Poche persone, nel corso della storia, hanno avuto il potere di ispirare, motivare e influenzare le masse, rappresentando dei punti di svolta nelle vicende umane. Da discorsi politici che hanno cambiato il corso della storia, a discorsi motivazionali che hanno spinto le persone a superare ostacoli che pensavano insormontabili, questi messaggi hanno parlato e continuano a parlare, tutt’oggi, al cuore dell’umanità. Vediamone alcuni…
Discorso di Pericle agli Ateniesi
E’ il 431 a.C. In Grecia infuria la guerra del Peloponneso, scoppiata in seguito all’escalation di tensioni nate tra alcune poleis greche, che porteranno al conflitto aperto tra da due grandi potenze dell’epoca e le rispettive leghe, Sparta e Atene. In quest’ultima è Pericle a ricoprire l’alta carica di Stratego. Alla fine del primo anno di guerra, l’ateniese sostiene un orazione, una vera e propria lezione di civiltà, che mira a rafforzare lo spirito e la coesione dei cittadini ateniesi, tramandataci da Tucidide. Non sappiamo esattamente quanto l’autore sia rimasto fedele al vero discorso (non ci sono dubbi che l’abbia modificato, riprendendo perlomeno le idee principali); tuttavia, quello da lui riportato produrrà un incommensurabile echo, arrivato sino ai giorni nostri, capace di ispirare personalità del calibro di Hobbes, Nietzsche, Marx, More, Kant, Weber e forse Lincoln (studiosi quali G. Wills e L. Warren hanno trovato importanti somiglianze tra il discorso di Pericle e quello di Lincoln a Gettysburg).

Lo Stratego inizia onorando i defunti e rivendicando il finanziamento pubblico della cerimonia, per poi passare alle lodi di Atene, il cui governo, la democrazia, è un modello per gli altri popoli. Cita i valori di uguaglianza e libertà, fatti successivamente propri dalle future nazioni. Onora coloro che hanno dato la vita per una polis ricca di bellezza e virtù; per una città forte, unita nella felicità e nel dolore, orgogliosa del suo glorioso passato e della sua avanguardistica cultura. Incita i vivi a difenderla e a tramandarla ai propri figli. E’ un invito a guardare al futuro con fiducia e orgoglio, a non temere le difficoltà e i sacrifici. Un testo di grande attualità, un messaggio universale, che trascende i confini del tempo e dello spazio, e ci invita a riflettere sul nostro presente e sul nostro futuro.

“Abbiamo un sistema di governo che non emula le leggi dei vicini; ma siamo noi stessi un modello piuttosto che gli imitatori di altri. E quanto al nome, per il fatto che non si amministra lo stato nell’interesse di pochi, ma di una maggioranza, si chiama democrazia… Per una tale città questi uomini combatterono e morirono nobilmente, non volendo che fosse loro sottratta, ed è giusto che ognuno di quelli che sono rimasti sia pronto a soffrire per lei… Questi uomini voi ora emulateli, e considerando che la felicità consiste nella libertà e la libertà nel coraggio, non guardate con ansia ai pericoli della guerra… fortunati sono coloro cui tocca la fine più nobile… So che è difficile convincervi, giacché di questi figli avrete spesso il ricordo nel vedere le occasioni di felicità altrui…Ma bisogna sopportare, anche nella speranza di altri figli” (Tucidide Le Storie Vol. 1, a cura di Guido Donini , UTET Editore, Torino 1982)
Discorso di Papa Urbano II a Clermont
1095. Secondo alcune fonti successive gli eventi, il mondo cristiano è scosso da un appello straordinario lanciato da Papa Urbano II al Concilio di Clermont, in Francia. Egli ha chiesto ai fedeli di partire per la Terra Santa e liberare i luoghi santi occupati dai musulmani, intenti a minacciare anche l’impero bizantino. Il discorso di Urbano II, riportato, ad esempio, nelle Gesta Francorum, è un capolavoro di retorica e di persuasione, che ha scatenato un entusiasmo collettivo e una risposta immediata da parte di un gran numero di persone, che partiranno divise in varie spedizioni, in futuro raccolte sotto il vasto ombrello del termine “Crociate”. In realtà, tuttavia, non sappiamo neanche se il papa abbia pronunciato un discorso simile e di certo non ha mai bandito alcuna crociata: abbiamo solo fonti redatte successivamente.

Ciò che pare avesse in mente, non era semplicemente combattere i musulmani in Oriente e aiutare i colleghi cristiani bizantini, bensì allontanare la violenza dai regni cristiani europei. Le aristocrazie erano in fermento; davano grande importanza ai valori militari e spesso si confrontavano in accesi conflitti, che portavano loro grossi guadagni, a discapito del resto della popolazione e degli ecclesiastici, che si vedevano gravemente danneggiati dalle crude conseguenze delle guerre. La lotta ai musulmani diveniva, così, una valvola di sfogo per i nobili del tempo, che avrebbero potuto dimostrare il proprio onore e la propria forza nel lontano Medio Oriente. A partire saranno, però, anche i popolani, che raccolsero con entusiasmo la chiamata papale, sebbene questa non fosse la sua intenzione.

“… Dai confini di Gerusalemme e della città di Costantinopoli è venuta fuori una storia orribile, che molto spesso è stata portata alle nostre orecchie, e cioè che una razza del regno dei Persiani, una razza maledetta, una razza completamente alienata da Dio… ha invaso le terre di quei cristiani e le ha spopolate con la spada, il saccheggio e il fuoco; ha portato via una parte dei prigionieri nel proprio paese, e una parte l’ha distrutta con crudeli torture; o ha completamente distrutto le chiese di Dio o se ne è appropriato per i riti della propria religione… A chi dunque spetta, se non a te, il lavoro di vendicare questi torti e di riconquistare questo territorio?… Lascia che le gesta dei tuoi antenati ti muovano…
… Sia dunque questo il tuo grido di guerra nei combattimenti, perché questa parola ti è stata data da Dio. Quando viene sferrato un attacco armato contro il nemico, lascia che questo unico grido sia innalzato da tutti i soldati di Dio: Deus vult! Deus vult!” (Discorso di Urbano II)
Discorso di Martin Lutero alla Dieta di Worms
Andiamo avanti sino alla primavera del 1521. A Worms, in Germania, è in corso una Dieta, l’assemblea dei principi del Sacro Romano Impero, presieduta da Carlo V. Grande protagonista è il critico della Chiesa di Roma per eccellenza, l’appena scomunicato Martin Lutero, convocato per ritrattare le sue tesi.

Nelle sue 95 tesi, Lutero aveva rimproverato aspramente la Chiesa. Il papa, a suo dire, non aveva la facoltà di rimettere le pene. Condannava la vendita delle indulgenze, delle quali nega la validità. Il pontefice lo minacciò di scomunica con la bolla Exsurge Domine, minaccia concretizzatasi quando Lutero bruciò la bolla. Il mondo cristiano era stato scosso e il protagonista di tale terremoto venne chiamato a Worms per ritrattare. Il teologo si ergeva contro due dei poteri più grandi dell’epoca, convinto delle sue posizioni, dichiarando che solo con delle prove concrete avrebbe ritrattato. Fu uno dei momenti più importanti della riforma protestante.

“Ho composto, in secondo luogo, alcune opere contro il papato, in cui ho attaccato coloro che con false dottrine, vite irregolari ed esempi scandalosi, affliggono il mondo cristiano e distruggono sia il corpo che l’anima… Non è evidente che… le infinite estorsioni di Roma inghiottono i beni e le ricchezze della cristianità, e più in particolare di questo illustre regno?… Tuttavia, poiché sono un semplice uomo, e non Dio, mi difenderò come fece Gesù Cristo. Egli disse: “Se ho parlato male, dimostrami dove è il male” (Giovanni 18:23)
… Pertanto vi prego, per la misericordia di Dio, voi serenissimo imperatore, e voi illustri principi, e tutti coloro di alto e basso grado, di dimostrarmi con gli scritti dei profeti e degli apostoli che sono in errore. Non appena sarò convinto, ritirerò immediatamente tutti i miei errori, e sarò il primo ad prendere i miei scritti e gettarli nelle fiamme“. (History of the reformation…)
Discorso di Robespierre contro Luigi XVI
Siamo nel 1792: in Francia infuria la Rivoluzione. Il re, dopo aver tentato la fuga verso la Prussia, è stato riportato al palazzo delle Tuileries. La sua vita era appesa a un filo, mentre la folla, infuriata, saccheggiava la sua dimora. Qui vennero trovati documenti che testimoniavano il tentativo del sovrano di chiedere aiuto alle potenze straniere e di corrompere alcuni membri della Convenzione (l’assemblea che deteneva i poteri legislativo ed esecutivo), affinché parlassero in suo favore. Proprio la Convenzione doveva decidere il suo destino. Il 10 dicembre 1792 iniziava il processo, durante il quale anche il celebre Robespierre terrà un discorso.

Condannare o graziare il re deposto? Questa era la grande questione. Per Robespierre non doveva essere presa una decisione giudiziaria, ma politica: la Rivoluzione andava preservata e se Luigi fosse stato processato da un tribunale e assolto, allora le ribellioni e le vessazioni inflittegli sarebbero state condannabili, avrebbero potuto essere vane e causare un ritorno al potere, insieme a nuove oppressioni e conseguenti ribellioni. Serviva un taglio netto. Si interroga sul ruolo della Repubblica e del re, della sua pericolosità, e del pericolo che le conquiste ottenute col sangue degli oppressi potessero essere minate. Il 21 gennaio 1793, Luigi XVI verrà ghigliottinato.

“Luigi non è un accusato; non siete giudici… Un re detronizzato, nella Repubblica, serve solo a due scopi, o per turbare la tranquillità dello Stato e per scuotere la libertà; o per rafforzare entrambi… Qual è, infatti, il partito che la sana politica prescrive per cementare la nascente Repubblica? È incidere profondamente nei cuori il disprezzo per la regalità e stupire tutti i seguaci del re… Proporre di processare Luigi XVI, in qualsiasi modo, significa retrocedere verso il dispotismo reale e costituzionale; è un’idea controrivoluzionaria; perché sta mettendo in discussione la Rivoluzione stessa. Infatti, se Luigi può ancora essere oggetto di un processo, Luigi può essere assolto; potrebbe essere innocente… Ma se Luigi venisse assolto, se Luigi può essere presunto innocente, cosa ne sarà della Rivoluzione?… Il processo al tiranno è l’insurrezione; il suo giudizio è la caduta del suo potere; il suo dolore, quello richiesto dal popolo libero. I popoli non giudicano come i tribunali giudiziari; non pronunciano sentenze, scagliano fulmini… Quanto a me, detesto la pena di morte elargita dalle vostre leggi, e non ho né amore né odio per Luigi… Ma Luigi deve morire, perché il Paese deve vivere” (The principal speeches…, H. M. Stephens, 1892)
Discorso di Gandhi contro il Dominio Britannico
1942. Il pianeta è nuovamente funestato dalla guerra. Gli imperi coloniali sono ormai prossimi alla fine. Persino il grande impero britannico è minacciato da questa tendenza anti-coloniale. L’India era stanca di soffrire il dominio inglese: le guerre, le tasse, le vessazioni. La folla manifestava e gli scioperi aumentavano insieme agli scontri con la polizia. In questo contesto si inserisce Mohāndās Gāndhī, divenuto presto simbolo della disobbedienza civile e non violenta; e grande protagonista della marcia del sale, la sfida all’odiato monopolio britannico; fortemente ammirato da figure quali King e Mandela.

Tra il 7 e l’8 agosto, Gandhi lancerà il movimento Quit India, allo scopo di promuovere e raggiungere l’indipendenza dell’India. Verso la mezzanotte tenne un appassionato discorso inaugurale, in cui chiese al popolo indiano di resistere, senza usare violenza, al dominio coloniale britannico e di lottare per l’indipendenza, senza farsi consumare dall’odio. Questo discorso, noto come il discorso “Quit India”, diede il via a un movimento di massa che sfidò le autorità inglesi con scioperi, manifestazioni e disobbedienza civile. Gandhi fu arrestato il giorno dopo, insieme ad altri leader indiani, ma il suo messaggio continuò a ispirare milioni di indiani a ribellarsi contro l’oppressione e a reclamare la loro libertà. L’India diverrà una Repubblica nel 1950.

“… sono lo stesso Gandhi che ero nel 1920. Non sono cambiato in nessun aspetto fondamentale. Attribuisco alla nonviolenza la stessa importanza che attribuivo allora. Se non altro, la mia enfasi su di essa è diventata più forte… La nostra non è una corsa al potere, ma puramente una lotta non violenta per l’indipendenza dell’India. In una lotta violenta, è stato spesso noto che un generale di successo effettua un colpo di stato militare e instaura una dittatura, ma secondo la prospettiva del Congresso, essenzialmente nonviolenta, non può esserci spazio per la dittatura. Un soldato della libertà non violento non desidererà nulla per se stesso, combatte solo per la libertà del suo Paese… Il potere, quando verrà, apparterrà al popolo indiano… Credo che nella storia del mondo non ci sia stata una lotta per la libertà più genuinamente democratica della nostra… Nella democrazia che ho immaginato, una democrazia fondata sulla nonviolenza, ci sarà uguale libertà per tutti. Ognuno sarà padrone di se stesso. È per unirsi a una lotta per tale democrazia che vi invito oggi. Una volta che vi renderete conto di questo, dimenticherete le differenze tra indù e musulmani e penserete a voi stessi solo come indiani, impegnati nella comune lotta per l’indipendenza.
Ho notato che c’è odio verso gli inglesi tra la gente. Le persone dicono di essere disgustate dal loro comportamento. Il popolo non fa distinzione tra l’imperialismo britannico e il popolo britannico… La nostra lotta non è con il popolo britannico, noi combattiamo il loro imperialismo. La proposta per il ritiro del potere britannico non è nata dalla rabbia. È venuta per consentire all’India di svolgere il proprio ruolo nell’attuale momento critico. Non è una posizione felice per un grande Paese come l’India limitarsi ad aiutare con denaro e materiale ottenuto da lei, volente o nolente, mentre le Nazioni Unite stanno conducendo la guerra… So che il governo britannico non sarà in grado di negarci la libertà, quando avremo fatto abbastanza sacrificio. Dobbiamo, quindi, purificarci dall’odio” (Quit India)