Vincenzo Verzeni: il Vampiro della Bergamasca fu il primo Serial Killer dell’Italia Unita

È il tardo autunno del 1870, precisamente l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. Una ragazza di quattordici anni cammina lungo l’antica carraia che collega i paesini di Bottanuco e Suisio, in quella parte della Lombardia che oggi come allora è chiamata Bassa Bergamasca. La signorina è una servetta di nome Giovanna Motta ed è diretta in visita ai genitori, su gentile concessione dei suoi datori di lavoro.

Giovanna Motta non arriverà mai a destinazione. La ragazza scompare tra i fossi bordati di gelsi e i campi spogli su cui si abbassa fredda la nebbia padana. La ritrovano quattro giorni dopo, morta. Insieme al lutto, l’orrore: il collo della giovane mostra segni di morsi, la carne d’un polpaccio è stata strappata e le interiora e i genitali sono stati asportati. Dettagli che fanno capire che a ucciderla non è stato un animale, ma un uomo.

Un uomo che prima di togliere la vita alla fanciulla, s’è divertito a seviziarla con degli spilloni, poi lasciati accanto al corpo mutilato. Si tratta del piquerismo, la parafilia che consiste nel provare piacere pungendo qualcuno con oggetti appuntiti o affilati.

Siamo sulle rive dell’Adda, non del Tamigi, e siamo 18 anni prima che il cadavere di Mary Ann Nichols, la prima vittima accertata del celeberrimo Jack lo Squartatore, venga ritrovato a Whitechapel e ben 27 prima che “Dracula” veda le stampe, addirittura 52 prima che il romanzo di Bram Stoker approdi in Italia.

Il mostro che ha commesso quest’atrocità sarà scoperto presto e si rivelerà essere un giovane contadino del luogo: Vincenzo Verzeni, nato a Bottanuco (BG) l’11 aprile 1849.

Illustrazione dell’uccisione di Frances Coles (13 febbraio 1891)

Fotografia di Fortuné-Louis Méaulle di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Verzeni è considerato il primo omicida seriale dell’Italia Unita. Il canavese Giorgio Orsolano (1803-1835), la Iena di San Giorgio, e Antonio Boggia (1799-1862), il Mostro di Milano, altri noti omicidi seriali italiani del XIX secolo, infatti, furono attivi prima della Breccia di Porta Pia che unì definitivamente la Penisola.

Il curriculum di Vincenzo Verzeni può essere preso da stereotipo per l’intera categoria. Origini socio-economiche deprimenti (si badi bene, deprimenti, non povere, perché nella fattispecie parliamo d’una famiglia di contadini comunque agiati), infanzia traumatizzata dal padre, Giacomo, alcolizzato e violento, e dalla madre, Giuseppa Dogoni, epilettica (vale a dire, nella realtà contadina italiana ottocentesca, un’ostracizzata, una paria, un’indemoniata).

Masturbatore precocissimo, il giovane sfoga i primi istinti sadici nell’intimità del pollaio domestico, facendovi strage di pennuti. Questi comportamenti violenti vengono secretati dalla famiglia che, forse vedendoci lungo, vieta al giovane di sposarsi, nonostante la sua passione insistente per le donne. Vincenzo resta così per i compaesani un insospettabile. Fino al termine di quel 1870.

Vincenzo Verzeni

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In realtà Vincenzo Verzeni sarà arrestato poco più di due anni dopo, nel gennaio 1873, per l’omicidio di un’altra fanciulla, Elisabetta Pagnoncelli, fatta a pezzi nei campi di Bottanuco il 29 agosto 1871. Il modus operandi è lo stesso dell’omicidio di Giovanna Motta. Nello stesso anno, ha aggredito altre due donne: Maria Galli, importunata il 10 aprile (si contentò di strapparle dal collo il fazzoletto), e Maria Previtali, attaccata il 26 agosto. In quella occasione Verzeni interrompe a metà l’aggressione (forse disturbato dall’arrivo di testimoni, forse perché resosi conto che la diciottenne in questione è anche sua cugina di secondo grado) e si ritira. Il giorno dopo, si scatenerà però contro la sventurata Elisabetta Pagnoncelli.

Vincenzo Verzeni, ritratto di Penta P – ed. in Penta (1893) I pervertimenti sessuali nell’uomo e Vincenzo Verzeni:

Sarà Maria Previtali a denunciare l’omicida, rompendo il muro d’omertà famigliare che aveva taciuto i comportamenti aggressivi di Vincenzo esplosi nel quinquennio precedente. Poco più che adolescente, infatti, il ragazzo ha tentato di sgozzare a morsi sua cugina Marianna (è il 1867), salvata solo dalla precoce eiaculazione dell’aggressore che, dunque, s’era ritirato soddisfatto. Nel 1869 ha aggredito Margherita Esposito e Angela Previtali e nel medesimo anno, una terza donna, Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto: nel clamore dell’arresto si sospetterà si potesse trattare sempre di Verzeni.

A questo punto della storia, entra in scena Cesare Lombroso (1835-1909), nominato perito dalla Corte di Assise di Bergamo per accertare la capacità d’intendere e di volere del Mostro di Bottanuco che, dall’11 gennaio, langue nel carcere cittadino di Sant’Agata.

Cesare Lombroso

Fotografia di Sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Il proto-criminologo veronese, allora docente di psichiatria a Pavia, ha da poco fondato con altri luminari la Società Freniatrica Italiana. Va maturando tesi rivoluzionarie, germinate mentre esaminava come medico di campo i corpi dei briganti calabresi massacrati dai regi battaglioni sabaudi. Fondamentale, in tempi più recenti, era stata l’identificazione, nel cranio del brigante Giuseppe Villella, della c.d. “fossetta occipitale mediana”. Lombroso si fa tedoforo della frenologia forense e codifica l’esistenza di un uomo delinquente i cui comportamenti deviati sono il frutto di una mancata evoluzione (o involuzione): i criminali sarebbero una razza primigenia sopravvissuta alla selezione naturale. È l’origine della “Teoria dell’Uomo Delinquente” che, tra luci ed ombre, consegnerà ai posteri il nome di Lombroso e che in capo a pochi anni (1876) gli diede i mezzi per fondare il Museo di antropologia criminale dell’Università di Torino.

Lo studio di Vincenzo Verzeni che “strangolava le donne per il piacere venereo che provocava nel toccarle il collo, e nello sviscerarne il cadavere e succhiarne il sangue ancor caldo”, fu seminale per Lombroso che lo citerà in buona parte delle sue pubblicazioni. Il fisico del vampiro bergamasco non presentava però quei caratteri atavici/involutivi che ne avrebbero fatto il prototipico uomo delinquente. Era solo un ventenne affetto da leggera zoppia (che secondo il sindaco del paesello, tèste al processo, gl’aveva valso l’esenzione dalla leva militare) e due patologie al tempo diffusissime tra la popolazione rurale italo-settentrionale: la pellagra, causata dalla carenza di vitamine del gruppo B e altre sostanze fondamentali, dovuta a una dieta sbilanciata in favore del mais, e il cretinismo, la sindrome da deficit congenito di iodio causato nuovamente da malnutrizione.

Il professor Lombroso chiede comunque una diminuzione di responsabilità per l’imputato in ragione del deficit morale provocatogli dalla famiglia ove “domina sovrana la bigotteria e l’avarizia” che gli ha provocato una “necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”.

Come nel più classico romanzo gotico, v’è dunque nell’agire del vampiro orobico un’origine sessuale. Tale matrice viene accettata anche dallo psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing (1840-1902) che non si lascia sfuggire il ghiotto caso del nostro Renfield orobico (definirlo “Dracula” ci pare eccessivo) nella sua monumentale opera “Psychopathia sexualis” (1886). Primo esauriente catalogo sistematico dei comportamenti sessuali “devianti”, l’opera di von Krafft-Ebing cita Verzeni come caso n. 48 nella sezione Sadismo.

Richard von Krafft-Ebing

Fotografia di portrait.kaar.at di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Un giornalista della “Gazzetta di Bergamo”, in aula durante il processo, ci descrive il vampiro come “un giovanotto con capelli biondi, con due fini mustacchi dello stesso colore, con lineamenti regolari, d’aspetto florido, di fisionomia che quasi potrebbe dirsi simpatica, se non avesse un’espressione alquanto cupa, ed uno sguardo semilosco. È vestito da contadino agiato. Non dà alcun segno di commozione.”

Sul banco degli imputati, il Biondino, come viene chiamato, manifesta per gl’inquirenti fin troppa coscienza del suo operato. Schiva le domande più incriminanti, mente abilmente, accusa d’altri il suo operato. Solo a condanna ormai comminata confesserà a Cesare Lombroso: “Io ho […] veramente uccise quelle donne e tentato di strangolare quell’altre perché provava in quell’atto un immenso piacere in quantochè appena metteva loro le mani addosso al collo avea l’erezione e ne sentiva un gran gusto […] le vesti, le viscere le esportai perché godeva nel fiutarle e nel palparle […] è però meglio che io sia in carcere e ci resti, perché se fossi fuori tanto era quel piacere che io non potrei fare a meno di procurarmene, e uccider altre donne”.

Verzeni scampa d’un soffio alla condanna a morte per duplice omicidio premeditato: se la cava per il voto d’uno dei giurati. Lo condannano all’ergastolo da trascorrere nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano e ai lavori forzati a vita. La Senavra era allora un centro d’avanguardia per l’applicazione in Italia delle tesi di pedagogia correzionale francese di Pinel ed Esquirol, ma logisticamente inadeguato, oltre che notoriamente insalubre vista l’esplosione in loco di un’epidemia di colera nel 1865. Vincenzo vi entra il 13 aprile 1872 e viene alloggiato con tale Giovanni Cavaglia, un muratore che ha massacrato a colpi di scalpello un uomo.

La follia di Verzeni però non si placa: nel ’73 il vampiro azzanna un infermiere ai genitali; l’azione gli costa 40 giorni d’isolamento. Il 23 luglio 1874, poi, tenta il suicidio impiccandosi nella sua cella ma gli infermieri riescono a salvargli la pelle in extremis.

Nel ‘78, la Senavra viene chiusa e i suoi pazienti trasferiti nella nuova casa manicomiale meneghina a Villa Pusterla-Crivelli-Arconati di Mombello. Vincenzo Verzeni però se n’è già andato.

L’interno del carcere di Santo Stefano

Fotografia condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 3.0

Nel ‘74, il vampiro è stato trasferito al bagno penale dell’Isola di Santo Stefano, nelle Pontine, uno dei primi panottici (“carceri ideali”) mai realizzati. Qui si distingue per la buona condotta e il comportamento totalmente apatico e remissivo, tanto da meritarsi l’impiego ai servizi domestici ove si comporterà benissimo. In quegli anni, a Santo Stefano milita anche lo psichiatra e proto-criminologo Pasquale Penta (1859-1904), creatore nel ‘96 dell’Archivio delle psicopatie sessuali, che nel ’93 pubblica uno studio sulle perversioni sessuali prendendo spunto dal caso Verzeni.

Pasquale Penta

Scopriamo così che il vampiro era (dati del 1887) alto 174 cm e di corporatura robusta, molto peloso e con un accenno di rachitismo. “Dei delitti poi non serba rimorso affatto, come non n’ebbe, subito dopo consumatili […] li racconta come meglio li ricorda, con tutti i particolari più raccapriccianti che gli sovvengono.” Altro dato interessante, Vincenzo “ha quasi completamente perso gl’istinti sessuali […] e nel bagno […] è notoriamente in fama di cinedo!” L’origine sessuale delle deviazioni del vampiro bergamasco lo ha così spinto dalla figura “del maschio che uccide per la voluttà del possesso, all’urningo, all’uomo-femmina”.

Le vicende giudiziarie di Verzeni, nel frattempo, sono tutt’altro che concluse.

Ai sensi del nuovo codice penale italiano, il c.d. “Codice Zanardelli”, la Corte d’Appello di Brescia muta la sua condanna in trent’anni di reclusione (i lavori forzati erano stati ufficialmente aboliti) il 20 gennaio del 1890. Dopodiché, un’amnistia nel 1896 gli riduce ulteriormente la pena.

Il vampiro torna quindi alla ribalta e la testata cattolica pedemontana “L’Eco di Bergamo”, in data 3 dicembre 1902, riporta che “la popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l’espiazione della pena, che dall’ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.”

In accordo alla commutazione della pena, la scarcerazione di Verzeni deve avvenire nel febbraio 1903, ma si deciderà di tenerlo per un altro quinquennio nell’arcipelago ponziano, imponendogli il domicilio coatto presso l’Isola di Ventotene, a poche miglia dall’Isola di Santo Stefano. La famiglia Verzeni si rivolgerà allora al celebre “avvocato dei poveri” bergamasco (e deputato socialista) Federico Maironi (1866-1906) che, in preda a dubbi etici, scriverà a Lombroso (11 marzo 1903) in cerca di consiglio perché terrorizzato dalla possibilità che, una volta libero, il nostro Renfield possa tornare a strangolar fanciulle.

Vincenzo Verzeni alla fine sarà rilasciato e tornerà a Bottanuco, ove prenderà casa in via S. Giorgio n. 60. Ivi morirà  “in grazia di Dio”, assistito dal sacerdote Carlo Spada che curerà le sue esequie, alle 15.35 del 31 dicembre 1918.

Dalla scarcerazione alla morte, non ci sono prove che sia tornato a colpire.

Dopo tanto scalpore locale, lo storico orobico Bortolo Belotti, nella sua monumentale “Storia di Bergamo e dei bergamaschi”, nel 1959 ne tacerà completamente la vicenda.

Il vampiro di Philip Burne-Jones (1897)

Fotografia di Philip Burne-Jones di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

È interessante osservare come la storia e il mito di Vincenzo Verzeni corroborino la tesi di Schlesinger secondo cui l’operato di antichi omicidi seriali sta probabilmente alla base delle leggende di vampiri e lupi mannari.

Anzitutto, Verzeni è “vampiro” come vampiri (o lupi mannari) furono altri omicidi seriali, prima e dopo di lui: Peter Stumpp (morto nel 1589), il “Lupo Mannaro di Bedburg”; il pluriomicida serbo Petar Blagojević (morto nel 1725), figura seminale nella definizione del vampiro all’interno del folklore europeo; Manuel Blanco Romasanta (1809-1863), il “Lupo Mannaro di Allariz”; Friedrich Heinrich Karl Haarmann (1879-1925), il “Vampiro di Hannover”; Peter Kürten (1883-1931), il “Vampiro di Düsseldorf”; Richard Trenton Chase (1950-1980), il “Vampiro di Sacramento”; ecc. Non a caso, sin dalla prima Età Moderna, alcuni studiosi europei teorizzarono un’origine medica al comportamento dei presunti vampiri e lupi mannari: v.si il De la lycanthropie (1615) di Jean de Nynauld.

I crimini di Vincenzo Verzeni, da lui celati e dalla sua famiglia taciuti o comunque non indagati (nella confessione a Lombroso, Vincenzo specificherà che sua madre aveva scoperto i suoi misfatti perché dopo averli commessi la sua camicia “era intrisa di sperma”), sarebbero forse divenuti una macabra leggenda, al pari di quella di Jack lo Squartatore, se il muro omertoso del silenzio contadino non fosse stato infranto dalla coraggiosa testimonianza di sua cugina Maria Previtali. Se la fanciulla non avesse parlato, accusando un congiunto insospettabile per i compaesani al punto che per gli omicidi Motta e Pagnoncelli ci furono subito altri sospettati, si sarebbe forse diffuso tra i contadini delle rive dell’Adda il terrore d’un mostro? Probabile. Certo è che il Vampiro di Bottanuco avrebbe seguitato a uccidere e occultar vittime con la “perfetta lucidità di mente” che Lombroso gli aveva riconosciuto.

FONTI

Bassini F, Vincenzo Verzeni l’unico “vampiro” della storia italiana, in Comacchio Web, anno XII, n. 8, 2012, pp. 8–9.

Centini M (2014), Lo strangolatore di donne. La drammatica storia di Vincenzo Verzeni “Sadico sessuale, vampiro e divoratore di carne umana”, Torino, Yume.

Lombroso C, Verzeni e Agnoletti, in Rivista di discipline carcerarie, 1873, 3, pp. 193-213, poi ripubblicato in Id., Raccolta dei casi attinenti alla medicina legale: Verzeni e Agnoletti in Annali universali di medicina, aprile-maggio 1874, vol. 228, pp. 3-29 ed ora parzialmente riedito anche in Id. (2000), Delitto, genio, follia. Scritti scelti, Torino, Bollati-Boringhieri, pp. 250-260.

Musumeci E (2012), Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato. Devianza, libero arbitrio, imputabilità tra antiche chimere ed inediti scenari, Milano, Franco Angeli.

Pellegrinelli L (2014), La vera vita di Vincenzo Verzeni, il vampiro di Bergamo, lo strangolatore di donne il primo serial killer dell’Italia unita, @niemand_edizioni.

Penta P (1893), I pervertimenti sessuali nell’uomo e Vincenzo Verzeni strangolatore di donne: studio biologico, Napoli, L. Pierro.

Previtali B (2016), Il serial killer vampiro, Editrice GDS.

Roncalli E, Da «Twilight» alla Bergamasca: La storia del vampiro di Bottanuco, in Eco di Bergamo, 15 novembre 2011.


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