Invariabilmente verso Nord: la morte dell’esploratore Roald Amundsen

14 dicembre 1911. Un uomo ha appena toccato il punto più meridionale del globo: il Polo Sud. Quell’uomo si chiama Roald Amundsen, un esploratore dei record, uno dei più audaci sognatori di sempre.

Spregiudicato, caparbio, ma soprattutto preparato, era arrivato dove nessun’altro prima era riuscito ad arrivare. Tornato in patria fu accolto come eroe. Nessuno metteva in dubbio la sua integrità e validità come esploratore, nonostante non fossero mancate critiche al crudele trattamento riservato ai cani della spedizione e all’aver tenuto segreto lo scopo del suo viaggio, specialmente a Robert F. Scott. Fu alla notizia della morte di quest’ultimo che, in Inghilterra, il sentimento verso Amundsen cambiò rapidamente. Scott era diventato un martire, dipinto come eroico, nobile, gentile; mentre Amundsen, al contrario, incarnava la vana gloria, il disperato desiderio di ascesa, la spregiudicatezza. Nonostante ciò, il valore del norvegese come esploratore non poteva essere intaccato. I risultati c’erano ed erano incontestabili.

Oscar Wisting, Olav Bjaaland, Sverre Hassel e Roald Amundsen al Polo Sud – immagine di dominio pubblico via Wikipedia

La conquista del Polo Sud, tuttavia, non soddisfava pienamente il norvegese, il cui sogno, fin da bambino, era giungere per primo all’altro capo del mondo. La notizia della presunta vittoria di Peary, nel 1909, aveva fatto sfumare i suoi progetti. Non importava che fosse vera o falsa: ormai era Peary lo scopritore del Polo Nord.

Intanto, il 1914 era giunto. La Grande Guerra aveva bloccato le esplorazioni e fu necessario attenderne la fine. Eccoci, così, negli anni ’20, durante i quali tenterà, fallendo, di giungere al Nord lasciandosi trasportare, su una nave, la Maud, da correnti e movimento dei ghiacci, andando alla deriva nel mar Glaciale. Nel ’25 Amundsen entrerà in contatto con un ingegnere dell’aeronautica italiana: tale Umberto Nobile, il quale aveva fatto esperienza, anche fallimentare, durante la Guerra e il dopoguerra in materia di progettazione e costruzione di dirigibili. Amundsen aveva ormai cinquantatré anni. Una spedizione a piedi o in slitta sarebbe stata molto faticosa. Oltretutto, l’aviazione aveva compiuto passi da gigante, dunque, perché no, perché non tentare il sorvolamento del Polo!? Per Amundsen l’importante non era arrivare a piedi, ma arrivare, essere il primo, in qualsiasi modo, a prescindere dai mezzi usati. Sapeva che:

il futuro delle esplorazioni polari giace nell’aria

La Maud tra i ghiacci – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’esploratore era molto interessato ai velivoli. Faceva progetti, incontrava esperti, si spostava in continuazione. Il suo desiderio era volare dall’Alaska alla Norvegia: sarebbe stato il primo a sorvolare l’Oceano Artico, ancora in gran parte inesplorato, da un continente all’altro. Per la raccolta di fondi servivano motivazioni più allettanti della semplice conquista “sportiva”: la spedizione avrebbe, difatti, dovuto compiere osservazioni scientifiche circa l’influenza dell’Artico sul clima del pianeta. Elementi scientifici e sentimentali andavano a unirsi nelle sue avvincenti conferenze. Egli era, inoltre, un’autorità in materia di esplorazioni e ciò, già di per sé, rappresentava una garanzia.

Nel ’22, decise di collaudare due aeroplani sorvolando gli Stati Uniti da New York a Seattle, ma i due mezzi caddero miseramente in Pennsylvania. Un altro fallimento lo collezionerà in Alaska. Anche lui non poteva fare miracoli. La raccolta fondi prese una brutta piega. I finanziamenti si trovavano, ma ottenerli era una faticaccia. Oltretutto sempre più voci denigratorie si levavano infierendo sull’esploratore, intento a fare ricerche in materia di aviazione.

Amundsen in compagnia di esperti di aviazione a Washington, nel 1922 – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Come se non bastasse Amundsen era finito nelle mani di un losco uomo d’affari, reo di averlo sommerso di debiti. I creditori lo assediavano. L’irriducibile eroe stava crollando; era oppresso, schiacciato dalla ferocia dell’opinione pubblica, soprattutto compatriota, in un momento in cui le conferenze non erano più avvincenti come qualche tempo prima: solo storie sentite e risentite.

Ad alimentare un po’ l’interesse sarà la teoria del continente artico. Quella zona era ancora in gran parte inesplorata e sognare non era certo vietato. I governi norvegese e statunitense, oltretutto, bramavano di vedere, a tutti i costi, le rispettive bandiere piantate su quell’ipotetica terra, sulla quale avrebbero potuto collocare importanti basi aeree.

Mi sembrava come se il futuro si fosse chiuso saldamente contro di me e che la mia carriera di esploratore fosse giunta a una fine ingloriosa

Dettaglio di una mappa di Mercatore (1620) in cui era già rappresentata una terra al Polo Nord – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Tutto sembrava perduto, quando, nella sua camera d’albergo a New York, venne contattato da un ricco rampollo appassionato di spedizioni, Lincoln Ellsworth. Siamo arrivati al 1925. I due progettarono subito una spedizione, ma l’uso degli aerei fu presto sconsigliato. Piuttosto, il meccanico della spedizione propose di acquistare un dirigibile italiano, progettato dall’ingegnere e colonnello dell’Aeronautica italiana, Umberto Nobile.

Ma prima di intraprendere tale viaggio, tenterà nuovamente l’impresa con due aeroplani, fallendo nuovamente e atterrando nella distesa ghiacciata artica. Le provviste erano limitate, ma i velivoli potevano ancora volare. Il ghiaccio si apriva e richiudeva intorno a uno dei mezzi. Lo stress era ai massimi livelli. Lavoravano per approntare una pista e mangiavano pochissimo: tre biscotti, cioccolata calda e un po’ di zuppa. Dopo qualche settimana riuscirono a ripartire alla volta di Spitsbergen, dove in molti lo credevano ormai morto.

Il suo ritorno ribaltò il sentimento che l’opinione pubblica nutriva nei suoi confronti. Ora era un eroe. Diverse spedizioni erano partite alla volta dell’Artico o erano in procinto di salpare, ma lui era tornato senza bisogno di aiuti. Aveva sfidato la morte e una natura ostile, riuscendo a spuntarla anche questa volta. Norvegia e Stati Uniti festeggiavano. Amundsen era un simbolo: incarnava il prototipo del Grande Esploratore, l’ultimo grande esploratore.

Pubblicità per il film documentario americano The Amundsen Polar Flight (1925) riguardante la spedizione polare Amundsen-Ellsworth – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Per i curiosi il film si trova in versione integrale su YouTube:

A luglio, Amundsen incontrò Nobile a Uranienborg. Centomila dollari era il prezzo concordato per il dirigibile. Nobile avrebbe provveduto ad adeguarlo all’impresa, mentre Amundsen avrebbe attirato l’attenzione con viaggi e conferenze in Europa e in America. Avventura, pericoli, terre sconosciute e il curioso utilizzo dei dirigibili risvegliarono l’interesse della massa e dei media. Per i fascisti sarebbe stata un’occasione d’oro: avrebbero dimostrato il valore dell’aviazione italiana, protagonista di un’impresa d’interesse mondiale. Amundsen, tuttavia, preferiva evitare di rendere la sua futura conquista una vittoria della dittatura italiana: per questo rifiutò di far battere bandiera italiana al dirigibile Norse, o di inserire il colonnello tra i co-autori del libro della spedizione, che verrà denominata, però, Amundsen-Ellsworth-Nobile. Quest’ultimo, inoltre, non sarebbe stato il capo della spedizione, ma avrebbe comunque avuto il comando del dirigibile.

Il tempo stringeva. Molti erano gli occhi puntati sul Nord. Nelle grandi potenze mondiali si facevano piani, investimenti e preparazioni. Amundsen sentiva la pressione. Come un’aquila scrutava dall’alto delle montagne e della sua esperienza i rivali. Mentre questi puntavano a essere i primi ad arrivare al Polo, Amundsen voleva attraversare l’Artico dalla Norvegia all’Alaska. Il Polo era cinto d’assedio e la copertura mediatica enorme.

Umberto Nobile – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La partenza fu stabilita per l’11 maggio 1926. Per molti fu una notte insonne. Nessuno aveva mai tentato simile impresa. Il dirigibile avrebbe retto alle bufere artiche? Il vento spaventava tutti gli uomini, tranne Amundsen. All’ora di punta il Norge era pronto a partire. Le corde furono mollate e il mostro di 106 metri si liberò nell’aria, raggiungendo presto la banchisa artica, sorvolando foche e orsi polari. Il viaggio fu abbastanza tranquillo; si tenevano costantemente d’occhio la posizione, lo stato del gas e dei macchinari, cercando d’intendersi comunicando in inglese. Il 12 giunsero al Polo Nord. La precisione dei calcoli avrebbe impedito qualsiasi contestazione. Amundsen e il suo vecchio compagno di viaggio, Wisting (il quale lo accompagnò nella spedizione al Polo Sud) si strinsero la mano. Vennero tirate fuori le piccole bandiere nazionali, che lanciarono dal dirigibile, affinché si posassero sul tetto del mondo. Solo Nobile portò con sé una grande bandiera italiana (andando contro le sue stesse raccomandazioni: più peso avrebbe significato mettere in difficoltà il dirigibile), la quale rischiò di far fallire la missione impigliandosi nelle eliche.

Il Norge in partenza a Ciampino – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Conclusi i brevi festeggiamenti, il Norge si diresse verso l’Alaska, attraversando una fitta nebbia e rischiando di subire gravi danni a causa della formazione di ghiaccio, che cadendo avrebbe potuto danneggiare eliche, camera del gas e motori. La tensione era palpabile. Il viaggio sarebbe durato poco, ma il pericolo era sempre in agguato e l’insonnia prese il già stressato equipaggio. La radio aveva smesso di funzionare per il congelamento dell’antenna. Erano isolati nei cieli dell’Artico, su un velivolo precario e pieno di gas. Presto, però, raggiunsero le coste americane. Nessuna terra era stata avvistata nell’Artico. L’accoglienza per Amundsen non fu delle migliori; si aspettava di più; saranno i newyorkesi e i suoi compatrioti a rendergli l’onore dovuto a uno dei più grandi esploratori mai vissuti. L’entusiasmo della massa per lui era, dunque, un po’ altalenante, mentre Nobile ricevette tutto il calore possibile dalla comunità italoamericana di Seattle. Comunque, Roald aveva raggiunto il Polo Nord. Il sogno che si portava appresso fin da bambino era stato finalmente realizzato e tale conquista non avrebbe potuto essere messa in discussione.

Veduta dal dirigibile “Norge” in discesa sul ghiaccio sopra il Polo Nord: 12 maggio 1926 – immagine de La Biblioteca Nazionale sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0 via Wikipedia

Sia Nobile sia Amundsen iniziarono a viaggiare, tenendo conferenze separate. Il primo ne approfittò per fare propaganda fascista e trasformare la spedizione in un’iniziativa italiana, cui il celebre collega si era aggiunto solo dopo. Quest’ultimo, dal canto suo, nutriva sempre più risentimento per l’italiano. Non sopportava i fascisti e la loro superbia mista a vigliaccheria. Il colonnello non sarebbe neanche partito e, durante il viaggio, fu più propenso a fare concessioni ai suoi connazionali che agli altri membri dell’equipaggio, i quali dovettero addirittura ridurre al minimo bagagli e abbigliamento. E non solo: Nobile si considerava anche un superiore di Amundsen, reo di aver portato a bordo del dirigibile una massa di inetti fannulloni norvegesi. Scandinavi e italiani presero, così, ad affrontarsi a colpi di dichiarazioni pubbliche.

Amundsen, probabilmente a Seattle nel 1926 – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Amundsen si era fatto parecchi nemici, allontanandosi da vari ambienti e non risparmiando critiche a chiunque. Alcuni credevano fosse divenuto pazzo. Realizzato il suo sogno, gli rimanevano solo vecchi risentimenti. Ma il norvegese non era l’unico a provare questo sentimento. Nobile era nuovamente partito, col dirigibile Italia, alla volta del Polo. Voleva dimostrare di non aver bisogno di Amundsen. Partito da Milano nell’aprile del 1928, l’Italia attraversò l’Europa centrale, arrivando poi alle Svalbard (Norvegia) e al Polo il 24 maggio. Durante il ritorno, il dirigibile precipitò sulla banchisa, non molto lontano dalle isole norvegesi.

Dirigibile Italia – immagine di Bundesarchiv, Bild 102-05736 / Georg Pahl / CC-BY-SA 3.0 sotto licenza CC BY-SA 3.0 de via Wikipedia

Intanto, Amundsen era invitato a una cena in onore degli aviatori Wilkins ed Eielson, appena tornati da una vittoriosa traversata dell’Artico, quando arrivò la notizia della scomparsa del dirigibile Italia. Nobile e i suoi erano bloccati all’interno di una tenda colorata di rosso, in modo da renderla più visibile, con abbastanza cibo da resistere circa sette settimane. Roald non perse tempo e si offrì subito di andare alla ricerca di Nobile (portato, poi, in salvo il 23 giugno), mettendo da parte le vecchie ruggini e pensando a riottenere un po’ di gloria. Faceva, poi, ciò che ci si aspettava da un uomo del suo calibro. La luce che animava i suoi occhi si era già spenta. Aveva vissuto come esploratore e senza più grandi obiettivi era come se avesse perso sé stesso. Una controparte svedese del verniano capitano Hatteras. Aveva raggiunto il Polo Nord, lo scopo della sua vita, ma ancora puntava gli occhi a settentrione. Partì per l’Artico a bordo di un biplano francese il 18 giugno del 1928, scomparendo misteriosamente in un fitto banco di nebbia.

Finisce così, senza clamore, l’avventura terrena di Roald Amundsen, l’ultimo grande esploratore.

Latham 47, l’ultimo aereo pilotato da Amundsen – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

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