Victor: la drammatica Storia del ragazzo “Selvaggio” dell’Aveyron

Parigi, 1803: il salotto della bellissima Madame Recamier è uno dei più frequentati dall’aristocrazia francese, luogo d’incontro tra nobili, politici e intellettuali.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Sono trascorsi tre anni da quando la scoperta, e la cattura, di un bambino selvaggio nei boschi dell’Aveyron, ha incuriosito tutti i francesi, ma il clamore intorno a questo ragazzo, più simile nei comportamenti a una bestia che a un uomo, non è ancora sopito. Si sta prendendo cura di lui un giovane medico pedagogista, Jean Itard, convinto di poter rieducare il ragazzo e reinserirlo in un contesto sociale.

Madame Recamier – Jacques-Louis David, 1800 circa

Madame Recamier, come tutti i parigini, è curiosa e vorrebbe vedere il ragazzo, addirittura averlo come ospite a una delle sue famose cene. Itard accetta l’invito. All’evento mondano sono presenti molte persone, ma è il ragazzo selvaggio, chiamato Victor, ad avere il posto d’onore accanto alla padrona di casa. Dopo cena, mentre tutti gli invitati sono presi da chiacchiere e discorsi più o meno filosofici, dal giardino proviene un rumore non bene identificato, che mette in allarme gli ospiti. Solo in quel momento Itard si accorge che Victor è scomparso, e corre in giardino seguito dagli altri ospiti.

Lo spettacolo è probabilmente in grado di appagare la curiosità dei convenuti sulla natura del ragazzo selvaggio: “Lo abbiamo intravisto mentre correva sul prato con la velocità di un coniglio. Per avere più libertà di movimento si era spogliato, tenendo solo una maglia. Dopo aver raggiunto il viale principale del parco, delimitato da enormi castagni, strappò il suo ultimo capo [di vestiario] in due, come fosse fatto di garza; poi, arrampicandosi sull’albero più vicino con la facilità di uno scoiattolo, si è appollaiato in mezzo ai rami.” (Harlan Lane, The Wild Boy of Aveyron)

Victor dell’Aveyron

Tuttavia, un ragazzo nudo che salta da un albero all’altro oltrepassa il limite del decoro, e a quel punto solo gli uomini restano nel parco per tentare di far scendere Victor dai castagni. E’ tutto inutile, il ragazzo non cede alle minacce di future punizioni da parte di Itard, ma solo all’allettante offerta di un cesto di pesche, suggerita da uno dei giardinieri. Solo così “il fuggiasco scese dall’albero e si lasciò catturare” (Lane, op. cit.)

Victor dell’Aveyron è uno dei ragazzi selvaggi di cui tanto si parlava all’epoca, e questa è la sua storia.

Negli ultimissimi anni del ‘700, gli abitanti dei villaggi intorno al Bosco della Caune raccontavano storie di un misterioso essere selvaggio che si aggirava nelle foreste lì intorno. Potevano essere racconti senza fondamento, inventati per colmare di chiacchiere le lunghe sere d’inverno passate davanti al fuoco, invece si rivelano rispondenti al vero: nel 1797 lo vedono bene dei taglialegna, mentre vaga per i boschi in cerca di radici, noci e castagne. Un anno dopo qualcuno riesce a prenderlo, ma lui scappa subito, finché nel luglio del 1799 tre cacciatori alla fine lo catturano, anche se lui cerca scampo arrampicandosi su un albero.

E’ subito evidente che il ragazzo, di un’età approssimativa fra i  10 e i 12 anni, non è in grado di comunicare con nessuno:

Non sa parlare né capire la lingua degli uomini

Il ragazzo selvaggio finisce nella casa di una donna vedova, dalla quale scappa nel giro di una settimana. L’inverno del 1799 è particolarmente freddo, figurarsi tra i boschi dell’Aveyron, ma il bambino è evidentemente temprato da anni di vita selvaggia e sopravvive ai rigori di quei mesi gelidi.

Saint-Sernin-sur-Rance

Immagine di kyselakvia Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Lo riprendono a gennaio del 1800, vicino al paese di Saint-Sernin, e per il ragazzo è la fine della libertà, del suo solitario girovagare tra le foreste, l’unica casa di cui ha ricordo, l’unico rifugio dove si sente al sicuro. Il fanciullo non indossa abiti, se non i resti di una camicia a brandelli. Certo è sporco, con i capelli lunghi e impastati di terra, ha i denti gialli, e cupi occhi neri, ma una delicata pelle bianca, lunghe ciglia scure e una “fisionomia gradevole e sorriso grazioso”.

Questa volta finisce subito in un orfanotrofio, dove non si adegua alle abitudini della vita civile: non accetta vestiti, letto e cibo cotto, se non qualche patata bollente. L’unico pensiero del ragazzo è quello di riconquistare la sua libertà, e ci prova più volte, ma viene sempre ripreso.

Del suo caso, che riempie le pagine dei giornali di tutto il paese, si interessano naturalisti, filosofi e quei precursori dell’antropologia che avevano appena fondato la Société des observateurs de l’homme.

Victor dell’Aveyron


Quel ragazzo selvaggio rappresenta un’occasione unica per discutere sulle teorie tanto care all’illuminismo sulla natura umana, su cosa in particolare distingue gli uomini dagli animali, e soprattutto qual è il peso delle strutture sociali nello sviluppo delle capacità individuali (linguaggio, capacità d’apprendimento, etc.) in quel periodo fondamentale che è l’infanzia.

Chi si aspettava di incontrare un esemplare di buon selvaggio, creatura descritta dagli illuministi come “pura”, non contaminata dai mali della società, e quindi per natura gentile e innocente, si deve ricredere:

Il ragazzo è aggressivo, emette solo grugniti non intellegibili, scalcia, morde e graffia, non ha pace in quel continuo andare avanti e indietro nella stanze dove viene rinchiuso, assomiglia più a un animale selvatico che a un essere umano

Dall’orfanotrofio il ragazzo viene portato a Rodez, affidato al naturalista e abate Bonnaterre, che mentre lo studia, cerca anche di trovare eventuali parenti, ma non arriva a nulla.

Mentre il bambino tenta varie volte di scappare dall’ospedale di Rodez, Bonnaterre lo esamina accuratamente dal punto di visto fisico. La sua incapacità di parlare lo fa ritenere sordo e muto, ma l’unico indizio trovato dall’abate, che potrebbe avallare quella teoria, è una cicatrice, lunga 4 centimetri, che corre sul collo del ragazzo proprio all’altezza della glottide.

Certo, il corpo del bambino è coperto di cicatrici, in viso, alle spalle, alle gambe, all’inguine, ma tutte possono in qualche modo spiegarsi con il tipo di vita vissuta dal fanciullo. Ma non quella sulla gola, che è il segno di una ferita inferta con un arma tagliente, con l’evidente scopo di uccidere il bambino. Bonnaterre si convince che chiunque abbia abbandonato il bambino nel bosco abbia anche tentato di ucciderlo, e che quel taglio ha forse menomato la sua capacità di parlare. Per il resto, i suoi cinque sensi funzionano benissimo, anche se sviluppati diversamente dagli altri esseri umani: più importante di tutto è l’olfatto, poi il gusto e l’udito, e per ultimi vista e tatto.

Philippe Pinel

Intanto la curiosità intorno al ragazzo selvaggio non si sopisce, e a Parigi lo reclamano: su pressioni della Société des observateurs de l’hommes viene trasferito all’Istituto per sordomuti della capitale. Lì, l’insigne psichiatra Philippe Pinel dissente totalmente dalle conclusioni di Bonnaterre, e liquida il ragazzo come un minorato totale, sia mentale sia sensoriale. Inutile qualsiasi tentativo di recupero, e d’altronde il ragazzo non si arrende e continua con i suoi tentativi di fuga, ma la sua libertà non dura mai più di qualche ora.

In totale disaccordo con Pinel, il suo giovane collega Jean Itard decide di prendersi cura del ragazzo in prima persona e lo porta a casa sua, visto che all’Istituto è ormai abbandonato a se stesso.

Convinto che a distinguere gli uomini dagli animali siano due cose, l’empatia e il linguaggio, Itard tenta di insegnare al ragazzo il modo di comunicare con gli altri attraverso la parola e la manifestazione delle emozioni.

Jean Itard

Itard sa che il bambino non è sordo: anche se non sembra interessato ai suoni più comuni, come quelli delle persone che parlano (ma anche il colpo di una pistola), manifesta interesse per i rumori che ben conosce, come quello prodotto da una noce schiacciata o da una pigna che cade dall’albero. Con il tempo però impara a prestare attenzione anche alle parole e sembra attirato dal suono “oh”, così Itard lo chiama Victor.

Nonostante l’impegno quotidiano e diversi modi di approcciarsi, il medico non riesce ad ottenere risultati; Victor non parla e le uniche due parole che pronuncia non sono altro che una mera ripetizione: Oh Dieu!, l’esclamazione spesso pronunciata dalla domestica, e lait (latte).

Itard, sconfortato, scrive: “È chiaro il motivo per cui il modo seguito per ottenere questo risultato era lungi dal realizzare i miei progetti: la parola pronunciata [lait], in luogo d’essere il segno del bisogno, non era, relativamente al momento in cui era stata articolata, che una vana esclamazione di gioia. Se questa parola fosse uscita dalla sua bocca prima della concessione della cosa desiderata, il traguardo sarebbe stato raggiunto”.

Dopo cinque anni di tentativi, di entusiasmi sempre frustrati, di risultati inconsistenti, Itard si arrende: nel 1806 presenta una relazione dove ammette che, nonostante tutti i suoi sforzi, Victor è rimasto in buona misura un ragazzo selvaggio, in sostanza un “asociale”.

Le uniche cose che riescono a stimolarlo sono legate alla natura: esprime vera felicità a rotolarsi nudo nella neve, sembra trovare pace quando vede la luna splendere in cielo. Per il resto, quel suo continuo digrignare i denti, quel dondolamento continuo del corpo, sembrano indicare “un moderato grado di autismo” (Serge Aroles, L‘énigme des enfants-loups).

Il vero nodo della vicenda di Victor, mai veramente sciolto, sta nella disputa che lo vede da una parte come un ragazzo selvaggio, che sviluppa un ritardo perché vive sin dalla prima infanzia in condizione di isolamento, e dall’altra un ragazzo disabile che viene abbandonato nel bosco proprio a causa dei suoi problemi. Già dai primi giorni della sua cattura, il commissario che si occupa di Victor ipotizza che abbia subito maltrattamenti fin da piccolissimo, per quella sua curiosa abitudine di porgere i polsi quando qualcuno vuole legarlo. Conferma questa ipotesi uno studio più recente, del dottor Serge Aroles, che sostiene l’idea di abusi dimostrati dalle numerose cicatrici del ragazzo: uno sfortunato bambino forse sfuggito agli adulti che, anziché accudirlo e proteggerlo, lo trattano come un animale, e forse peggio.

Dal canto suo Victor, con i suoi continui tentativi di fuga, aveva dimostrato quanto avrebbe preferito rimanersene nei suoi boschi, a cibarsi di noci e castagne e a rotolarsi nella neve. Itard, tardivamente, fa una sorta di mea culpa, e definisce il comportamento suo e degli altri studiosi una “sterile inumana curiosità degli uomini che avevano strappato Victor dal suo posto”.

Il ragazzo selvaggio, dopo la resa di Itard, ritorna all’istituto per sordomuti, e dopo il suo definitivo allontanamento da esso per quel suo incontrollabile impulso a masturbarsi in pubblico, va a vivere in una casa privata insieme alla domestica di Itard, la  8signora Guerin, l’unica per la quale aveva dimostrato un sentimento di pena una volta che l’aveva vista piangere per la morte del marito. Muore di polmonite (che strano scherzo del destino per uno che amava il freddo della neve sulla pelle) nel 1828, e finisce in una fossa comune, senza che più nessuno si ricordi di lui:

L’inumana curiosità degli uomini aveva ormai relegato Victor tra le pagine di una relazione su un esperimento fallito

Dalla vicenda di Victor è stato tratto il film “Il Ragazzo Selvaggio” di Francois Truffaut:

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.