5 settembre 1946: a Stone Town, sull’isola di Zanzibar, nasce Farrokh Bulsara, figlio di Jer e Bomi Bulsara, entrambi di etnia parsi. Questo è quello che si può trovare digitando su Wikipedia o su qualsiasi motore di ricerca scrivendo il nome “Freddie Mercury”, ma ciò che la storia ci consegna è la nascita di una vera e propria Leggenda. D’altro canto era questo che diceva lo stesso Freddie, in tempi nono sospetti, prima dei Queen, prima di “Bohemian Rhapsody” quando, ancora studente all’Ealing Art College, si dilettava a suonare il pianoforte e a cantare:
Non voglio diventare una star, voglio diventare una leggenda
Sono stati scritti fiumi di parole su questo cantante eccezionale, ma noi desideriamo parlare del Freddie che era dietro alla “maschera” del frontman, quello che ha emozionato e continua a emozionare intere generazioni.

La vita di Freddie è stata raccontata in libri, video, film, ma credo che il “vero” Freddie lo si possa trovare nei testi delle sue canzoni. Lui è lì, anche se egli stesso diceva che una canzone era solo una canzone, qualcosa da ascoltare e via. Usa e getta. Ma non è così. Penso che non avesse la consapevolezza di quanto fossero importanti quelle note, quegli assoli, oltre le parole.
Il Freddie privato era molto diverso da quello pubblico. Apparentemente sfacciato, eccessivo e scandaloso sotto i riflettori, lontano dalle luci della ribalta e, attorniato da pochi e fidati amici, Freddie Mercury era semplicemente Fred, timido, quasi introverso. Jim Hutton, il suo ultimo compagno (gli amici sapevano che era “suo marito”) lo ha descritto con cura nel libro “I miei anni con Freddie Mercury” in cui si scopre un essere generoso, fragile, desideroso di essere amato e compreso…
Anche Peter Freestone, fedele assistente personale, nel suo testo “Freddie Mercury – una biografia intima”, lo descrive in questo modo, ma con una connotazione anche forte, un uomo con una profonda dignità e una generosità fuori dal comune.
Ripercorrendo le canzoni e le note delle sue canzoni, da quelle storiche a quelle meno note, possiamo “conoscere” un pò di più questo cantante, o come lo ha definito l’amico di sempre, Bryan May, nella scritta posta alla base della statua a Montreux: “Amante della vita – Cantante di canzoni”.
Partiamo dalla famosissima “Bohemian Rhapsody”. Quando a Freddie chiedevano quale fosse il significato del testo, che cosa desiderasse comunicare, lui, con il suo celebre sorriso, rispondeva che ciascuno poteva interpretare il testo come voleva, che una canzone non necessita per forza di un significato esplicito. Insomma evitava la risposta.
Più tardi, negli anni del pluripremiato ed omonimo film con Ramy Malek, lo stesso Brian May ha dichiarato che nemmeno i componenti della band erano a conoscenza del reale significato delle parole del testo. Quello che è chiaro a tutti, in ogni caso, è che “Bohemian Rhapsody” è considerata un vero e proprio capolavoro musicale (oltre che designato come primo video musicale nella storia).
Un pezzo nel quale si ritrova il Freddie intimo è “Somebody to love”. Nel testo, ma non solo. Freddie è dentro ogni nota, incarnato in quei vocalizzi che solo lui poteva creare. Tra le righe si comprende il desiderio di essere amato di essere accolto. Ma non finisce qui. Anche in “Crazy Little Thing Called Love” si percepisce l’animo di Freddie e tutta la sua ironia, oltre che la bravura nel suonare la chitarra classica (una canzone composta in pochi minuti nella vasca da bagno, ma vi rendete conto?). Non possiamo scordare la meravigliosa “Love of my life” dedicata a Mary Austin (prima fidanzata e successivamente amica e confidente), ma non finisce qui.
Tutti pensano ai brani di Freddie con i Queen, ma non dobbiamo dimenticare quelli da solista. Come non citare la struggente “Love Me Like There’s No Tomorrow” o “I was born to love you”. Tutti conoscono “Living on my own”, ma io rivedo Freddie nella celebre “The Great Pretender”. Le perle che ci ha donato sono tante, innumerevoli, e con il passare del tempo si scopre un Mercury più consapevole e maturo, non solo musicalmente ma anche stilisticamente.
Era il 1987 quando un entusiasta Freddie e una meravigliosa Montserrat Caballé registrarono uno degli album che lo resero più orgoglioso: “Barcelona”, appunto. Fu la cantate lirica Caballé a dare il nome all’album in onore della sua città. Freddie era un’amante dell’opera e considerava la voce di Montserrat una delle più belle in assoluto, cantare con lei significava il raggiungimento di un sogno e l’album è ammirevole.
Il brano “Barcelona” sarebbe diventato la colonna sonora delle Olimpiadi del 1992, che Freddie però non vide perché morì nel 1991, e segnò profondamente il cantante, tanto che in un’intervista del 1988 disse che si sarebbe dato solo all’opera! Ovviamente non è stato così, Mercury aveva ancora molto da fare nel mondo del rock. E’ nella canzone “How Can I Go On” che si denota non solo la sintonia tra i due cantanti, ma vi è come un connubio perfetto. Anni dopo, in un’intervista, la Caballé dichiarò che, mentre duettavano, anche i gesti erano sinonimo di quello che poi sarebbe accaduto: lei tenta di trattenerlo ma non ci riesce. Tutto ha un significato, pareva un saluto, un “arrivederci”. Quando rivedo quel video non posso fare altro che emozionarmi, “How Can I Go On” tocca le corde più sensibili, provate ad ascoltarla, si sente tutta la forza della voce di Freddie, tutto il suo cuore:
Dopo l’esperienza con Montserrat, Freddie torna in studio con i Queen e, insieme ai suoi compagni di viaggio, senza prevalere l’uno sull’altro, firmano ogni testo semplicemente con “Queen”, segno di un equilibrio ritrovato dopo anni di discussioni per rivendicare i diritti riferiti alla paternità dei testi. Un grande passo in avanti perché gli album che seguono sono veramente epici. Da “The Miracle” a “Innuendo” al mitico “Greatest Hits Two”. Una serie di capolavori. in particolare in “Greatest Hits Two” troviamo una serie di brani che lo rendono unico nel suo genere. A questo proposito, molti hanno definito “The show must go on” come il testamento spirituale di Freddie, ma non credo sia così. la canzone è travolgente ma rivedo Freddie soprattutto in “These are the days of our lives” anche se nata da Roger Taylor, che la dedicò ai propri figli. Jim Hutton, l’ultimo compagno di Mercury, ricorda il giorno in cui Freddie registrò il video, ed è struggente nell’ultima strofa, in cui abbassa la testa e con un sorriso, guardando in camera sussurra: “I still love you” – “Vi amo ancora”.
Si vede un Freddie smagrito, chiaramente allo stadio terminale della malattia, ma desideroso di dare tutto se stesso per il pubblico, senza contare che la voce si destreggia magistralmente tra le percussioni di Taylor, le vibrazioni della chitarra di May e il basso di Deacon.
Ma arriviamo all’album uscito postumo, dopo la dipartita di Freddie, avvenuta il 24 novembre 1991 a causa di una polmonite causata dalla sua patologia (HIV): “Made in Haven”. Quindicesimo album dei Queen , pubblicato il 7 novembre 1995. Una raccolta emozionante, semplicemente unica nel suo genere. Freddie sapeva di avere poco tempo, e nei mesi che precedettero la sua morte disse ai membri della band di dargli tutto ciò che desideravano, voleva lasciare tutto il materiale possibile da cantare, in modo che Bryan, Roger e John potessero finirlo. Bryan ricorda di non aver mai sentito Freddie lamentarsi, mai una volta, anche quando la malattia stava prendendo il sopravvento. Una dignità unica mista ad una voglia di vivere che lo ha pervaso fino alla fine.
I brani di questo pluripremiato album (4 volte disco di platino) hanno visto la luce in un modo molto diverso dagli altri, proprio perché ricostruito sulle tracce registrate da Mercury in precedenza, ma il risultato è sublime. “Mother Love” è il saluto di Freddie, in cui si riconosce ancora una voce cristallina che pervade mente e cuore… “Mama please, let me back inside” , un ritorno alle origini.
E che dire di “A Winter’s Tale”? Ultima composizione di Freddie. Mercury amava Montreux e il lago di Ginevra è stato fonte di ispirazione. Una musica calda in un’atmosfera serena. D’altro canto aveva dichiarato: “Se cerchi la pace dell’anima vieni a Montreux”. Per gli appassionati come me consiglio una visita al Queen – The Studio Experience, proprio a Montreux, un’esperienza travolgente.
In ultima analisi credo sia giusto ricordare che, a seguito della morte di Freddie, è nato “The Freddie Mercury Phonex Trust”, l’organizzazione di volontariato che cerca di combattere l’AIDS in tutto il mondo è stato fondato dai rimanenti membri della band, dal loro manager, Jim Beach e da Mary Austin.
Qualche lettura per approfondire:
Jacky Gunn – Jim Jenkins “Queen – la biografia ufficiale”, Arcana Editrice, 1993.
Jim Hutton con Tim Wapshott “I miei anni con Freddie Mercury”, Arnoldo Mondadori Editore, 1994.
Peter Freestone con David Evans “Freddie Mercury – una biografia intima”, Arcana Universale, 1998.