema delle Mura Teodosiane, le più imponenti del mondo, ma una simile sfida sembra davvero impari. Il fatto che i turchi si servano in maniera massiccia di cannoni giganteschi contro fortificazioni vecchie di quasi un millennio, poi, la fa sfociare in una missione impossibile.

Nemmeno di fronte a tanta disparità, però, Giustiniani riesce a perdersi d’animo. Le fonti ce lo descrivono nel centro nevralgico di ogni operazione difensiva imbastita dagli assediati: guida i suoi dalla prima linea nella respinta di ogni assalto, organizza squadre per la costruzione di barricate nelle brecce, si getta a capofitto nell’azione tanto da rimanere leggermente ferito in più di un’occasione e incarna di fatto lo spirito battagliero dei difensori ancora più dello stesso imperatore. Anche quando i turchi riescono ad aggirare lo sbarramento sul Corno d’Oro trascinando le loro navi via terra, Giustiniani mantiene i nervi saldi, o quasi.

Alla vigilia dell’assalto finale degli uomini di Mehmet, ci viene detto di un suo aspro litigio con Luca Notaras, membro di spicco della corte e della gerarchia militare di Costantinopoli, circa l’allocazione di alcune bocche da fuoco su quel che resta delle Mura Teodosiane. Nel momento in cui le parole lasciano il posto alle spade, durante la notte tra il 28 e il 29 maggio del 1453, Giovanni è in prima linea come sempre insieme allo stesso Costantino XI.

I difensori respingono l’assalto degli irregolari, poi quello della fanteria anatolica, e alle prime luci dell’alba vengono investiti dall’ondata delle truppe d’élite del sultano, i temibilissimi giannizzeri. A dispetto di ogni pronostico, il pugno di difensori piagati dalla fame e da due mesi di cannoneggiamento continua a resistere…fino a che Giustiniani non viene ferito da un colpo di colubrina.

In merito alla sua reazione, le fonti sono discordanti come in occasione di pochi altri avvenimenti storici. C’è chi dice, in maniera piuttosto incredibile visto il personaggio, che colto dal panico Giovanni sia fuggito causando la rotta dei difensori. C’è chi dice che nella sua ricerca di un medico abbia lasciato sufficiente tempo ai giannizzeri di sfondare l’ultima linea di resistenza, o ancora chi afferma che la gravità della ferita lo avesse privato di conoscenza, rendendo necessario che i suoi uomini lo trasportassero alla nave per metterlo in salvo. Il romanzo “L’ultimo Costantino”, uscito non a caso il 29 maggio di quest’anno, sfrutta l’incertezza sul tema prendendosi una piccola licenza narrativa e raccontando come sia proprio l’imperatore a ordinare ai sottoposti di Giovanni di portarlo via per salvargli la vita.

Qualunque sia la verità, l’esito che la storia ci consegna vede Costantino XI morire in un’ultima disperata difesa alla Porta di San Romano e Giovanni Giustiniani condotto sulla sua nave per poi fuggire verso Chio, dove giungerà il 10 giugno per poi morire, probabilmente di setticemia, nei giorni successivi.

L’ultimo generale al servizio di un imperatore romano, in fondo, non poteva che essere un uomo straordinario. La sua storia, come quella delle altre figure fondamentali di un evento tanto importante quanto trascurato come la caduta di Costantinopoli, viene ripercorsa nel già menzionato romanzo “L’ultimo Costantino”, in un intreccio di colpi di scena capace di abbinare la verità storica dei fatti con la tensione narrativa dei migliori thriller.


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