Uno straniero che all’epoca di Tolomeo I e Tolomeo II- siamo fra il 305 e il 246 a.C.- arrivava ad Alessandria d’Egitto sapeva di avere di fronte una città che in pochi anni si era trasformata nella capitale della bellezza. C’era quell’imponente faro passato alla storia come una delle sette meraviglie del mondo antico, c’era il Bruchion, il quartiere reale dove risiedeva il faraone e c’era il Museion, un edificio dedicato alle nove muse delle arti, che ospitava la grande biblioteca reale.

Il suo accesso era limitato e ci viveva e lavorava una comunità di dotti. Oltre ad avere una quantità indefinibile di scaffali e rotoli di papiro, la biblioteca si presentava con l’aspetto di una cittadella del sapere, con stanze private, una sala da pranzo in comune, giardini e aule adibite alle conferenze o allo studio. La volontà dei primi due re tolemaici era quella di accumulare un patrimonio ecumenico che andasse dalla tradizione greca a quella ebrea, passando per gli scritti persiani ed egiziani o, più in generale, della cultura orientale.

Chi si occupava della biblioteca godeva di grandi benefici: vitto e alloggio gratis, niente tasse e la possibilità di studiare qualsiasi cosa. Lo stesso capo-bibliotecario, un ruolo ricoperto da alcune delle più grandi personalità del passato, era tenuto così tanto in considerazione che ricopriva anche gli incarichi di consigliere reale e precettore del principe ereditario.

Come è noto oggi della Biblioteca d’Alessandria non è rimasto nulla, e dei suoi circa 40.000 o 700.000 papiri – il numero varia a seconda delle fonti – se ne sono perse le tracce.
Cosa le è successo? Come e quando è andata distrutta?
Per rispondere a queste domande, partiamo dal principio.

La nascita della biblioteca
Dopo la morte di Alessandro Magno, uno dei suoi uomini di fiducia, Tolomeo Sotère, si proclamò re d’Egitto e diede inizio alla dinastia tolemaica. Per rafforzare il prestigio del regno, Tolomeo I puntò sull’accentramento della cultura ellenistica ad Alessandria, dove risiedeva la corte e dove sperava di creare una capitale della conoscenza.

L’origine della biblioteca è controversa. Si ipotizza che l’idea di base sia attribuibile a Tolomeo I, che delegò l’incarico al suo consigliere Demetrio Falereo, un filosofo greco della scuola peripatetica. Sappiamo per certo che, dopo la salita al trono di Tolomeo II, la biblioteca era già nel pieno delle sue attività ed è altamente probabile che, se è vero che, almeno a parole, l’iniziativa sia stata di Tolomeo I, la nascita come luogo fisico sia avvenuta sotto il regno del figlio.

L’intenzione dei tolemaici era quella di creare un luogo di culto unico nel suo genere. L’istituzione bibliotecaria non era una novità – se ne aveva notizia già in Mesopotamia, Siria, Grecia e nello stesso Egitto – ma, prima del III secolo a.C., le singole civiltà l’avevano utilizzata al solo scopo di conservare le proprie tradizioni. Quella alessandrina, invece, doveva accumulare un sapere universale attraverso una politica di collezionismo molto aggressiva.

I rotoli di papiro della collezione alessandrina
La ricerca di nuovi papiri da aggiungere alla collezione partiva dalla premessa che servivano quanti più testi antichi possibili, perché erano quelli che avevano subito un numero minore di copiature e, di conseguenza, si avvicinavano di più agli originali.

Gli agenti dei faraoni erano sempre in viaggio e scandagliavano i mercati di tutto il mondo. Quando non era possibile acquistare un papiro lo si prendeva in prestito dietro lauto compenso e lo si faceva copiare. A tal proposito esistono due aneddoti su transazioni molto discutibili.

Galeno di Pergamo racconta che Tolomeo II ordinava ai suoi uomini di perquisire le navi che approdavano ad Alessandria. Se trovavano dei libri, li prendevano, li portavano ai copisti della biblioteca, tenevano gli originali e restituivano le versioni duplicate.

Durante il regno di Tolomeo III, invece, si narra che il faraone volesse a tutti i costi mettere le mani sui manoscritti delle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, custoditi all’interno dell’archivio di stato di Atene. Gli ellenici si ostinavano a non volerli prestare per la copiatura, ma un giorno si convinsero ad accettare dietro un conguaglio di 15 talenti d’argento, una cifra esorbitante per l’epoca, da trattenere in caso di mancata restituzione.
Tolomeo III versò quanto chiesto, fece duplicare i manoscritti, conservò gli originali, restituì le copie e disse agli ateniesi di tenersi il denaro.

Gli sforzi dei vari faraoni diedero i loro frutti, e si stima che la collezione alessandrina arrivò a vantare una quantità impressionante di rotoli, dai 40.000 ai 700.000, senza dimenticare che ciascuno di essi poteva essere misto e contenere più opere insieme. Addirittura, per secoli, Alessandria detenne il monopolio del papiro, e gli stessi sovrani si rifiutarono di commerciarlo, finendo per favorire involontariamente l’adozione della pergamena.

Intorno al 295 a.C., la biblioteca esaurì lo spazio e Tolomeo III optò per una soluzione pratica. Fondò la Biblioteca del Serapeo, una filiale sita nel cortile colonnato del tempio di Serapide, a sud della città, e la usò per trasferire le eccedenze. Il Serapeo divenne una biblioteca a sé stante e si differenziò dalla principale perché vi potevano accedere tutti.

I dotti della Biblioteca d’Alessandria
I dotti alessandrini erano filosofi, scienziati e letterati che i sovrani chiamavano ad Alessandria per includerli nel loro circolo elitario. Chi accettava di trasferirsi nel Museion godeva di grandi benefici, ma la figura più importante era il capo-bibliotecario.

Il primo fu Zenodoto di Efeso, che si occupò dell’educazione di Tolomeo III, all’epoca principe ereditario, e organizzò la collezione alessandrina in ordine alfabetico. Per quanto ne sappiamo fu il primo ad adottare questo metodo e anche Callimaco ebbe l’incarico di migliorare il sistema di catalogazione.

Durante la sua permanenza in biblioteca, il poeta compose il Pinakes, dal greco antico “le tavole”, un’imponente catalogo bibliotecario, quasi sicuramente il primo del suo genere. Purtroppo, ci sono pervenuti solo pochi frammenti, ma bastano per osservare che la prima suddivisione era per genere – retorica, diritto, epica, tragedia, commedia, poesia lirica, storia, medicina, matematica e scienze naturali – poi, c’erano delle sottosezioni con nome dell’autore, patronimico, soprannome, luogo di nascita e, dove disponibili, delle brevi informazioni biografiche.

Dopo Zenodoto, il secondo capo-bibliotecario fu Apollonio Rodio, che sfruttò la collezione alessandrina per comporre il poema epico Le Argonautiche, mentre il terzo fu Eratostene di Cirene, vissuto tra il 280 e il 194 a.C.

Con Eratostene, la biblioteca si specializzò nelle discipline scientifiche e lui stesso compose il trattato della Geographika, applicò la matematica alla cartografia per calcolare la circonferenza della Terra e disegnò una mappa del mondo allora conosciuto.

Al suo successore, Aristofane di Bisanzio, invece, è legato un aneddoto su come abbia ereditato l’incarico. Biblioteca, Museion e quartiere reale non erano accessibili a tutti, ma aprivano le porte al popolo in occasione di una festività in onore di Apollo e delle Muse. In quello che oggi definiremmo un festival culturale, il faraone indiceva un concorso letterario a cui chiunque poteva partecipare presentando un componimento originale.
Sette dotti si sarebbero espressi in qualità di giudici

Un anno, Tolomeo IV aveva già scelto sei giudici, ma non aveva idea su chi chiamare come settimo e i saggi del Museion gli dissero che nella comunità della biblioteca c’era un certo Aristofane, un giovane allievo di Callimaco, che leggeva e rileggeva ogni libro presente sugli scaffali. Il faraone lo incluse nella giuria, il concorso iniziò e i partecipanti recitarono i componimenti.
La tradizione voleva che il verdetto fosse in parte influenzato dalle reazioni del pubblico, e quando si dovette decretare il vincitore, Aristofane votò per colui che aveva riscosso più fischi che applausi. Tolomeo e gli altri giudici si indignarono, ma Aristofane invocò la calma e chiese di seguirlo in biblioteca, dove mostrò i testi che i partecipanti avevano plagiato. L’unico che aveva prodotto qualcosa di originale era il ragazzo a cui aveva dato il suo voto e Tolomeo fu così meravigliato che lo nominò capo-bibliotecario.

La fine del mecenatismo tolemaico
Sotto Aristofane, la collezione alessandrina toccò il massimo del suo splendore, sia per numero di papiri, sia per qualità degli studi, ma l’Egitto stava cambiando e, a poco a poco, i faraoni smisero di essere dei mecenati.

Il declino ebbe inizio con Tolomeo VIII, che salì al potere uccidendo Tolomeo VII ed espulse tutti gli intellettuali stranieri, incluso Aristarco da Samotracia, l’allora capo-bibliotecario. Chi rimase a lavorare al Museion non godette più di alcuna sovvenzione dei sovrani, troppo impegnati a governare con pugno di ferro o a porre rimedio all’instabilità del regno, e lo stesso incarico di capo-bibliotecario perse importanza, perché divenne un premio politico e gli storiografi smisero di annotare i nomi.

I problemi dell’Egitto sfociarono in una guerra civile fra Tolomeo XIII e sua sorella Cleopatra, con annesso coinvolgimento di Roma e di Giulio Cesare, che, nel 48 a.C., diede fuoco alla flotta del faraone e causò un incendio accidentale che divampò dal porto di Alessandria e lambì, con conseguenze più o meno gravi, anche altre zone della città.
Ed è qui che hanno inizio le teorie sul destino della Biblioteca d’Alessandria.
L’incendio del 48 a.C.
Il problema principale nell’identificare cosa sia successo sono le diverse versioni tramandate dagli autori del passato, in contrasto l’una con l’altra.

Seneca, Livio e Paolo Orosio scrissero che l’incendio bruciò circa 40.000 scritti, mentre Ammiano Marcellino e Aulo Gellio riportarono una stima più grande, ovvero 700.000 volumi.

Cassio Dione, invece, limita la portata dei danni e si tiene sul vago:
“Molti luoghi furono incendiati, con il risultato che le banchine e i depositi di grano, tra gli altri edifici, furono bruciati, e anche la biblioteca, i cui volumi, è detto, erano del più grande numero ed eccellenza”.

L’unico che chiarisce l’effettiva responsabilità di Cesare e afferma senza mezzi termini la distruzione della biblioteca è Plutarco, ma la divergenza d’opinioni e la testimonianza di Dione lasciano intendere che, in realtà, il fuoco si sia limitato a danneggiarla.

Intorno al 20 a.C., il geografo Strabone visitò la città e alcuni sui scritti sembrano dirci che il Museion, il luogo che ospitava la biblioteca, esistesse ancora, ma senza il prestigio di un tempo.

Un’altra prova a favore della sua sopravvivenza è un’incisione del I secolo d.C., in cui la frase “supra Museum et ab Alexandrina bibliotheca – sul museo e dalla Biblioteca di Alessandria”, riferita all’astrologo Tiberio Claudio Balbillo, fa ipotizzare la sua possibile successione a capo-bibliotecario.

Le ipotesi successive
Quando l’Egitto passò sotto il dominio romano, le menzioni alla biblioteca e al Museion si diradarono fino a scomparire del tutto nella seconda metà del III d.C., periodo che coincide con la disputa fra l’imperatore Aureliano e la regina Zenobia, con il primo che combatté la seconda per riconquistare il possesso di Alessandria. Si trattò di una battaglia sanguinosissima e l’esercito romano rase al suolo tutto il Bruchion, il quartiere reale dove si trovavano il Museion e la biblioteca.

Oltre questo lasso temporale, è storicamente accertato che la collezione alessandrina abbia smesso di esistere, ma, dopo la conquista musulmana dell’Egitto, gli autori arabi del XIII secolo iniziarono a far circolare un aneddoto. Si narrava che, quando Alessandria si arrese all’esercito di Amr ibn al-As, questi chiese al califfo Omar cosa dovesse fare della biblioteca.
Se quei libri sono in accordo con il Corano, non ne abbiamo bisogno. Se sono contrari al Corano, distruggili

Con questa risposta, Omar decretò la distruzione dei papiri, ma gli studi contemporanei hanno appurato che si trattò di un’invenzione dei posteri, di una storia creata a fini propagandistici, anche perché l’aneddoto comparve dopo oltre cinquecento anni dall’accaduto e senza che nessuno ne avesse mai fatto menzione.

Conclusioni
In conclusione, è plausibile che la Biblioteca d’Alessandria non sia andata distrutta nell’incendio del 48 a.C., ma sia stata vittima di un lento declino che ha attraversato diversi secoli fino al III d.C.

La sua importanza storica, però, è rimasta intatta e, nel 2002, l’UNESCO e uno studio d’architettura norvegese hanno dato vita alla Bibliotheca Alexandrina, un centro culturale che ne omaggia la memoria.

Se sulla sua fine non ci sono testimonianze attendibili, lo stesso discorso non vale per cosa abbia significato in passato. La Biblioteca di Alessandria non era solo un luogo che ospitava una quantità indefinita di rotoli di papiro; era un’istituzione elitaria che accoglieva tutte le più grandi menti dell’epoca.
Ad esempio, nel I secolo d.C., Vitruvio ringraziò la comunità di dotti perché “non hanno lasciato tutto in geloso silenzio, ma hanno provveduto a mettere per iscritto le loro idee di ogni genere”.

Nella biblioteca si registrarono le prime catalogazioni in ordine alfabetico, Tolomeo II ordinò la traduzione dell’Antico Testamento dall’ebraico al greco, quella che oggi è conosciuta come la Bibbia dei Settanta, si realizzarono edizioni critiche dei poemi omerici, si approfondì la geografia e altro ancora. In poche parole, all’epoca dei tolemaici, la Biblioteca di Alessandria era la capitale del sapere universale.
Fonti:
La Biblioteca di Alessandria d’Egitto – Storica National Geographic
Library of Alexandria – Enciclopedia Britannica
Library of Alexandria – Wikipedia inglese