Nel Maryland, al St. Mary’s Catholic Cemetery di Rockville, una lapide reca la scritta “Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”. Questa frase, tratta dall’indimenticabile grande opera di Francis Scott Fitzgerald “Il Grande Gatsby”, sembra destinata ad accompagnare, unendoli infine nella morte, Francis e Zelda Fitzgerald.
Precoce talento letterario, Francis Scott Fitzgerald incontrò la donna destinata ad influenzare e ispirare la sua straordinaria produzione letteraria a una festa in Alabama, nel 1918. Un ballo con la giovane e frizzante Zelda Sayre, donna dalla perturbante bellezza e dal carisma disarmante, bastò al giovane Fitzgerald, allora ancora un semplice soldato, per innamorarsene perdutamente. Il lunghissimo corteggiamento si concluse infine con un matrimonio che ebbe luogo poco dopo l’uscita di uno dei primi successi di Fitzgerald ‘Di qua dal paradiso’. La nascita della figlia Francis e la pubblicazione del seguente ‘belli e dannati’ sancirono l’apoteosi per la coppia d’oro incoronata dal successo, dal benessere e dalla conquistata popolarità.
Eppure la fama e la prosperità raggiunta non seppero sottrarre al suo logorio un matrimonio spinto sempre più al limite, dimenandosi tra tumultuose liti, gelosie, ripetute infedeltà e dallo spasmodico uso di alcool.
Considerata una delle prime flapper girls (ragazze emancipate), Zelda non era come la maggior parte delle ragazze del proprio tempo. La sua personalità scoppiettante, il suo carattere irruento e noncurante colpirono l’attenzione della sua generazione rendendola un’icona di stile, il simbolo dell’era d’oro del jazz e la musa ispiratrice di Fitzgerald. Al di là dalle esaltazioni, dagli eccessi e dalle manifestazioni più superficiali dell’essere, Zelda possedeva un talento poliedrico incanalato nella danza, nella pittura e nella scrittura.
Figura contesa da libri e da film che cercano di ricostruirne il ruolo nella tormentata coppia Francis-Zelda, Zelda a volte appare come causa dei mali, dell’alcolismo e degli scompensi del marito, con un’influenza negativa sulle finanze e sull’assetto familiare. Altre versioni la dipingono come una donna-vittima, succube di un marito autoritario, che trova spesso furtiva ispirazione negli scritti di lei, che ne comprime il genio, confinandone nell’ombra il dono letterario.
Sofferente per una patologia mentale che l’accompagnerà nel corso di tutta la sua vita, Zelda visse diversi ricoveri presso degli istituti psichiatrici e fu durante uno di questi ricoveri obbligati che ella, lontana dal marito, elaborò il romanzo “Save me the Waltz”, traducibile come “Lasciami l’ultimo Valzer” e concepito da Zelda come atto di propria intima rivelazione al mondo e a se stessa.
Romanzo non gradito a Fitzgerald, che anzi esplose con rabbioso disappunto in merito all’opera, vista come una sorta di furto letterario che depredava la raccolta dei momenti vissuti insieme durante i viaggi tra Inghilterra, Francia e Italia, spingendosi sino alle accuse di plagio che imporranno alla donna una revisione dello scritto. Tiepidamente accolto in America, il romanzo fu invece grandemente apprezzato in Gran Bretagna, dove ben pochi anni dopo la morte della donna il Times Literacy Supplement definirà lo stile di quest’opera: potente e memorabile.
Oggi ricordiamo Francis Scott Fitzgerald per la sua opera maestra “The Great Gatsby”, impostasi all’attenzione dei giovani in special modo in seguito alla recente trasposizione cinematografica operata da Baz Luhrmann ne “Il Grande Gatsby”. Emblema della tragedia del mito americano, Gatsby pare ripercorrere la stessa vita del suo creatore, dipingendo con realismo estremamente contemporaneo la disfatta e la fugacità di quel mito americano che aveva fatto presa su gran parte di quella generazione affamata di successo, soldi e potere, di cui lo stesso Fitzgerald faceva parte. In “Gatsby”, Fitzgerald esprime inoltre uno dei concetti più intimi ed umani del suo essere: nel corso di tutto il libro Gatsby è spesso descritto nella contemplazione di una luce verde, quella proveniente dalla dimora della donna amata; una luce costante, monito di una speranza persistente ed intramontabile, incarnata da un Gatsby che inevitabilmente si trascina nell’illusoria attesa del ritorno della donna amata che in realtà non potrà più esistere al suo fianco.
L’inquietudine e il tormento amoroso che contraddistingue il legame di Francis e Zelda sembra perciò scandito in piccole pillole all’interno della sua produzione letteraria. Esiste un parallelismo costante ed evidente tra i libri di Fitzgerald e la vita reale da entrambi vissuta. Se per Zelda lo sfogo autobiografico fu “Save me the Waltz”, per Francis fu per certi versi “The Great Gatsby”; ma il libro che più di ogni altro raccoglie l’esperienza di vita di Fitzgerald è certamente “Tenera è la Notte”, titolo che omaggia un’amore che vive nell’oscurità e che rende questa tragica oscurità più dolce. Qui la malinconica nota autobiografica è più che mai palesata dai personaggi dello psichiatra Nick Diver e della Moglie Nicole Warren, sua infelice ex-paziente, anche lei come Zelda sofferente per la malattia mentale e dipendente dalle cure del marito, ma che da esso si distacca non appena comprende di possedere le risorse necessarie per intraprendere una propria strada.
Sotto, la versione Cinematografica de “Il Grande Gatsby” del 1974, con Robert Redford e Mia Farrow:
La stanchezza morale e fisica di Fitzgerald si ripercossero, nell’ultimo periodo della sua vita, nel disincanto e nel venir meno di quell’estro creativo che avevano reso grande lo scrittore.
Fitzgerald morì precocemente in seguito a un infarto nel 1944, Zelda lo seguì pochi anni dopo, nel 1948, nell’incendio divampato nell’ospedale psichiatrico in cui era ricoverata.
Riuniti nella morte, Zelda e Francis restano oggi due delle personalità artistiche più rinomate del novecento. Protagonisti dell’età del Jazz, toccati dal miracolo del grande sogno americano, vissero insieme il successo e la decadenza, la vittoria e la sconfitta della Grande Depressione; sempre alla ricerca di una felicità più grande ma non più possibile, arrancando per sopravvivere nell’altalenante marea delle loro esistenze e complesse personalità.
Come Fitzgerlad scrisse in “Belli e Dannati”:
“E questo mi ha insegnato che non si può avere niente, non si può avere assolutamente niente. Perché il desiderio inganna. E’ come un raggio di sole che guizza qua e là in una stanza. Si ferma e illumina un oggetto insignificante e noi poveri sciocchi cerchiamo di afferrarlo: ma quando lo afferriamo il sole si sposta su qualcos’altro e la parte insignificante resta, ma lo splendore che l’ha resa desiderabile è scomparso…”.