Vincenzo Peruggia: il decoratore italiano che rubò la Gioconda e la portò agli Uffizi

A Napoleone Bonaparte piaceva talmente tanto che se lo appese in camera da letto, quando viveva nel palazzo delle Tuileries insieme alla moglie Giuseppina. Eh sì, all’imperatore piaceva molto il ritratto della Gioconda, ma contrariamente a quanto comunemente si crede, il quadro di Leonardo non faceva parte della serie di opere d’arte rubate dal generale francese all’Italia: la Gioconda era uscita dal nostro paese in maniera del tutto legale, portata e venduta in Francia da Leonardo stesso, o forse ceduta al re Francesco I, insieme ad altre opere, dall’erede del Maestro toscano, Gian Giacomo Caprotti.

La Gioconda di Leonardo Da Vinci

Vincenzo Peruggia era convinto invece che Bonaparte avesse rubato quel dipinto, forse l’opera d’arte più conosciuta al mondo

Vincenzo Peruggia


Nato in provincia di Varese nel 1881, per sopravvivere non trovò di meglio che emigrare in Francia, dove gli sfottò del popolo ospite, sull’abitudine di suonare il mandolino o di essere un “mangia-maccheroni”, erano piuttosto duri da sopportare.

Lui non era certo un pittore, ma un semplice imbianchino con un talento per la decorazione, che gli fruttò un posto di lavoro in una ditta di manutenzioni che si occupava nientemeno che degli interni del Louvre. Il museo era molto diverso da come è strutturato adesso, e la sorveglianza lasciava un po’ a desiderare: il lunedì era chiuso al pubblico, ma alcuni artisti avevano l’autorizzazione a entrare e ad avvicinarsi ai quadri (non protetti) per fare copie delle opere, o semplicemente per cercare un’ispirazione.

La scoperta del furto

In quella calda mattina di lunedì 21 agosto del 1911, arrivano al Louvre Louis Beroud e Frederic Laguillermie, un pittore e un incisore, che restano infastiditi dal fatto che la Gioconda non sia al suo posto. Pensano che il quadro sia stato portato dal fotografo interno del museo, ma Beroud si spazientisce, perché lui vuole dipingere un olio che abbia come sfondo proprio la Gioconda. All’epoca ancora ci si chiedeva se mettere un vetro di protezione disturbasse la visione delle opere d’arte, e Beroud ha in mente di dipingere una giovane ragazza che si aggiusta il trucco specchiandosi nel vetro (ipotetico) messo a protezione della Monna Lisa.

Trascorre del tempo, e alla fine l’artista si decide a chiedere notizie della Gioconda al brigadiere di turno, un certo Poupardin, che quasi si sente male quando gli dicono che il prezioso quadro di Leonardo non è dal fotografo.

La Monna Lisa è scomparsa

In realtà il quadro non è stato portato molto lontano: si trova nel cassetto di un tavolino della stanza in affitto di Vincenzo Peruggia, e lì rimarrà nei due anni seguenti.


In quella fine di agosto del 1811, le indagini sul furto occuparono le prime pagine dei quotidiani francesi, ma gli investigatori brancolavano nel buio: si parlò di un complotto internazionale, venne accusata la Germania, poi un fantomatico collezionista che ne avrebbe fatto delle copie da rivendere negli Stati Uniti, e poi anche due artisti che col tempo diventeranno celebri: il pittore Pablo Picasso e lo scrittore Guillaume Apollinaire, che finì addirittura in carcere per una decina di giorni. La soluzione era invece lì, a portata di mano, ma nessuno se ne accorse, nemmeno quando venne perquisita la stanza di Vincenzo Peruggia, controllato come tutti coloro che quel lunedì erano presenti al Louvre.

Per molto tempo si è pensato che Peruggia si fosse nascosto in uno sgabuzzino durante la notte precedente il furto, e che poi fosse uscito indisturbato nelle prime ore del mattino. In realtà le cose andarono diversamente: Vincenzo aveva pianificato tutto, e si preoccupò anche di crearsi un’alibi per giustificare un ritardo al lavoro.

Il furto

La sera del 20 agosto, Peruggia partecipa a una serata in un locale frequentato da italiani, e lì suona il suo mandolino, e fa finta di bere parecchio, tanto da attrarre l’attenzione di una guardia. La mattina del 21 agosto riesce a uscire di casa la mattina abbastanza presto, intorno alle 7, senza farsi vedere dalla portinaia, e riesce a entrare al Louvre senza farsi notare dal custode che, com’è risaputo, si appisola molto di frequente. Arriva al Salon Carrè e si prende la Gioconda, poi sale una scala di servizio e al piano superiore libera la preziosa tavola in pioppo dalla cornice, se la mette sotto il braccio avvolta nel camiciotto da lavoro, ed esce indisturbato.

Torna nella sua misera stanza e nasconde il capolavoro sotto il ripiano di un tavolino, poi, intorno alle 9, esce nuovamente, fingendosi affannato. Arriva al Louvre, fa in modo di farsi notare dal custode, e saluta il suo capo adducendo come scusa per il ritardo la notte di bisboccia.

Vincenzo Peruggia nelle foto segnaletiche del 1913

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Per due anni la Gioconda rimase lì, sotto quel tavolino, finché Peruggia non decise che l’enigmatico sguardo della Monna Lisa meritasse di guardare qualcosa di meglio che il fondo del suo tavolo. Inizialmente pensò a lucrarci, ed entrò in contatto con un antiquario londinese, ma non ne concluse nulla. Allora scrisse, firmandosi Vincent Leonard, ad Alfredo Geri, un collezionista fiorentino che stava organizzando una mostra. Peruggia gli offrì la Gioconda, chiedendo mezzo milione di lire e, soprattutto, la promessa che l’opera sarebbe rimasta in Italia. Geri, dopo aver consultato il direttore della Regia Galleria di Firenze, rispose a Peruggia e lo invitò a portare il quadro per controllarne l’autenticità.

La Gioconda agli Uffizi – 1913

La Gioconda in mostra alla Galleria degli Uffizi, a Firenze (Italia). Il direttore del museo Giovanni Poggi (a destra) ispeziona il dipinto. Il capolavoro sarebbe stato quest’ultimo restituito al Museo del Louvre dove era stato rubato:

Era proprio lei, la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci. Peruggia venne arrestato, processato e condannato a una pena tutto sommato abbastanza lieve: un anno e quindici giorni, poi ridotti a sette mesi e otto giorni di prigione.

Peruggia a processo

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L’opinione pubblica italiana era tutta dalla sua parte

La giustificazione per un furto di tale importanza fu di tipo patriottico: voleva riportare in Italia almeno uno dei capolavori rubati (anche se in questo caso non lo era) da Napoleone Bonaparte, ma alcune lettere al padre lo smentiscono in parte.

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La Gioconda tornò in Francia, anche se prima fu esposta a Firenze e a Roma.

Anche Peruggia tornò in Francia, dopo aver combattuto durante la prima guerra mondiale, e dopo aver sposato una ragazza molto più giovane di lui. Nonostante fosse persona non gradita, riuscì a passare oltralpe semplicemente mettendo nei documenti il suo secondo nome al posto del primo. Nel 1924 nacque una figlia, che chissà perché, nel sobborgo di Parigi dove la famiglia viveva, veniva chiamata “la Giocondina”…

Non tornò più in Italia il patriottico decoratore Vincenzo Peruggia: morì di infarto nel 1925, a soli 44 anni, e fu sepolto in Francia, senza nessun clamore, perché all’epoca si faceva chiamare Pietro. I giornali si occuparono invece della morte di un altro Vincenzo Peruggia, deceduto sempre in Francia ma in Alta Savoia, nel 1947, scambiandolo per il ladro della Gioconda…

Le immagini sono di pubblico dominio


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