Vincenzo Bellini: il Mistero della Morte del compositore italiano

Vincenzo Bellini nacque in un appartamento in affitto al palazzo Gravina Cruyllas, al centro della città di Catania, il 3 novembre del 1801, dove ora ha sede il museo a lui dedicato.

Casa Natale di Vincenzo Bellini

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Vincenzo vantava una genealogia artistica egregia, infatti sia il padre Rosario Bellini sia il nonno erano compositori di musiche sacre, ma in particolare il nonno Vincenzo Tobia Bellini, maestro di conservatorio, insegnante di musica presso il principato dei Paternò Castello, organista e compositore attivo tra il XVIII e il XIX secolo, fu attento scopritore del suo talento.

Ritratto di Vincenzo Bellini, di Giuseppe Tivoli

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Vincenzo Bellini Senior infatti curò la sua preparazione, dal 1815 al 1816, con lo studio dei partimenti e del contrappunto presso la sua residenza a Napoli. Il nipote ottenne così la borsa di studio che gli valse il contributo annuo di 36 Onze per tutta la durata degli studi al conservatorio di San Pietro di Mayella, dove fu allievo del maestro Nicola Zingarelli.

Vincenzo iniziò già da adolescente la scrittura di diverse sinfonie di successo, arie per voce ed orchestra, tra le quali si ricorda “Dolente Immagine”, dedicata all’amata e rimpianta Maddalena Fumaroli, il cui testo si deve a Don Giulio Genoino, insegnante di lettere di Maddalena, composta forse proprio su richiesta di lei, poi riedita nel 1854 con qualche aggiunta ed incisa da Enrico Caruso nel 1913, oggi rielaborata per voce e piano .

Il successo che ottenne al teatro San Carlo di Napoli con l’opera “Bianca e Fernando”, intitolata per breve tempo “Bianca e Gernando”, per non turbare il principe Ferdinando di Borbone, gli valse la sua prima rappresentazione su commissione a Milano, dove si trasferì, lasciandosi alle spalle la delusione di un sofferto primo amore.

Qui ottenne il successo con “Il Pirata”, “La straniera”, “La Sonnambula” e “La Norma”, e si trovò a competere con altri due grandi compositori, Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti. Grazie al famoso impresario e scopritore di grandi operisti del suo tempo, Domenico Barbaja, si trasferì a Parigi, dove trovò un successo incontenibile, conobbe Chopin, e forte di nuove ed eccezionali influenze artistiche iniziò la composizione di diverse opere da camera, che la prematura morte gli impedì di portare a termine.

E’ grazie al compagno di studi a Napoli, Francesco Florimo, col quale strinse un rapporto epistolare durante i suoi spostamenti, e allo zio materno Francesco Ferlito, che lo ospitò nella sua casa di Messina prima di partire per Napoli, se oggi conosciamo buona parte della sua biografia.

Florimo, divenuto bibliotecario presso il conservatorio di Napoli, ne curò i particolari, rivelandoci l’amore per la giovane borghese Maddalena, figlia del magistrato Saverio Fumaroli, appassionato di arte, che seguendo la tradizione familiare accolse durante la festività natalizia del 1822 i forestieri del Real collegio di musica, stimati per l’egregio comportamento e perché intrattenessero con la loro musica gli invitati alle feste.

Tra i giovani musicisti spiccava Vincenzo, che già si era accorto della bellezza della ragazza, mirandola da un terrazzo da cui era visibile la sua finestra, e che conquistò la giovane Maddalena, non solo per l’eleganza e la bellezza, ma anche per il talento dimostrato nell’improvvisare al piano.

Il magistrato, che intendeva indirizzare la figlia alla musica e alla pittura, assunse lo studente Bellini perché le impartisse lezione almeno tre volte alla settimana. Tra i giovani nacque subito una forte passione, ma quando entrambi i genitori si accorsero dell’idillio pregarono Vincenzo di interrompere sia le visite sia le lezioni. A nulla valse la ripetuta richiesta del musicista di prendere in sposa Maddalena: il padre rifiutò ostinatamente che la figlia sposasse un semplice “suonatore di cembalo”, e si prodigò perché fosse allontanato dal conservatorio, ricevendo peraltro un fermo rifiuto dal Prefetto.

Vincenzo tentò di incontrarla furtivamente, ma Fumaroli impose alla giovane di non voltarsi a rispondere neppure al suo saluto. Dopo il trasferimento di Bellini a Milano e il successo ottenuto, Maddalena chiese al pittore Giuseppe Marsigli di intercedere per conto dell’amato cercando di convincere il padre. Così ottenuto il consenso alle nozze, scrisse una lunga e sofferta lettera all’amato Vincenzo, ma questi rispose tardivamente comunicandole la volontà di dedicarsi unicamente alla musica, sottovalutando il patimento della ragazza. Maddalena, trafitta dal dolore, si ammalò gravemente, e morì il 16 giugno del 1834.

A Milano, durante quegli anni Bellini fu ospite dell’orgoglioso latifondista Ferdinando Turina, che aveva sposato la sedicenne Giuditta Cantù. Lei, sensibile e impulsiva, s’innamorò dell’illustre compositore, intrattenendo con lui, per ben cinque anni, una relazione segreta.

Giuditta Cantù Turina

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Ma quando il ricco imprenditore scoprì il tradimento cacciò la moglie senza alcun rimpianto, privandola di ogni sostentamento. Lo scandalo che avrebbe macchiato la sua carriera indusse Bellini ad abbandonare Milano e la ragazza al suo dolore, sicuro di scegliere ancora una volta la sola e più forte passione della sua vita: la musica.

Di alta statura, con ricci capelli biondi quasi dorati, e con gli occhi azzurri, era un idolo per le donne, per i suoi modi aggraziati e seducenti, per l’eccezionale virtuosismo in campo artistico. Ma dietro quel freddo e distaccato atteggiamento che gli conferiva enorme fascino, Bellini celava però una fragilità d’animo, una romantica melanconia, un’insicurezza che lo rese un incontentabile perfezionista, solito a molteplici cambiamenti nelle sue stesure per ottenere il risultato sperato a costo di dolorosi sacrifici.

Ritratto di Vincenzo Bellini, eseguito da Giuseppe Patania nel 1830

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Tutta la sua passione la riservò alla musica, pur rincorrendo le attenzioni, la comprensione e l’amore delle donne, dimostrando un atteggiamento narcisista, probabilmente un carattere prodotto da un vissuto giovanile assai carico di ristrettezze e rinunce.

E’ evidente che le protagoniste delle sue opere, le sue amate eroine, portano il peso di reali sofferenze, le esperienze tormentate di donne a lui care capaci di devozione e sacrificio, a cui non seppe dedicare il suo amore , ma che in qualche modo rese eterne attraverso la sua musica, quali vittime sacrificali del suo ego.

Scenografia di Alessandro Sanquirico per La Sonnambula

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Gli ultimi anni della sua carriera e della sua vita Vincenzo Bellini li visse a Parigi, dove il successo dell’opera “I Puritani”, andata in scena il 25 gennaio del 1835 al Theatre Italien, gli valse la commissione di nuove romanze, nonostante il suo pessimo francese, per il teatro dell’Opera di Parigi, sotto la direzione dell’amico Gioacchino Rossini. Durante quei mesi ospite a Puteax presso l’austera residenza dei coniugi Levy, Bellini cominciò pian piano ad accusare diversi malori provocati da forti febbri intestinali. Pare che ogni tentativo di fargli visita, da parte degli amici interessati alle sue condizioni, fosse respinto, e negata ogni informazione sul suo stato di salute.

Fu il Barone D’Aquino ad entrare riuscendo ad evitare la sorveglianza, e a trovare il corpo ormai senza vita del giovane Bellini, il 23 settembre del 1835 alle 17:30, spirato dopo l’ultimo delirio febbrile. L’inspiegabile fuga dei coniugi Levy, accusati di aver derubato il loro illustre e sfortunato ospite, indusse il re Vittorio Emanuele II ad ordinare una necroscopia per sospetto avvelenamento. Il dottor Dalmas effettuò l’esame due giorni dopo il decesso, e scoprì un’estesa infiammazione dell’intestino, aggravata da un ampio ascesso all’estremità destra del fegato.

I trascorsi del giovane seduttore indussero però l’opinione pubblica a credere, in un’epoca di acceso fervore romantico, che fosse stato avvelenato perché sorpreso dal Levy in relazione con la moglie. Dopo l’imbalsamazione venne sepolto con onore nel cimitero di Pere-Lachaise, accanto a Chopin e Cherubini, e solo nel 1876, il 23 ottobre, la sua salma trovò sepoltura a Catania, accolta da una moltitudine commossa di concittadini, alcuni parenti e autorità di ogni ordine.

Monumento a Bellini eretto nel 1839 al cimitero di Père Lachaise

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Il 25 gennaio del 2002, il chirurgo e docente universitario ormai in pensione Antonio Cannavò, appassionato di studi sulle patologie che affliggevano il giovane talento siciliano, rilasciò in un breve saggio le sue riflessioni, elaborate dopo una ricerca documentata da cinque bollettini medici del dottor Montallegri, scritti tra il 15 e il 23 settembre del 1827, e dall’esame necroscopico del 1835.

Il saggio, pubblicato in onore del bicentenario della nascita del compositore, sembra smentire le voci popolari che lo credono vittima di un avvelenamento, conferma l’eccezionale acume cerebrale, accompagnato ahimè da una fragile costituzione fisica, turbata da una patologia dell’apparato digerente mal curata, e riporta la diagnosi clinica del decesso: “rettocolite ulcerosa riacutizzata di natura psico-somatica, seguita da un ascesso epatico piogenico”. La conclusione tiene conto quindi dello stress psicofisico a cui era sottoposto Bellini, come una concausa che potrebbe aver scatenato la crisi mortale.

Ma ciò non esclude che tale problematica potesse esser stata causata da un veleno.

Il mistero della sua scomparsa si alimenta anche per l’inaccettabile e prematura perdita di un amabile e precoce genio dell’opera e del Bel Canto, particolarmente abile a fondere nella sua musica la cultura classica ed il romanticismo. Sono in molti ancora a credere all’ipotesi romantica di avvelenamento e alla necessità di una perizia medica più approfondita.

La tomba di Bellini nel Duomo di Catania

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Le spoglie di Vincenzo Bellini dimorano alla base di un’opera scultorea di Giovanni Battista Tassara, mentre il centro cittadino dedica al compositore l’opera monumentale di Giulio Monteverde, nel quale il musicista pare volgere lo sguardo devoto a Sant’Agata, patrona della città, durante i festeggiamenti a lei dedicati.

Monumento a Bellini in piazza Stesicoro a Catania

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