Roma traditoribus non praemiat! ovvero “Roma non premia i traditori”: che parole altisonanti, degne di un valoroso comandante romano, che mette l’onore al primo posto, nel rispetto dei vinti. Tutta apparenza, perché in realtà chi le pronuncia, il console Servilio Cepione, usa l’inganno e il tradimento per eliminare un nemico invincibile, che per un decennio tiene in scacco le legioni romane.
Un comandante valoroso e un uomo giusto, a detta degli stessi Romani: vir duxque magnus, un “grande uomo e condottiero” (Tito Livio), “coraggioso nei pericoli, prudente e attento (…) più amato di quanto lo fosse mai stato chiunque prima di lui” (Diodoro Siculo).
Insomma un eroe, consegnato alla storia con un giudizio positivo praticamente unanime: “Sembrava che, in quell’epoca completamente prosaica, uno degli eroi omerici fosse riapparso” (T. Mommsen, Storia di Roma).
Statua di Viriato a Zamora (Spagna)
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E’ Viriato, il primo eroe nazionale del Portogallo, che dà filo da torcere ai Romani, alle prese con la conquista dell’Hispania occidentale, la Lusitania (grossomodo l’odierno Portogallo).
E’ una storia lunga quella dell’invasione della penisola iberica da parte di Roma, iniziata nel III secolo a.C. per contrastare lo strapotere cartaginese nella Spagna meridionale, che è una base strategicamente cruciale per i punici, con mire espansionistiche in Europa (il casus belli che dà inizio alla seconda guerra punica avviene proprio in Spagna, ma questa è un’altra storia).
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Occorrono circa 250 anni ai Romani per ridurre l’intera Hispania sotto il loro potere, con l’imperatore Augusto che nel 19 a.C. conclude la conquista. Un dominio ottenuto con innumerevoli guerre, combattute contro la feroce opposizione di alcune delle popolazioni locali. Nel 197 a.C. comunque Roma ha sotto il suo dominio due province, la Hispania Citerior e la Hispania Ulterior.
La penisola Iberica nel 196 a.C.
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I Lusitani, che vivono anche predando le regioni oltre confine e si spingono nei territori delle province romane, non si fanno sottomettere fino al 152 a.C, quando firmano un trattato di pace, presto rotto per le condizioni troppo onerose imposte dai Romani.
La risposta di Roma non si fa attendere: il pretore dell’Hispania Ulterior, Servio Sulpicio Galba, invade la Lusitania nel 151 a.C, appoggiato poco dopo da Lucio Licinio Lucullo, fresco di nomina a proconsole dell’Hispania Citerior. Le tribù, intimorite e stanche delle continue guerre, fanno sapere ai Romani che sono disposti a sottomettersi, a firmare un nuovo trattato di pace. Galba chiede che i lusitani lascino le loro terre montuose, le loro case e città, per riunirsi in un luogo pianeggiante scelto da lui, con la promessa di una redistribuzione di terre fertili per tutti. Il pretore è amichevole con gli ambasciatori, dice di comprendere i motivi che li avevano spinti a combattere per così tanti anni e a fare incursioni predatorie nei territori romani: “La povertà del suolo e la miseria vi hanno costretti a fare queste cose. Ma darò ai miei poveri amici una buona terra e li sistemerò in un paese fertile, in tre territori”. (Appiano d’Alessandria, Storia Romana)
Uomini, donne, bambini, con tutte le loro cose, il bestiame e le armi, si radunano come chiesto da Galba. Sono veramente tanti, all’incirca 30.000 persone, che vengono divise in tre gruppi, scortati dai legionari. Fiduciosi nelle parole del pretore romano, gli uomini accettano di consegnare le armi, in segno di amicizia. Capiscono di essere caduti in una trappola, ogni gruppo all’insaputa dell’altro, quando vedono i soldati Romani scavare una trincea attorno ai loro accampamenti, per impedire ogni tentativo di fuga. Quella che segue è una carneficina: ogni maschio in età da combattere viene ucciso, mentre tutti gli altri sono ridotti in schiavitù e venduti, forse nella vicina Gallia. Ma si sa, in guerra ogni stratagemma è concesso, e non è la prima volta (né sarà l’ultima), che i Romani puniscono le tribù ribelli in questo modo.
Qualcuno però riesce a salvarsi e a scappare. Tra loro c’è Viriato, che diventerà l’incubo dei Romani in Hispania.
Statua di Viriato a Viseu (Portogallo)
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Di lui poco si sa, e quel poco non è concordante: secondo Diodoro Siculo era un principe, ma in realtà non risulta che la sua famiglia fosse nota; Tito Livio racconta che da ragazzo faceva il pastore, poi diventato cacciatore e infine soldato, descrivendo quello che era il percorso di formazione di ogni giovane guerriero. Ciò su cui tutti gli autori antichi concordano riguarda invece l’aspetto fisico e caratteriale di Viriato: un giovane uomo prestante, forte nel corpo e brillante nella mente, ma non solo. Onesto e corretto, senza brama di potere o di ricchezze, questo novello eroe omerico combatteva per la gloria sua e del suo popolo.
Passano circa tre anni dal massacro dei lusitani perpetrato da Galba, i ribelli tengono duro ma sono ormai allo stremo, quando ecco che Viriato si palesa, un antico Che Guevara che ha in sé anche le qualità di un grande generale. Il condottiero è bravo a combattere secondo le regole della guerra classica, il bellum, alla testa di un esercito regolare, ma anche in grado di usare tattiche di guerriglia, il latrocinium, che tanto disturbavano i Romani.
Nel 147 a.C. i Lusitani invadono la Turdetania (una regione nel sud della Spagna) e subiscono la controffensiva di Gaio Vetilio, che li stringe d’assedio in un luogo fortificato e promette, anche lui, l’assegnazione di terre in cambio della resa. Nel sentire le proposte del pretore, a Viriato monta la rabbia, ricordando quello che era successo con Galba. Tanto fa e tanto dice che riesce a convincere i suoi compagni a nominarlo comandante, promettendo di portarli in salvo. E ci riesce Viriato, a mantenere quella promessa, e poi a infliggere una sonora sconfitta all’inseguitore Vetilio, che muore nella battaglia insieme a qualcosa come 4.000 soldati romani.
Di battaglia in battaglia, di pretore in pretore (se ne avvicendano quattro), Viriato si trasforma in un nemico quasi invincibile, in quella che lo scrittore greco Polibio chiama la “guerra del fuoco”.
Mappa delle Campagne di Viriato contro i Romani
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Alla fine Roma – la città caput mundi risente molto di quella guerra, anche per via di altre tribù sottomesse (i Celtiberi) che si ribellano seguendo l’esempio di Viriato e danno inizio alla guerra numantina – invia uno dei suoi più valenti generali, Quinto Fabio Massimo Emiliano, che non vuole affrontare Viriato prima di aver fatto un sacrificio a Ercole, nella città di Gades (oggi Cadice). Non gli porta bene quel desiderio di protezione da parte dell’eroe greco, perché mentre lui è via, Viriato attacca il suo esercito e uccide molti soldati, compreso il suo temporaneo sostituto. Una soddisfazione però se la toglie Quinto Fabio, che riesce per una volta ad avere la meglio sul suo nemico e a cacciarlo dall’Hispania romana, senza però riportare una vittoria definitiva.
Ci riprovano, negli anni seguenti, Quinto Pompeo e poi Quinto Fabio Massimo Serviliano, che all’inizio sembra sopraffare i lusitani, ma in un’ultima battaglia deve arrendersi, senza condizioni. Viriato non approfitta della situazione, ma lascia anzi liberi i Romani, a due condizioni: mantenere il domino sulla propria terra ed essere dichiarato amicus populi Romani, alleato dei Romani.
Quel decennio di guerre sembra quindi finire con un trattato di pace, che Tito Livio definisce aequis, giusto, peraltro ratificato dal Senato di Roma. Trattato che però non piace al console Servilio Cepione, mandato in Spagna al posto del fratello Quinto Fabio. Questo Cepione, che vede sfumare le sue prospettive di gloria e ricchezza con la fine della guerra contro Viriato, sobilla i Senatori per indurli ad approvare una rottura di quell’accordo, definito disonorevole. A Roma però non sono ancora così sfacciati da consentire apertamente una simile violazione, e così autorizzano il console a “infastidire” Viriato. Dopo un anno di continue richieste, alla fine il Senato autorizza Cepione a dichiarare guerra ai lusitani.
Viriato forse ancora crede nella possibilità di una pace duratura con i Romani, e manda i suoi ambasciatori a trattare. Dal canto suo il console sa che, con Viriato vivo, ha poche speranze di vittoria in quella guerra iniziata da poco. Per non smentire il detto che in guerra ogni mezzo è lecito, Cepione corrompe i tre ambasciatori, Audax, Ditalco e Minurus, amici stretti di Viriato, e dietro promessa di ingenti ricchezze li convince a far fuori il loro comandante. E loro lo fanno davvero, uccidono Viriato mentre dorme nella sua tenda, e poi ritornano all’accampamento romano per pretendere la ricompensa, frutto di uno scellerato tradimento.
L’assassinio di Viriato
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E qui Cepione supera se stesso, pronunciando la famosa frase “Roma non paga i traditori”, e (forse) li fa uccidere. E’ il 139 a.C.
Morte di Viriato – José Madrazo, 1807 – Museo del Prado
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Per dovere di cronaca, occorre precisare che ci sono diverse versioni della vicenda, che non concordano su chi commissionò il delitto, chi lo eseguì, e nemmeno sulle parole pronunciate da Cepione.
Da lì a pochi mesi i Lusitani, guidati da Tantalo, si arrendono ai Romani, anche se solo oltre un secolo dopo, con Augusto, si raggiunge finalmente la pax, una pacificazione reale.
Ma Viriato era e rimarrà per sempre l’eroe simbolo dell’indipendenza portoghese, un uomo, un condottiero e primo guerrigliero della storia (secondo alcuni autori), che nemmeno i tanto valorosi (e orgogliosi) Romani riuscirono a sconfiggere, se non con la moneta del tradimento.