La Maledizione e la Sparizione della São Paulo

La millenaria storia dei viaggi per mare è piena di leggende relative a navi maledette, segnate fin dalla loro costruzione da tragici destini che le avrebbero coinvolte insieme agli equipaggi e ai passeggeri.

La più nota è quella relativa alla Great Eastern, il grande piroscafo a vapore che, a partire dal 1854, fu per mezzo secolo la nave più grande del mondo. La Great Eastern fu una delle prime navi passeggeri a solcare l’oceano Atlantico spinta da una motrice a vapore e, nonostante la genialità del progetto opera di Isambard Brunel, era troppo in anticipo sui tempi per funzionare in piena sicurezza. Infatti, dopo una serie di incidenti, smise di trasportare passeggeri e, dopo un tentativo fallito di farne una nave mercantile, fu riconvertita in nave posacavi. In tale veste, già nel 1865, compì un’impresa che rispetto alla tecnologia del tempo appare incredibile, posando 3.700 km di cavi telegrafici sul fondo dell’oceano, tra l’Irlanda e Terranova, e realizzando la prima connessione diretta tra Europa e America.

La Great Eastern, 1866

È diffusa la leggenda per cui la Great Eastern sarebbe stata una nave maledetta perché, all’interno di una cavità del suo doppio scafo (innovazione di Brunel grazie alla quale non andò a fondo nemmeno quando centrò in pieno uno scoglio non segnato sulle carte nautiche, nel 1861), durante la costruzione, erano rimasti intrappolati due operai poi morti di stenti, i cui scheletri sarebbero stati scoperti in fase di demolizione (dal 1888 al 1890). In realtà, come hanno dimostrato studiosi recenti consultando i giornali del tempo, anche se durante la costruzione della nave ci furono diversi incidenti mortali (allora, in mancanza di leggi sulla sicurezza del lavoro, erano frequentissimi), nessun operaio rimase chiuso tra le due chiglie e la storia nasce da una lettera scritta da un marinaio incline alle fantasticherie, David Duff, e presa per oro colato dall’ingenuo storico James Dugan che la citò in un libro divulgativo del 1953.

Sul tema della nave maledetta sono stati scritti anche interessantissimi romanzi, come La nave morta, di B. Traven, un misterioso scrittore americano di origine tedesca (scrisse sia in Tedesco sia in Inglese) che si ritiene morto nel 1969. Questo romanzo, risalente al 1925, tratta il tema delle navi ormai troppo vecchie per servire a qualcosa, che vengono spedite in mari poco frequentati per affondare senza lasciare tracce, in modo che la compagnia armatrice incassi il premio della polizza assicurativa stipulata su di esse.

Questi viaggi sono rischiosissimi e in genere gli equipaggi sono composti da disperati o gente in fuga o comunque senza documenti, destinata a ritrovarsi clandestina e priva di identità dovunque dovesse sbarcare. Il tema è stato affrontato anche da Luis Sepúlveda nel romanzo Il mondo alla fine del mondo (1989), mentre il nostro Carlo Lucarelli, nel libro Navi a perdere (2008) ha toccato l’argomento del coinvolgimento in queste pratiche della criminalità organizzata, che sfrutta le vecchie navi da affondare truffando le assicurazioni per far sparire nei fondi marini tonnellate di rifiuti tossici.

Le navi maledette, è inutile precisarlo, non esistono. Esistono uomini irresponsabili o delinquenti, questo sì, e tutto ciò che viene a contatto con essi è destinato a rivelarsi “maledetto” per una ragione o per un’altra.

Ma poi esistono anche le circostanze sfavorevoli, che quando si ripetono più volte portano alla nascita di leggende, come appunto nel caso della Great Eastern.

Una nave perseguitata dalle circostanze sfavorevoli lungo tutta la sua esistenza, fino a un epilogo talmente misterioso e tragico da far chiamare in causa addirittura gli elementi soprannaturali è stata sicuramente la Sao Paulo, una nave da guerra brasiliana.

São Paulo in 1910

La Sao Paulo, progettata come dreadnought (corazzate monocalibro mosse da turbine a vapore, le navi da guerra più importanti della Prima Guerra Mondiale), quando fu costruita dai cantieri inglesi Vickers, nel 1910, era considerata la nave militare più moderna ed efficiente del mondo. Purtroppo per i suoi ammiratori, non ebbe molte occasioni di mostrare la sua potenza in combattimento. Per una serie di sfortunate combinazioni, in pochi anni, si ritrovò coinvolta in tre ammutinamenti collettivi della marina militare brasiliana, od occupata dagli ammutinati e impiegata per allontanarsi dalle acque territoriali o impiegata per bombardare installazioni militari in cui gli ammutinati si erano asserragliati.

Nonostante un ammodernamento messo a punto in cantieri statunitensi, già nel 1930 la Sao Paulo fu giudicata troppo lenta per uscire per mare insieme ad unità più leggere e venne destinata alla difesa costiera del porto di Recife, incarico che svolse per tutta la Seconda Guerra Mondiale. Infine fu utilizzata come nave scuola, ma nel 1950 fu radiata e venduta come rottame ai cantieri scozzesi di Greenock, dove sarebbe stata demolita.

Il viaggio si prospettava lungo e, mentre arrivavano dalla Scozia i due forti e lenti rimorchiatori che l’avrebbero trainata per migliaia di km, il Bustler e il Dexterous, i brasiliani asportarono dal suo scafo tutto ciò che poteva tornare utile per armare altre navi.

Finalmente, i due rimorchiatori presero in consegna la corazzata e il 20 settembre 1951 partirono da Rio de Janeiro.

Il viaggio fu, come si può immaginare, lento e lungo. Poiché la Sao Paulo non aveva più i motori ma aveva ancora i timoni e con questi poteva manovrare assecondando i movimenti dei rimorchiatori e agevolando il compito di questi, a bordo rimasero stabilmente otto uomini, comandati da un tecnico di nome William Painter. Comunicavano con gli equipaggi dei rimorchiatori tramite dei walkie-talkie dalla portata piuttosto limitata.

Il tempo, che inizialmente era stato sereno, cominciò a diventare sempre più ventoso dalla metà di ottobre. Il 3 novembre, al largo delle Azzorre ossia a circa due terzi del viaggio, il piccolo convoglio si trovò proprio in mezzo a un uragano, con il mare forza 12 nel quale si alzavano onde che superavano i 15 metri. La violenza delle onde era tale da sbattere i due rimorchiatori uno contro l’altro e anche contro la nave, anche perché i cavi che li tenevano attaccati a questa limitavano le loro possibilità di movimento.

Finché, dopo essersi consultati con gli otto uomini a bordo della nave, i comandanti dei due rimorchiatori decisero di staccare i cavi e abbandonare momentaneamente la Sao Paulo. Questa aveva già affrontato in passato altri uragani senza particolari danni. Una volta passata la tempesta, i rimorchiatori sarebbero tornati presso la nave per riattaccare i cavi e riprendere il viaggio.

Scendeva la notte. Nonostante il buio e le onde, i due rimorchiatori non si persero mai di vista. Invece, la Sao Paulo, che era in grado di accendere solo poche luci, presto non fu più visibile.

Il mattino dopo, 4 novembre, il cielo era tornato sereno e i due rimorchiatori si misero in cerca della nave, convinti di trovarla entro qualche ora al massimo. Invece, il giorno dopo, la stavano ancora cercando. A quel punto, il Dexterous, che era stato danneggiato dalla tempesta, ebbe un’ulteriore avaria che fece temere un suo prossimo affondamento. Il rimorchiatore dovette dirigersi alla massima velocità possibile verso Lisbona, primo porto disponibile.

Fu inevitabile, a quel punto, diramare l’SOS per la nave scomparsa. Le ricerche partirono tempestivamente e furono portate avanti da tre flotte, una inglese, una statunitense e una portoghese, che batterono palmo a palmo l’area della scomparsa dal 7 al 10 novembre. Non trovarono nulla, nemmeno una delle due solide scialuppe che erano state installate a bordo della Sao Paulo per l’eventuale evacuazione degli otto uomini.

Altre flotte navali e aeree estesero l’area della ricerca, fino al 5 dicembre, quando la Sao Paulo fu dichiarata ufficialmente dispersa insieme agli otto uomini che trasportava.

La notizia fece il giro del mondo, destando grande impressione. In Italia, a scriverne, fu Dino Buzzati sul Corriere della Sera, in un articolo-racconto uscito l’11 dicembre, La tragedia della Sao Paulo, in cui immaginava la nave trasportata dalla violenza della tempesta in un’altra dimensione spazio-temporale, con gli otto uomini che si ritrovavano su di essa, consapevoli ma invisibili come i personaggi del film The Others, nel mondo di quarant’anni prima.

A qualcuno questa può sembrare una ipotesi fantasiosa, ma non è nulla rispetto a quanto si trova ancora oggi su diverse pagine web in cui si parla espressamente di rapimento da parte degli alieni, o di altre ipotesi del genere “triangolo delle Bermude”.

La realtà, come fu accertato, era molto più terra terra

L’Ammiragliato britannico condusse un’approfondita inchiesta sul fatto. Le conclusioni di questa furono esposte durante una serie di udienze tenute tra il 4 e l’8 ottobre 1954 presso il tribunale di Londra, nelle quali la corte presieduta dal giudice Hayward ascoltò diversi testimoni e periti.

In sintesi, la prima ragione della perdita della Sao Paulo fu ritenuta l’insolita e inaspettata violenza della tempesta. Ma fu sottolineata anche una impressionante serie di errori umani, in parte responsabilità delle autorità brasiliane e in parte responsabilità delle ditte inglesi coinvolte.

Le autorità brasiliane avevano dato il nulla osta alla partenza convinte che lo scafo potesse tenere tranquillamente il mare in tutte le condizioni. Ma questo non era verosimile, perché le prove al riguardo erano state fatte con la nave a pieno carico, mentre prima della partenza erano stati rimossi gli armamenti, i serbatoi del carburante e diversi elementi delle sovrastrutture: ragione per cui il baricentro della nave, non più stabilizzata dal peso, si era sollevato, rendendo molto più probabile il ribaltamento in caso di onde alte o violente.

I cantieri di Greenock avevano appaltato la preparazione della nave per il viaggio a due ditte, la Ensign Rigging Company e la Salvage Company. Per lucrare il massimo guadagno possibile, gli interventi erano stati fatti con scarso criterio. La rimozione degli armamenti aveva lasciato lo scafo pieno di feritoie aperte in cui l’acqua delle onde sarebbe entrata facilmente, quindi era stato necessario chiuderle con piastre metalliche, ma le saldature non erano state fatte a tenuta stagna. Né si era predisposta una forma di compartimentazione per limitare i danni qualora la nave avesse imbarcato acqua da un lato. Anzi, tutte le porte stagne erano state rimosse ed eventuali infiltrazioni di acqua avrebbero potuto arrivare dappertutto senza incontrare alcun ostacolo.

Alla luce di quanto visto, appare difficile immaginare come la Sao Paulo potesse rimanere a galla durante una tempesta così forte. Forse si deve considerare già un miracolo il fatto che non fosse affondata prima, trascinando con sé i due rimorchiatori. Gli 8 uomini a bordo perirono, semplicemente, inghiottiti dalla forza del mare.


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