Il Museo statale Ermitage, nella città russa di San Pietroburgo, è uno dei più antichi e prestigiosi musei del mondo. La gigantesca collezione, che conta oltre tre milioni di pezzi, fu iniziata dalla zarina Caterina, ma divenne fruibile al pubblico, in forma di museo, a partire dal 1852.
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Tra gli edifici storici che compongono il grande complesso dell’Ermitage c’è il Palazzo d’Inverno, la residenza della famiglia imperiale russa. All’inizio del 18° secolo, quando era zarina Elisabetta di Russia (figlia di Pietro il Grande), il palazzo era infestato dai topi, che giravano indisturbati nelle cucine reali.
L’imperatrice emanò un ordine “per trovare a Kazan (…) i migliori e più grandi gatti in grado di catturare i topi, (…) e mandarli alla Corte di sua Maestà Imperiale insieme a qualcuno che ne abbia cura, e con cibo sufficiente (…) Immediatamente!”
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I felini dovevano essere tutti di sesso maschile, e castrati. Elisabetta fece sistemare i gatti nei seminterrati e nei corridoi del palazzo, per una ‘lotta integrata’ alla crescente popolazione di topi. Il sistema si dimostrò estremamente efficace, e l’imperatrice decise di tenerli a palazzo in modo permanente. Quando l’Ermitage divenne un museo, i gatti rimasero, per proteggere dai roditori le preziose collezioni.
La colonia felina è ininterrottamente presente nell’ex palazzo imperiale dai tempi di Elisabetta fino ai giorni nostri: è sopravvissuta alla Rivoluzione d’Ottobre, e ha continuato a svolgere il proprio compito anche nell’era sovietica. I gatti “da caccia” non resistettero solo durante i 900 tragici giorni dell’assedio di Leningrado, durante i quali non c’era cibo per nessuno…
Alla fine della guerra, l’intera città di San Pietroburgo, non solo l’Ermitage, era invasa di topi. La soluzione adottata fu la stessa: il governo richiese l’invio di due vagoni di gatti, che nuovamente furono di grande aiuto nel debellare i roditori.
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Fino alla metà degli anni ’90, i gatti dell’Ermitage erano, in un certo senso, un po’ lasciati a se stessi. Poi, la direzione del Museo mise a punto un programma di cura per i suoi guardiani pelosi, e dal 2007 ha anche iniziato ad adottare i gatti randagi. Attualmente, la popolazione felina del museo conta circa una settantina di residenti, accuditi giornalmente da quattro volontari, che si occupano anche di preparare loro il cibo, in una cucina apposita.
Gli amanti dei gatti non sperino però di incontrarli nelle sale espositive: i mici vivono nei seminterrati. Talvolta però uno di loro riesce ad intrufolarsi nelle gallerie, per la gioia dei visitatori.