14 dicembre 1911. L’esploratore norvegese Roal Amundsen è divenuto il primo uomo ad aver messo piede al Polo Sud. Poco più di un mese dopo, sarà la volta del britannico Robert Falcon Scott, protagonista di un’ultima, triste ed eroica marcia fatale tra i ghiacciai antartici, dai quali non tornerà vivo. Il gelo, la fatica, lo scorbuto e la mancanza di viveri lo porteranno alla morte. Il 29 marzo, scriverà le ultime, angoscianti, frasi del suo diario:
“Non credo che per il momento si possa sperare in cose migliori. Resisteremo fino alla fine, ma ci stiamo indebolendo, naturalmente, e la fine non può essere lontana. Sembra un peccato, ma non credo di poter scrivere di più. Per l’amor di Dio, abbiate cura delle nostre famiglie”

Un’eredità raccolta
Al suo ritorno, Amundsen ha goduto di una gloriosa acclamazione per la conquista del Polo Sud. Tuttavia, presto le critiche, dirette in buona parte dai britannici, sarebbero divenute sempre più rumorose. I veri eroi sono stati i suoi cani (molti dei quali sono morti cruentemente), si sostiene. Il martire Scott è il vincitore morale della corsa al Polo, rinforzano altri. Si plasma un mito attorno alla sua figura. Robert è omaggiato come un vero eroe; un esploratore modello, umano e sportivo, al contrario dello spregiudicato norvegese.

I giornali parlano orgogliosi dell’impresa di Scott. C’è chi chiede di insegnare nelle scuole la sua storia. A St Paul si celebra il funerale. Il suo ultimo desiderio viene esaudito e le famiglie dei deceduti compensate con fior di sterline. Monumenti sorgono ovunque, insieme a istituti e musei, che si accaparrano i suoi cimeli.

Oltretutto, gli inglesi mal sopportano di essere stati battuti in un’impresa geografica. Ma non tutto è perduto. Altri obiettivi si profilano all’orizzonte: ad esempio, la traversata del continente antartico, impresa di doppia, e anche più, fatica rispetto al mero raggiungimento del Polo. Altre grandi avventure potranno essere raccontate ai posteri, sulle audaci spedizioni britanniche e sul valore degli avventurieri del grande impero, incarnanti i valori attribuiti al loro predecessore e incisi sulla croce innalzata in sua memoria: “Sforzarsi, cercare, trovare, e non cedere”.
“Fossimo sopravvissuti, avrei avuto una storia da raccontarvi sull’ardimento, la resistenza e il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni britannico”
(R. Falcon Scott)

La morte dell’eroe popolare Scott lascia spazio a un altro grande nome dell’esplorazione: Ernest Shackleton, una vecchia conoscenza di Robert, con cui ebbe, qualche anno prima, una piccola discussione sul punto da cui le rispettive spedizioni avrebbero dovuto partire.

Shackleton si propone di giungere in Antartide su due navi: l’Endurance avrebbe sbarcato gli uomini nella Baia di Vahsel, da cui sarebbero partiti, a bordo delle slitte, alla volta dell’altra parte del continente; l’Aurora avrebbe puntato al Mare di Ross, dal quale sarebbero iniziati i punti di rifornimento. Altri uomini avrebbero eseguito studi scientifici sulla fauna e sulle condizioni meteorologiche, raccolto campioni geologici e compiuto osservazioni idrografiche.

La Spedizione Endurance
8 Agosto, 1914. Il Regno Unito ha dichiarato guerra alla Germania solo pochi giorni prima. Le navi sono pronte e possono salpare, con il benestare del Primo Lord dell’Ammiragliato (il capo politico della Royal Navy), Winston Churchill. Ricevuta la bandiera britannica dal re, la compagnia lascia Plymouth, verso Buenos Aires, dove si trova in attesa il capo della spedizione: Shackleton, arrivato nella grande città argentina poco prima, a bordo di una nave più veloce. Il viaggio si prospetta tranquillo, funestato esclusivamente dalla preoccupazione per la guerra scoppiata in Europa e per l’incolumità dei propri cari. Tuttavia, si pensa che questa sarebbe finita abbastanza in fretta, più o meno entro sei mesi. Il viaggio, dunque, prosegue. Inizia
“l’ultima grande avventura nella storia dell’esplorazione del Polo Sud”

5 Dicembre, 1914. Il cielo è coperto di nubi; nevica. Le navi lasciano la Georgia del Sud, dopo un mese di permanenza, nel quale hanno raccolto informazioni dai balenieri locali circa le condizioni del Mare di Weddell (in Antartide). Il ghiaccio arriva ad alte latitudini e costituisce un grosso problema nell’avvicinamento al continente, persino durante l’estate; è stato consigliato, dunque, di tentare la traversata tra febbraio e marzo. Il capitano è preoccupato: il Mare di Weddell è inospitale, il ghiaccio si accumula facilmente, il vento manca di forza e le correnti spingono il ghiaccio verso la costa, creando una morsa letale. E’ consigliabile trovare un porto sicuro.

22 Dicembre, 1914. La rotta per il Mare di Weddell si è rivelata, come previsto, irta di insidie. Gli iceberg sono stati incontrati ad una latitudine abbastanza alta e il loro numero è aumentato via via che si è proceduto verso sud, mentre il mare aperto ha già lasciato spazio al pack. Pinguini, foche e volatili antartici si mostrano di quando in quando ai forestieri. L’Endurance rimane, spesso, bloccata dal ghiaccio, ma finalmente riesce a ripartire più spedita, almeno fino a quando il maltempo, dei giorni seguenti, non la costringerà nuovamente a sostare.

8 Gennaio, 1915. Il tempo è generalmente buono, ma il ghiaccio continua a lasciare ben pochi passaggi. A malapena ci si è ricordati di festeggiare il capodanno. Ogni tanto gli uomini lasciano la nave per giocare a football sul ghiaccio, mentre i cani si sgranchiscono un po’ le zampe. Si intravedono le orche e le balenottere. Il pack è sempre più sciolto. Ed ecco il mare aperto. Si osservano i ghiacciai in lontananza, alla ricerca di una grande parete di ghiaccio incontrata dalla nave Scotia, nel 1904, riconosciuta il 15 Gennaio. I giorni seguenti verranno trascorsi alla ricerca di un approdo, trovato in Glacier Bay, ma si trovavano ancora troppo a nord rispetto a Vahsel Bay.

19 Gennaio, 1915. La notte, il ghiaccio chiude in una morsa la nave. Quando questa non è bloccata, le burrasche la obbligano a trovare un riparo. L’avanzata, nonostante tutto, procede. In lontananza si può scorgere la terraferma. La nave è immobilizzata e alla deriva, trasportata dalle correnti. Nemmeno vele e motori insieme hanno la forza di liberarla.
“Tutto indossa un aspetto di irrealtà. Gli iceberg sono appesi a testa in giù nel cielo; la terra appare come strati di nuvole argentee o dorate. I banchi di nuvole sembrano terraferma, gli iceberg si mascherano da isole o nunatak, e la lontana barriera a sud è proiettata alla vista, anche se in realtà è fuori dal nostro campo visivo. La cosa peggiore di tutte è l’apparenza ingannevole del mare aperto, causata dalla rifrazione di acque lontane”

22 Febbraio, 1915. Tempo permettendo, si cerca di togliere il ghiaccio che continua a formarsi attorno al vascello. Ogni tanto si fanno lavorare i motori a pieno regime, per sfruttare ogni minima apertura; ma tutto pare inutile. Per fortuna il morale è ancora alto. Gli uomini sanno che non sarà un’impresa facile, ma nemmeno Shackleton si aspettava un’estate tanto fredda. Si cacciano le foche e ci si prepara all’inverno. Vengono approntati dei rifugi per i cani, sul ghiaccio, e appena se ne ha l’occasione si gioca a calcio o a hockey.

La Perdita dell’Endurance
Le bufere abbassano la temperatura. Grosse formazioni di ghiaccio si avvicinano pericolosamente alla nave, sulla quale l’equipaggio lavora incessantemente per approntare nuovi spazi in cui vivere. La caccia continua: serve più carne di foca possibile. Alle 9 si fa colazione, alle 13 il pranzo, il tè alle 16 e la cena alle 18. Di tanto in tanto si esplora, a piedi, l’area circostante, si scattano fotografie e si raccolgono campioni, mentre la morsa conduce la nave verso nord-ovest.

17 Marzo, 1915. Si addestrano i cani a seguire gli ordini del conducente della slitta. Cade la neve. Nel cielo gli uomini osservano uno spettacolare miraggio, il riflesso degli iceberg dipinto sulla tela di un tramonto rosso cremisi. Una vista decisamente migliore della pioggia di fuoco cui dovevano assistere i loro connazionali in Europa.

1° Maggio, 1915. Il sole è tramontato per l’ultima volta. E’ iniziata la notte polare. A malapena si è vista la luce solare tra mezzogiorno e le quattordici. L’oscurità è attenuata dall’aurora e da una splendida luna piena, mentre gli allegri schiamazzi dei marinai spezzano la monotonia della scena. I mesi seguenti passeranno in gran tranquillità.

1° Agosto, 1915. Il sole ha già ripreso a fare capolino, man mano che l’Endurance è andata alla deriva verso nord. Il ghiaccio che la comprime si sfalda e si ricompone, inclinandola sul lato sinistro e producendo inquietanti scricchiolii. Paura e speranza si equivalgono nell’animo di Shackleton, che osserva la sua compagna conscio di non poterla riparare a causa del movimento delle lastre di ghiaccio, che proseguono la loro pericolosa opera di pressione.

25 Ottobre, 1915. Le lastre di ferro, le assi e le travi si piegano. I rumori sono forti e spaventosi. La nave trema, fatalmente assediata da immensi blocchi, che s’innalzano e si scagliano contro il fianco.
“Eravamo impotenti intrusi in uno strano mondo… Non osavo quasi sperare, ora, che l’Endurance sarebbe sopravvissuta”
Si lavora in continuazione, ma la situazione è chiara: non resta che sbarcare le scialuppe, le provviste, le slitte e le attrezzature, e portarle là dove in ghiaccio è più stabile.

27 Ottobre, 1915. La nave è perduta. Inizia a inabissarsi. Il piano è di marciare verso l’Isola di Paulet o Snow Hill. Non c’è tempo per piangere e disperarsi, bisogna rimanere attivi e non perdere la speranza. La nuova missione è sopravvivere. Intanto viene allestito un campo. Pochi giorni dopo, un piccolo gruppo, guidato da Shackleton, partirà per tracciare un sentiero e raggiungere il mare, affrontando bufere di neve e temperature rigidissime, prima di accamparsi, in quello che chiameranno Ocean Camp.

Il Viaggio verso la Salvezza
23 Dicembre, 1915. L’Endurance è ormai, completamente colata a picco. Dopo aver celebrato l’addio a Ocean Camp e festeggiato con un lauto pasto un Natale anticipato, riprendono la marcia, fermandosi nuovamente, il 29 Dicembre, a Patience Camp, dove affronteranno i terribili morsi della fame. La carenza di vettovaglie, presto, avrebbe reso necessario uccidere i cani: cibo per i marciatori e meno bocche da sfamare. Anche una piccola razione può fare la differenza tra la vita e la morte.

9 Aprile, 1916. Raggiungere Paulet Island si è rivelato poco conveniente. Circa due settimane prima, hanno raggiunto la sua latitudine. La deriva li porta ancora più a nord. Shackleton ha preferito ordinare la navigazione verso Elephant Island. Il ghiaccio, oltretutto, continua a sciogliersi, dunque la partenza è d’obbligo.
“L’uomo può sostenere la vita con mezzi molto scarsi. Gli orpelli della civiltà vengono presto messi da parte di fronte alla dura realtà“

15 Aprile, 1916. I viaggiatori hanno navigato nel labirinto di lastre e iceberg all’estremità del Mare di Weddell. Sono attraccati, di quando in quando, sui blocchi di ghiaccio in scioglimento. Hanno potuto ammirare stormi di procellarie, balene e orche fiondarsi nei succulenti banchi di pesce. Si sono riscaldati con le scorte di grasso di balena, grazie alle quali hanno potuto sciogliere il ghiaccio con cui dissetarsi. Il freddo, la neve e la pioggia li hanno messi duramente alla prova; persino il cibo è risultato difficile da scongelare, con la temperatura che è scesa anche sotto di ventinove gradi. Ma, finalmente, sono arrivati a Elephant Island, un’isola disabitata e poco visitata dai balenieri. Non possono aspettare lì; qualcuno deve andare a chiedere aiuto.

24 Aprile, 1916. Shackleton ha deciso di partire con alcuni uomini a bordo di una barca, la James Caird, alla volta della Georgia del Sud, “attraverso 800 miglia di burrascoso oceano sub-antartico“. Così, si parte. Il mare fa sin da subito onore alla sua temibile reputazione. I venti, le correnti e le onde rendono il canale di Drake uno dei bracci di mare più insidiosi al mondo. Ogni due ore gli uomini si danno il cambio al timone, ma il riposo è arduo, a causa delle vessanti intemperie.

10 Maggio, 1916. Il tragitto è stato estenuante. Mai i navigatori hanno visto onde tanto imponenti. Più volte hanno temuto di ribaltarsi e perire in quelle terribili acque. Ma sono, comunque, sbarcati in Georgia del Sud, a King Haakon Bay. Da lì Shackleton e due compagni si muoveranno verso la stazione di balenieri di Stromness, cui arriveranno il 20 Maggio, esausti, affamati, con barbe e capelli lunghi, volti segnati dalle fatiche, lasciando decisamente stupefatti gli abitanti del porto.

Le missioni di salvataggio sarebbero state presto organizzate, ma, a causa delle condizioni avverse, solo il 30 Agosto riusciranno a salvare il gruppo di Elephant Island. Shackleton tornerà in Inghilterra il 29 maggio 1917, privato, dalla Guerra, degli onori che tradizionalmente sarebbero spettati al protagonista di una grande impresa esplorativa, purtroppo conclusasi con un fallimento e la perdita della fedelissima Endurance, che sarebbe stata, poi, ritrovata il 5 Maggio 2022 dal Falklands Maritime Heritage Trust.