Zenobia: la figlia del deserto che sfidò Roma

Era la regina di Palmira, importante stazione carovaniera dell’area Siro-Palestinese, situata nell’odierna martoriata repubblica araba della Siria. Zenobia (in arabo az-Zabba) era nata nella sua Palmira, la città soprannominata la Sposa del deserto, nel 240 d.C., epoca durante la quale l’impero romano, sotto il giovanissimo imperatore Gordiano III, traversava la cosiddetta crisi del III secolo, segnata da una serie di malumori interni, dalla forte pressione dei nemici, sia a Ovest che a Est, e da vari tentativi di secessione, come quella che ebbe luogo nel Regno di Palmira, punto nevralgico per i commerci tra Occidente e Oriente e regione a stretto contatto coi parti, grossa potenza che estendeva il suo dominio dall’Eufrate alla Persia.

A quel tempo l’area era sotto il controllo dei sasanidi, subentrati nel 224 alla dinastia degli arsacidi, e storicamente intenzionati, fin dai loro primi sovrani, Ardashir I e Sapore I, a riprendersi i territori orientali caduti in mano romana o a Roma molto legati. Tra questi il più importante era appunto il Regno di Palmira, sito sulla Via della seta e prossimo alle province romane di Siria, Mesopotamia, Cilicia e Arabia.

Romantico ritratto di fantasia della regina prigioniera, di Sir Edward Poynter (1878) “Tea, Sympathy, and perfume”

Fotografia di Sir Edward Poynter di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Fu grazie a Zenobia – Julia Aurelia Zenobia per i romani – che Palmira nel 267 ribadì la propria indipendenza da Roma, trasformandosi in una monarchia. In quell’anno, Zenobia, autoproclamatosi idealmente discendente della celebre regina d’Egitto Cleopatra, arci nemica di Roma, aveva conquistato il potere, gestito almeno ufficialmente assieme al figlio Vaballato, dopo aver fatto assassinare il marito Settimio Odenato, re di Palmira, fedele a Roma e assai poco interessato alla causa partica che viceversa aveva attirato l’attenzione della consorte.

Non esistono sculture o fonti chiare e super partes che possano descriverci l’aspetto di Zenobia, ma la leggenda la tramanda come una donna estremamente affascinante, oltre che colta, ardita e preparata in ambito militare. Di certo non possedeva i caratteri nordici di Anita Ekberg, l’attrice svedese che la personificò nella pellicola peplum del 1959 “Nel segno di Roma”, ma più verosimilmente aveva una carnagione scura e capelli e occhi corvini.

Sotto, il trailer di “Nel segno di Roma”:

Seppur inizialmente vista con ammirazione e stima dall’impero romano – che le concesse il titolo di Augusta e i territori che la stessa aveva conquistato a scapito del medesimo impero – Zenobia, regina dei re di Palmira, diventò presto una seria minaccia per il suo “sogno delirante di oscurare l’impero romano” attraverso l’unione delle regioni d’Oriente (“Antar” di Eliana Iorfida, Vertigo).

Fu così che l’imperatore romano e valoroso generale, Lucio Domizio Aureliano, salito al trono nel 270, organizzò delle campagne per fronteggiare le genti secessioniste di Palmira che mettevano a serio rischio il suo dominio sul Vicino Oriente e l’Asia Minore.
Oltre ad avere grandi mire espansionistiche, infatti, Zenobia cominciava a dare molto fastidio per le sue azioni atte a sottolineare la sua indipendenza da Roma, come battere moneta e camminare per le vie di Palmira avvolta nel manto color porpora tipico delle alte classi romane.

Resti di una delle porte fortificate delle mura di Palmira

Fotografia di O. Mustafin – Opera propria condivisa via Wikipedia con licenza CC0

Le prime battaglie contro i palmireni – a Immae ed Emesa – furono vinte dai legionari e cavalieri romani, molto più attrezzati ed esperti rispetto all’esercito, seppur indomito e numeroso, di Zenobia (presente in prima persona alla battaglia di Emesa) e del suo primo generale Zabdas nel quale spiccavano i clibanarii, cavalieri interamente coperti da un’armatura ferrea così come i loro cavalli, che ripercorrevano lo stile dei cavalieri catafratti sasanidi.

Iscrizione in greco e aramaico di Giulio Aurelio Zenobio a Palmira

Fotografia di MyOlmec – Opera propria di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La battaglia decisiva si svolse nel 272 a Palmira e vide Zenobia, che in precedenza aveva rifiutato la proposta di resa da parte di Aureliano, chiedere il sostegno dei sasanidi e in particolare del loro sovrano Sapore I, nel tentativo, oramai disperato, di riuscire a ribaltare le sorti della contesa.

La figlia del deserto confidava anche nell’aiuto che le condizioni climatiche del deserto avrebbero potuto dare al suo esercito, in caso di una prolungata resistenza, più abituato alla siccità e alla sete; ragionamento che ricorda molto l’approccio alla guerra dei vari eserciti russi dell’Ottocento e Novecento. Sfortunatamente per la regina palmirena, le speciose condizioni dell’oasi di Palmira non si rivelarono un problema per l’assortito e attrezzato esercito romano.

Fu così che la regina Zenobia, fuggita in groppa a un dromedario – animale assai veloce, d’altronde il suo nome, dal greco antico greco “dròmas”, significa proprio corridore – e prossima a guadare l’Eufrate, fu intercettata dagli attenti cavalieri romani lungo la strada che l’avrebbe condotta al cospetto del re sasanide.

I resti della città di Palmira

Fotografia di James Gordon condivisa via Wikipedia con licenza CC BY 2.0

Dando dimostrazione di molta scaltrezza, oramai spacciata, la regina denunciò i raggiri che i suoi sottoposti avrebbero fatto nei suoi confronti per farle perdere il conflitto. I romani furono in un certo senso abbindolati da queste dichiarazioni e Zenobia riuscì a salvare la pelle.

Comunque sia, catturata la sovrana, Aureliano conquistò agevolmente il Regno di Palmira, giustiziò il generale palmireno Zabdas e iniziò a organizzare il ritorno a Roma, città verso la quale avrebbe dovuto condurre la regina Zenobia per il processo.

L’ultimo sguardo della regina Zenobia su Palmira durante l’assedio romano di Herbert Schmalz

Fotografia di Herbert Gustave Schmalz di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

In questa circostanza l’imperatore romano dimostrò molto garbo e una certa galanteria nei riguardi della donna: anche conscio, come scrisse lo storico bizantino Zenobio, della scarsa pubblicità che la cattura di una signora gli avrebbe potuto conferire, decise di legarla con delle catene d’oro, concedendo alla regina, meritato o meno, l’onore delle armi.

Successivamente a quella vittoria, Aureliano fu nominato Restitutor orbis, Restauratore del mondo, per la sua capacità nel riunificare i territori romani insidiati dai sovrani orientali che desideravano l’indipendenza.

Sono tre le versioni che raccontano gli ultimi giorni di Zenobia, la regina che voleva realizzare l’utopia di rendere il suo regno indipendente da Roma.

La prima, quella che incontra meno favori storici, vuolae la donna deceduta lungo l’estenuante cammino da Palmira a Roma – altre fonti, invece, sostengono che a perire strada facendo sia stato il figlio Vaballato. La seconda, più apprezzata da storici e appassionati di storia, vorrebbe invece Zenobia giungere a Roma, sfilare per le vie dell’impero con le catene d’oro in mostra e poi morire per fame e malattia. La terza, quella che appare più romanzata, propende addirittura per l’innamoramento dell’imperatore Aureliano per la bella regina d’Oriente, che sarebbe perciò stata graziata in onore alla sua bellezza e inviata a scontare un esilio dorato in una villa di Tibur, l’attuale Tivoli, dove avrebbe costruito una nuova vita e dato alla luce anche alcuni figli.

La resa della regina Zenobia di Palmira – dipinto di Giovanni Battista Tiepolo

Fotografia di Giambattista Tiepolo – Web Gallery of Art di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

E di Palmira invece cosa ne è stato?

La città siriana, il cui nome originario in aramaico era Tadmor, termine che significa palma, fu ricostruita più volte nei secoli immediatamente successivi la breve parentesi indipendentistica, ritornando importante centro di confine contro le potenze dell’Est, fin quando, conquistata dai musulmani nel VI secolo, intraprese il lento e irreversibile declino.

L’edificio principale del tempio di Bel fotografato nel 2005, prima di essere distrutto

Fotografia di upyernoz – Flickr condivisa via Wikipedia con licenza CC BY 2.0

La Sposa del deserto è stata riscoperta in seguito a una campagna di scavi avvenuta a partire dalla fine del Seicento e dal 1980 è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità Unesco grazie al contributo dell’archeologo siriano Khaled al-Asaad. Nel 2015 il sito archeologico è stato oggetto degli attacchi terroristici dello Stato Islamico (ISIS), scoppiati con la guerra civile siriana, che ne hanno cancellato definitivamente gran parte della storia. Nel corso della scorreria, fu ucciso tramite decapitazione anche al-Asaad, oppostosi fino all’ultimo momento alla volontà dei terroristi di sapere dove si trovassero alcune antiche opere del sito.

Palmira era un gioiello giunto sino alla nostra epoca per ricordarci la forza della grande Regina Zenobia e il suo desiderio d’indipendenza dall’imperialismo di Roma, ma nulla ha potuto contro il fanatismo religioso dei fondamentalisti islamici.

Antonio Pagliuso

Appassionato di viaggi, libri e cucina, si occupa di editoria e giornalismo. È vicepresidente di Glicine associazione e rivista, autore del noir "Gli occhi neri che non guardo più" e ideatore della rassegna culturale "Suicidi letterari".