Il genio, questo sconosciuto.
Quando entriamo in una chiesa moderna, raramente facciamo caso alle immagini che ne decorano le pareti o le vetrate. Non si tratta di opere acclamate, chissà quale sconosciuto le ha realizzate su commissione. Lo stesso vale per le illustrazioni dei libri religiosi moderni.
Eppure, a guardare tutte queste immagini con attenzione, spesso ci rendiamo conto che sono unite dal filo invisibile di uno stile comune. Uno stile essenziale, che non si ritrova praticamente in nessun altro genere di illustrazioni. È come se il cristiano del XX secolo coltivasse un immaginario religioso particolare, diverso da quello dei secoli precedenti.
Il rapporto tra arte e religione è sempre stato stretto e proficuo. Nemmeno i più fanatici anticlericali possono negare il ruolo delle istituzioni religiose nel commissionare e conservare opere d’arte stupende e immortali che altrimenti non avremmo mai avuto. Se anche non avesse dato null’altro di buono all’umanità, la religione, e in particolare il cristianesimo, avrebbe comunque un senso per tutta la straordinaria arte che ha prodotto.
Disputa del Sacramento (1509) di Raffaello
Nel XX secolo però, questo rapporto diventa più complesso, perché l’arte di questo periodo non si presta più tanto facilmente a quelle interpretazioni didascaliche che rappresentano il messaggio veicolato dall’immagine per volontà del committente (anche se, nella stessa immagine, un bravo artista può inserire elementi che lo rendono molto meno didascalico: vedi ad esempio i quadri di argomento sacro di Caravaggio). Né si può pensare di imporre agli artisti uno stile che non sia al passo con i tempi. Così come tutte le forme di arte, anche quella sacra si è evoluta nel corso dei secoli.
Caravaggio, Crocifissione di san Pietro, 1601
La massima influenza sull’immaginario religioso del XX secolo è stata esercitata da un gruppo di pittori inglesi che si ispirarono apertamente all’arte italiana del XV secolo (un’arte, quindi, composta nella stragrande maggioranza da opere su soggetti sacri), contaminandola con elementi di stile palesemente modernista e servendosene per rappresentare qualcosa che, comunque, si richiamava al tempo contemporaneo.
Non intendevano produrre arte sacra e spesso non erano neanche religiosi, ma riuscirono ugualmente a intercettare le esigenze che i cristiani del XX secolo volevano esprimere.
Il nome più importante in quest’ambito è stato a lungo poco noto e sottovalutato, sia per la particolarità di questo stile, molto diverso da quelli che monopolizzavano il mercato delle opere d’arte, sia perché è quello di una donna, che oltretutto morì prematuramente, Winifred Knights.
Winifred Knights
Immagine via Wikipedia – Giusto Uso
Secondo diversi critici moderni, Winifred Knights potrebbe essere tranquillamente considerata la più importante pittrice inglese del XX secolo. Eppure, fino a non molto tempo fa, era conosciuta solo come la prima moglie di Walter Thomas Monnington (1902-76), ottimo pittore e a lungo presidente della Royal Academy. Oggi la situazione sembra essersi invertita, nel senso che è più facile ricordare Monnington come marito della geniale pittrice Winifred Knights.
Un’opera di Walter Thomas Monnington: caccia Halifax e aerei Hurricane che cooperano in azione – 1943

Infatti, già nelle sue prime opere, in cui appare ancora alla ricerca di uno stile personale che però si sta definendo, i temi del lavoro operaio e della guerra sono apertamente presenti, come ad esempio nel quadro “Leaving the Munition Works”.
Leaving the Munition Works
La Slade la licenziò nel 1920 con un premio per il quadro “Mill Hands on Strike”; l’anno dopo, la Knights vinse l’ambitissima borsa di studio per la pittura decorativa messa in palio dalla British School at Rome con uno dei suoi quadri più celebri, “The Deluge”.
“The Deluge”, che oggi si può ammirare alla Tate Britain di Londra, rappresenta già il punto di maturità del suo stile ed è una delle opere che hanno maggiormente influenzato l’immaginario religioso del XX secolo. Anche se il soggetto viene dichiarato come ispirato al Diluvio Universale della Bibbia, in realtà l’autrice lo reinterpreta alla luce del timore di un nuovo conflitto mondiale (del quale il Diluvio è appunto una metafora), timore che purtroppo si rivelerà fin troppo fondato.
The Deluge
In quest’opera, Knights inserisce anche un proprio autoritratto, nella figura in primo piano che è l’unica a guardare indietro.
Studi degli ultimi anni hanno evidenziato che, come per tutte le sue opere più importanti, la pittrice lavorò in modo instancabile alla composizione del quadro, che fu preceduto da una miriade di disegni preparatori.
Grazie alla borsa di studio, Knights poté vivere per quattro anni in Italia, dal 1921 al 1925, risiedendo ad Anticoli Corrado, un paesino in provincia di Roma che oggi è chiamato “il paese degli artisti e delle modelle” proprio perché ha ospitato i soggiorni di molti artisti.
Ma nella pagina di Wikipedia italiana relativa a questa località, tra i nomi dei maggiori artisti citati, quello della Knights è assente, a sottolineare come nel nostro paese la grande pittrice inglese, che amò moltissimo l’Italia, sia ancora tutta da scoprire.
Confine d’Abruzzo: Barca con tre persone su un lago
In Italia, Knights studiò a lungo l’arte del XV secolo che aveva già imparato ad apprezzare dalle illustrazioni dei libri, e produsse diversi quadri, tra cui un altro capolavoro, “The Marriage of Cana”, completato nel 1923.
Di nuovo l’artista sceglie un soggetto biblico, pur non considerandosi seguace di nessuna confessione religiosa. Di nuovo prende ispirazione dalle opere sacre che ama, ma ne contamina lo stile con elementi dell’arte moderna. A interessarle è la vicenda umana, del sottofondo metafisico le importa poco.
Il pranzo di nozze si svolge a Villa Borghese e il Cristo, colto nel momento in cui trasforma l’acqua in vino, non è subito riconoscibile, in quanto non aureolato. Oltretutto è in parte nascosto dalla figura di una donna china sugli orci proprio davanti a lui, per la quale fece da modella la sorella dell’autrice. La quale si ritrae di nuovo seduta al tavolo: è la donna sulla panca più vicina al Cristo. Osservatori attenti hanno anche notato la presenza del suo allora fidanzato (un altro bravo pittore, Arnold Henry Mason, vissuto dal 1885 al 1963) che impersona l’uomo dalle braccia conserte seduto dalla parte opposta, e quella dell’uomo che nel 1925 la Knights avrebbe sposato, il già citato Monnington (è l’uomo seduto accanto a lei).
The Marriage at Cana
Quest’opera ebbe una vita molto tormentata, perché inizialmente poco apprezzata.
La Tate e la British School, per le quali passò, non la esposero e la tennero chiusa in deposito. Il Fitzwilliam Museum di Cambridge la rifiutò, ufficialmente per mancanza di spazio. Infine, nel 1958, la British School riuscì a rifilarla alla National Art Gallery of New Zealand, che così si ritrovò a ricevere un capolavoro contemporaneo senza nemmeno rendersene conto.
Tornata in patria, la Knights lavorò regolarmente, esponendo in gallerie importanti come la Duveen e la Imperial di Kensington. Fu anche cooptata nel New English Art Club, ma non espose in nessuna delle sue mostre.
The Santissima Trinita
Il miglior modo di guadagnare per un pittore è stato sempre quello di dipingere su commissione. Le commissioni non sono mai state facili da ottenere e, per dedicarsi alle poche che riusciva ad avere, Knights finì purtroppo per lasciare molte opere incompiute. Fortunatamente riuscì a completare un altro dei suoi capolavori, l’inquietante “The Santissima Trinita”.
Le commissioni importanti che ottenne sono essenzialmente due.
Alla prima si dedicò dal 1928 al 1933 ed è la pala d’altare per la cappella di San Martino da Tours nella cattedrale di Canterbury, un trittico che mostra delle scene della vita del santo. Ad esso, l’artista si dedicò con il solito scrupolo e, ovviamente, il lavoro richiese un tempo adeguato. Questo fece innervosire il responsabile dei lavori, l’architetto Sir Herbert Baker, che voleva invece completare tutto il più rapidamente possibile e le rese quindi la vita un inferno. Oltretutto, il risultato non piacque per niente al decano della cattedrale, Hewlett Johnson, che fece spostare l’opera in una cappella più piccola e defilata, quella della Madonna nella cripta. Molto tempo dopo, il trittico della Knights è stato riportato nella sua posizione originaria e oggi viene presentato ai visitatori come una delle più importanti opere d’arte presenti nella cattedrale.
Scenes from The Life of Saint Martin of Tours
La seconda commissione la ottenne, insieme al marito e ad altri artisti, dal filantropo e mecenate Stephen Courtauld, il quale aveva acquistato insieme alla moglie Virginia l’Eltham Palace, un enorme palazzo storico nei dintorni di Greenwich che era stato una importante residenza reale dal XIV al XVI secolo e stava andando in rovina.
Knights, Monnington, l’interior designer svedese Rolf Engströmer e il decoratore italiano Piero Malacrida si occuparono di restituire al palazzo il suo antico splendore, lavorando soprattutto all’ampliamento del salone centrale. Purtroppo una parte del lavoro finì danneggiata dai bombardamenti tedeschi. In seguito è stato effettuato un nuovo restauro del sito da parte dell’English Heritage, che lo gestisce ancora oggi.
Winifred Knights aveva un suo stile caratteristico anche nel vestire. Si ispirava soprattutto alla moda contadina (sia quella italiana vista ad Anticoli Corrado sia quella inglese vista nel Worchestershire quando era sfollata durante la Grande Guerra), con ampie gonne lunghe fino alle caviglie, semplici camicette abbottonate, cappelli scuri a tesa larga, collane e orecchini di corallo.
The Goose Girl
Nel 1928, Knights mise al mondo un bambino morto, e questo evento la depresse profondamente, anche perché le ricordò la morte del fratello prediletto nel 1914. Quando ebbe un altro figlio, John, nato nel 1934, il timore di perderlo la fece diventare una madre iperprotettiva, tanto che non affidò mai il bambino a nessuna tata e se lo portò sempre dietro per non perderlo mai di vista. Questo genere di preoccupazioni finì per condizionare molto anche il suo lavoro.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le sue ansie si aggravarono ulteriormente. In pratica, trascorse tutto il conflitto cambiando continuamente residenza nel timore di finire sotto i bombardamenti, trascinandosi dietro il bambino e mettendo a dura prova la pazienza del marito, che la lasciò nel 1946. Durante questi anni, si limitò a produrre solo pochi schizzi per far passare il tempo al figlio.
Il 5 febbraio 1947, da un momento all’altro, cadde svenuta, apparentemente senza una ragione. Portata in ospedale, gli esami mostrarono la presenza di un tumore cerebrale molto esteso. Morì senza riprendere conoscenza due giorni dopo. È possibile che la malattia, sicuramente rimasta in incubazione per molti anni, abbia contribuito non poco alle stranezze del suo comportamento.
Sui giornali non apparve nessun necrologio a ricordarla.
Per vedere la prima retrospettiva sul suo lavoro, organizzata dalla Dulwich Picture Gallery, è stato necessario aspettare il 2016.
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