Il nostro mondo, così come lo conosciamo adesso, ha preso forma attraverso una lunga serie di trasformazioni che hanno reso più o meno importanti, nella nostra società, degli elementi anziché degli altri. Una delle trasformazioni più importanti è stata sicuramente quella rappresentata dalla Rivoluzione Industriale, maturata tra il XVIII e il XIX secolo, grazie alla quale il capitale è diventato il principale punto di partenza per la creazione della ricchezza (mentre prima lo era il possesso della terra) attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato.
Per trattare ogni minimo aspetto delle conseguenze di ciò, occorrerebbero migliaia di pagine. Alcuni aspetti sono però tendenzialmente sottovalutati dagli studiosi di oggi e quindi rappresentano nuove interessanti strade da battere per la ricerca. Un esempio di questo ci viene proposto da Bill Bryson, famoso umorista, viaggiatore e divulgatore, nel libro “Breve storia della vita privata”, quando tratta della vita degli ecclesiastici inglesi di campagna in questo periodo. Apprendiamo così che questi signori, vivendo tranquilli di piccole rendite in cambio delle quali dovevano semplicemente amministrare sacramenti, confortare chi era in difficoltà personale e tenere le funzioni nelle feste comandate, godevano di molto tempo libero e, essendo generalmente piuttosto istruiti, spesso capitava che lo impiegassero compiendo studi umanistici o scientifici di rilievo per puro diletto. Inventavano piccoli strumenti sorprendentemente utili, intrattenevano rapporti epistolari con scienziati famosi, stimolandone le attività con interessantissime riflessioni, scoprivano preziose testimonianze storiche, archeologiche e filologiche e le preservavano dalla distruzione, ecc.
Non stupisce, dunque, il fatto che alcuni di essi siano ricordati per contributi di una certa importanza a qualche disciplina scientifica, né che una piccola minoranza sia arrivata a occupare, nella propria vita, delle cattedre universitarie.
In mezzo a tante figure meritevoli di maggiori approfondimenti, spicca però quella incredibilmente eccentrica di William Buckland. Un uomo davvero geniale, ma originale ai limiti della follia, anche se le sue stranezze nascevano da rispettabilissime esigenze scientifiche e soprattutto umanitarie.
Sotto, William Buckland:
Nel XIX secolo, moltissimi benestanti avevano una così scarsa considerazione dei poveri da desiderarne lo sterminio o addirittura agire spudoratamente in modo da favorirlo. Quando l’Irlanda, all’epoca parte dell’Impero Britannico, alla fine degli anni ’40 soffrì di una gravissima carestia in seguito alla perdita del raccolto delle patate infestate dal fungo Peronospora, entrambe le Camere del Parlamento inglese avrebbero potuto votare provvedimenti che alleviassero la tragica situazione che stavano vivendo gli irlandesi, ma si rifiutarono di farlo, sostenendo che gli irlandesi, buoni solo a cantare, ballare e fare figli, erano dei fannulloni di cui il mondo avrebbe fatto volentieri a meno. Con questa scelta, si condannarono alcuni milioni di persone alla morte per fame, mentre un numero quasi equivalente si salvò solo emigrando negli Stati Uniti e poche altre in Australia e altri paesi del Commonwealth.
Fortunatamente, non tutte le persone importanti erano così disumanamente insensibili e, perfino tra chi era seguace di idee politiche conservatrici, non mancavano figure illuminate che, vuoi per spirito religiosamente caritatevole, vuoi per un istintivo senso di solidarietà verso il prossimo in difficoltà, si preoccupavano di avviare e finanziare progetti sociali che favorissero la diffusione dell’istruzione, il miglioramento delle condizioni di lavoro e qualsiasi cosa potesse aiutare i poveri a emanciparsi dalla miseria.
Buckland era uno dei più sensibili a questi temi, e decise di tentare una ricerca mai vista prima:
L’identificazione di tutti gli alimenti commestibili
Ai nostri occhi moderni, uno scienziato come Buckland apparirebbe simpaticamente strambo anche senza questo lavoro. Nato nel 1784, fu un ottimo geologo, un appassionato paleontologo, scopritore di alcuni tipi di dinosauro, e un pioniere dello studio dei coproliti (le feci fossilizzate degli antichi animali estinti, da cui apprendiamo quasi tutto ciò che sappiamo sulle loro vite). Fu apprezzato corrispondente dei maggiori scienziati del suo tempo e i suoi lavori vennero ampiamente citati anche da Charles Darwin nelle sue principali opere. Però Buckland restava un uomo del suo tempo, in tutto e per tutto. Max Planck ha scritto che una teoria scientifica non si impone tanto per la forza dell’idea che porta quanto per la scomparsa, nel tempo, di tutti gli scienziati della generazione precedente, incapaci di accettarla.
Sotto, una caricatura di Buckland:
Infatti Buckland (come diversi altri scienziati che pure Darwin citò ripetutamente, come Richard Owen, Louis Agassiz e Federico Delpino) restò sempre un fissista, convinto che l’Universo fosse stato creato in sei giorni e che la Terra avesse al massimo poco più di 6.000 anni, come appariva compatibile con il libro della Genesi. Sostenne che i fossili appartenessero agli animali estinti sia durante il Diluvio Universale sia in altre successive catastrofi di portata planetaria, aderendo a quella corrente di pensiero molto diffusa tra gli scienziati del primo ‘800, che andava appunto sotto il nome di “catastrofismo”.
Ma torniamo al suo lavoro più originale, quello che ha maggiormente contribuito a renderlo famoso. In Italia ne abbiamo saputo qualcosa soprattutto grazie a un naturalista e divulgatore inglese, Hugh Aldersey-Williams, che ne ha parlato nel suo libro “Anatomie”.
Buckland svolse la sua attività di ricercatore soprattutto presso il Christ Church College di Oxford e poi presso il Westminster College di Londra, presso il quale fu anche decano. Durante la sua presenza a Oxford, tra le tante incombenze, per un certo periodo dovette occuparsi anche della mensa degli studenti. All’epoca, le malattie infettive dell’apparato respiratorio, come la tubercolosi, mietevano tante vittime quanto il cancro adesso, ma si trattava per lo più di vittime giovani, e gli studenti di Oxford, sebbene molto più fortunati dei loro coetanei sfruttati nelle fabbriche e nelle miniere, non facevano eccezione. Buckland sapeva che un organismo robusto era in grado di affrontare e debellare la malattia prima che questa si aggravasse, e si pose seriamente il problema di far mangiare gli studenti il meglio possibile. Tuttavia, il budget che l’università gli assegnava era troppo ridotto per apportare importanti cambiamenti alla dieta, per cui si mise in testa di cercare altri cibi nutrienti ma facilmente reperibili e a basso costo.
Così, decise di diventare la propria cavia e di testare su se stesso l’eventuale tossicità di qualunque potenziale tipo di cibo proteico, ossia di provenienza animale
Nel tempo, questa ricerca sarebbe diventata un’ossessione che lo avrebbe dominato completamente.
La ricostruzione dell’ossessione di Buckland è piuttosto difficile, perché lo scienziato non ha lasciato nessuno scritto sul tema. Tutto ciò che sappiamo ci è arrivato dalle testimonianze di suoi contemporanei più o meno famosi.
Ad esempio, il collega paleontologo Richard Owen racconta che, una volta, a casa di Buckland, mangiò della carne che apparentemente era di tacchino, poi però Buckland gli rivelò che era di struzzo (la carne di struzzo, sebbene non diffusissima, è oggi un alimento tranquillamente consumato, allora era evitata da tutti e non conosciuta come commestibile).
Sotto, Richard Owen con uno scheletro di coccodrillo:
Il poeta John Ruskin riporta (si spera ironicamente) in una pagina del suo diario di aver declinato con molto rammarico un invito a casa di Buckland, per una cena in cui sarebbero stati serviti toast farciti con topi.
Un’altra testimonianza, purtroppo meno circostanziata (non si sa chi l’abbia riferita e dove si sia verificato il fatto), racconta che, durante una visita a un’antica cattedrale sul Continente, a Buckland fu mostrata una macchia scura sul pavimento, che la devozione popolare indicava come lasciata dal sangue di un martire decapitato. Allora Buckland si inginocchiò e leccò ripetutamente la macchia, poi si rialzò e dichiarò che non si trattava di sangue umano, bensì di urina di pipistrello.
Lo scrittore Augustus Hare fu invece testimone diretto di quello che è stato tramandato come il “capolavoro” di Buckland. Entrambi erano ospiti della sontuosa dimora di Lord Lyndhurst a Nuneham, vicino Oxford, e la padrona di casa, Lady Georgiana, mostrò ad essi e agli altri ospiti un tesoro dal valore inestimabile, il cuore di un re francese (Luigi XIV o Luigi XVI, Hare non ricordava bene) conservato sotto spirito in un recipiente d’argento. I presenti ammirarono da vicino la preziosa reliquia ma, quando questa finì tra le mani di Buckland, con un movimento fulmineo, lo scienziato aprì il recipiente e, prima di poter essere fermato, mangiò il cuore. Poco dopo, emise il suo scettico giudizio: si trattava di un cuore di maiale, non di uno umano.
Sotto, Augustus Hare:
Con una signorilità davvero impressionante, anziché farlo cacciare fuori dai domestici, Lady Georgiana gli chiese soavemente quale fosse il cibo più disgustoso che avesse mai mangiato in vita sua, e Buckland, dopo averci pensato su un po’, rispose che niente era peggio della carne di talpa. Qualche tempo più tardi, però, Buckland si premurò di scrivere a Lady Lyndhurst apposta per avvisarla che aveva mangiato qualcosa di ancora più disgustoso delle talpe, ossia dei mosconi azzurri.
Purtroppo, non sono rimasti abbastanza documenti per risalire a quali innovazioni apportò Buckland alla dieta degli studenti di Oxford. Ma sono emerse alcune lettere da cui si evince che, sotto le sue cure, i ragazzi mangiavano molto meglio di prima ed erano molto soddisfatti del vitto, che raccomandavano agli amici.
Buckland si interessò del problema della fame anche in generale, impegnandosi, con grande anticipo sui tempi, in campagne di sensibilizzazione politica affinché i latifondi abbandonati al proprio destino fossero smembrati in piccoli lotti da assegnare ai disoccupati, trasformando questi ultimi in coltivatori diretti.
Ma purtroppo nessuno lo ascoltò e fame e miseria continuarono a mietere vittime per decenni
Sebbene possa sembrare strano, la sua temeraria dieta non gli provocò mai il minimo problema di salute. Arrivò alla terza età in condizioni di forma talmente buone che finì per ammazzarsi cadendo da una scala. Una ferita alla schiena si infettò e l’infezione raggiunse il cervello, portandolo alla morte all’età di 72 anni nel 1856.