Wally Funk: a 82 Anni è lei la “Star” del volo spaziale di Jeff Bezos

Alla fine ce l’ha fatta, Wally Funk, a 82 anni, a coronare quel sogno della sua giovinezza: andare nello spazio. Anche se solo per dieci minuti e grazie a una missione privata finanziata dal multimilionario Jeff Bezos, l’anziana signora si è presa una rivincita sulla poca lungimiranza della NASA e un po’ anche nei confronti di John Glen, il primo statunitense a orbitare intorno alla Terra, nel 1962, e che nel 1998 si era aggiudicato un nuovo primato per aver partecipato a una missione Shuttle a 77 anni d’età.

Wally Funk

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Una rivincita, quella di Wally Funk, perché Glenn si era dichiarato apertamente contrario – proprio quando si era appena trasformato in un eroe nazionale per la sua impresa – alla partecipazione delle donne alle missioni spaziali, non perché meno capaci degli uomini, ma per una visione della vita legata ai tradizionali ruoli di genere:

“Penso che questo torni [il rifiuto della Nasa a includere le donne] al modo in cui il nostro ordine sociale è organizzato, davvero. È solo un dato di fatto. Gli uomini se ne vanno e combattono le guerre e pilotano gli aeroplani e tornano indietro e aiutano a progettarli, costruirli e testarli”.

John Glen

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Probabilmente Glenn non aveva avuto modo di conoscere Wally Funk, che negli anni successivi sarà la “prima donna” ad esercitare diverse mansioni tradizionalmente maschili, e che nel 1961 era entrata a far parte del programma “Woman in Space”, nonostante i suoi 22 anni, a fronte dei 25 minimi richiesti per partecipare.

Da bambina Wally non gioca con le bambole ma con modellini d’aeroplani, anche se a cinque anni si butta giù dal fienile di casa sua (indossando un costume da Superman) pensando di poter volare. A nove anni prende la sua prima lezione di volo: d’altronde i suoi genitori la educano secondo il motto “Non aver mai paura”, e lei dimostra di non averne, mai. Quando ha 16 anni abbandona il liceo perché alle lezioni di economia domestica preferirebbe quelle di meccanica, dove però sono ammessi solo studenti maschi.

Lei allora, senza pensarci due volte, abbandona la scuola e viene accettata, senza avere nemmeno il diploma, allo Stephens College, che ha un programma di aviazione, dove prende il brevetto di volo. A 20 anni è già istruttore di volo civile di sottufficiali dell’esercito degli Stati Uniti, e da allora non si è più fermata (il suo curriculum è impressionante), collezionando innumerevoli brevetti e premi per la sua attività. Per citare solo i suoi primati: prima donna nominata come investigatore della sicurezza aerea per il National Transportation Safety Board; prima donna istruttrice di volo civile; prima donna ispettore della Federal Aviation Administration; e oggi, persona più anziana ad essere andata nello spazio.

Wally Funk

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Ed è anche l’unica ad essere andata andata nello spazio, tra le 13 straordinarie donne che formavano il gruppo soprannominato Mercury 13.

Nel 1960 Wally Funk legge un articolo pubblicato sulla rivista Life, “Una signora dimostra di essere in forma per il volo spaziale”, dedicato all’aviatrice Geraldyn Cobb, e da quel momento l’idea di viaggiare nello spazio diventa per lei una sorta di ossessione. Riesce a farsi accettare nel programma, organizzato da privati, Women in Space, che ha lo scopo di dimostrare come le capacità fisiche richieste ad un astronauta non siano appannaggio solo degli uomini.

L’iniziativa nasce dalla volontà di un ricercatore, William Randolph Lovelace, che, dopo aver messo a punto il programma di test medici necessari a selezionare gli astronauti della NASA vuole dimostrare che le donne possono superarli ugualmente bene ed essere quindi idonee alle missioni spaziali, con qualche vantaggio: sono più piccole e leggere degli uomini, e consumano meno ossigeno, tutte cose non irrilevanti in ambito astronautico.

William Randolph Lovelace nel 1943

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Nel 1959 la NASA aveva formato il gruppo Mercury Seven, composto da sette astronauti destinati a compiere le prime missioni spaziali. Per partecipare alla selezione, i candidati dovevano necessariamente avere la qualifica di piloti collaudatori di jet militari, cosa che di fatto escludeva le donne, visto che quello era un lavoro a cui potevano accedere solo gli uomini.

Ritratto ufficiale del gruppo Mercury 7

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Nel 1960 Lovelace individua in Geraldine “Jerrie” Cobb la persona adatta ad effettuare i primi test, per la sua grande esperienza come pilota, con le sue 10.000 ore di volo sulle spalle (il doppio di Glenn). L’aviatrice supera tutte e tre le fasi di valutazione fisica e psicologica a cui erano stati sottoposti i Mercury 7, e supporta Lovelace nella selezione di altre donne pilota per formare il gruppo di Woman in Space.

Jerrie Cobb posa accanto a una capsula dell’astronave Mercury

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Delle 25 prescelte, tra le circa 700 esaminate, ne rimangono alla fine 13: da qui il nome Mercury 13, che però è fuorviante, perché quelle donne fanno parte di un programma che non troverà mai l’appoggio della NASA.

Si sottopongono ai test, senza mai incontrarsi tra loro, nella clinica privata di Lovelace, ad Albuquerque, nel New Mexico. Ognuna di loro deve dimostrare, ad esempio, di non soffrire di vertigini nonostante l’acqua ghiacciata versata nelle orecchie; di non produrre succhi gastrici in eccesso, malgrado il tubo di gomma infilato nello stomaco; di saper resistere all’isolamento sensoriale rimanendo immersa per ore in una vasca piena d’acqua, al buio (Funk supera tutti, candidati uomini e donne, rimanendo nella vasca per più di dieci ore).

Una volta superate quelle prove estenuanti, le 13 donne, che Cobb chiama FLATs (Fellow Lady Astronaut Trainnes), erano pronte a partire alla volta di Pensacola, dove, in una base della Marina Militare, avrebbero dovuto provare un simulatore di volo spaziale e andare a formare, finalmente, un gruppo di future potenziali astronaute.

Jerrie Cobb durante un test – 1960

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Pochi giorni prima della partenza, per le FLATs arriva una doccia fredda (figurata): la Marina degli Stati Uniti non può acconsentire all’uso dei suoi strumenti senza una richiesta ufficiale della NASA, che non arriverà mai. E pensare che due delle candidate si erano licenziate dal lavoro proprio per partecipare a quel progetto!

A quella notizia, Jerrie Cobb e Janey Hart (la maggiore d’età del gruppo con i suoi 40 anni e, tra l’altro, madre di otto figli) volano a Washington, dove incontrano il vice-presidente Lyndon Johnson, che si dimostra irremovibile, supportato da rappresentanti della NASA, come il già citato John Glenn. La motivazione ufficiale è la mancanza dei requisiti necessari, come appunto la qualifica di collaudatore di jet militari, ma pare che in verità si temesse la fine dell’intero programma spaziale, se una donna fosse morta in una missione.

L’Agenzia Spaziale americana non cambia idea nemmeno quando gli odiati concorrenti sovietici mandano in orbita, nel 1963, Valentina Tereshkova, prima donna ad avventurarsi nello spazio.

Jerrie Cobb

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Nel 1983 Sally Ride è la prima donna statunitense a partecipare a una missione spaziale, e solo nel 1995 otto delle FLATs superstiti (era la prima volta che si incontravano) hanno potuto assistere al lancio di uno Space Shuttle dove al posto di comando c’era finalmente una donna, Eileen Collins.

Sette delle aspiranti astronaute, nel 1995 – da sinistra: Gene Nora Jessen, Wally Funk, Jerrie Cobb, Jerri Truhill, Sarah Rutley, Myrtle Cagle and Bernice Steadman.

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Nel frattempo le Mercury 13 non erano rimaste a guardare.

Per citarne solo due: nel 1969, quando Neil Armstrong, lassù tra le stelle, fa “un piccolo passo per l’uomo” sulla luna, Jerrie Cobb vola basso sulla foresta amazzonica, per portare aiuti (cibo e medicinali) alle tribù indigene, e lo farà per 30 anni, tanto da essere candidata, nel 1981, al premio Nobel per Pace.

Wally Funk, oltre a tutte le attività in ambito aeronautico, diventerà ambasciatrice di buona volontà per il suo sostegno, in particolare nei paesi in via di sviluppo, alle scuole di aviazione aperte alle donne. Ha continuato a fare l’istruttrice di volo fino a 80 anni e finalmente, in questi giorni, è riuscita a realizzare il suo sogno:

Volevo andare più in alto, essere libera, e non mi importava se sarei mai tornata


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