La peste nera, bubbonica, polmonare, la morte nera. L’abbiamo sentita chiamare in molti modi, e ormai tutti abbiamo impressa nella mente la maschera a punta del celebre medico della peste, un cliché del terrore utilizzato in moltissime occasioni. La Peste in Europa ha ammazzato milioni di persone, difficile quantificarle perché in passato non esisteva un controllo della demografia tanto preciso quanto quello odierno. Arriva in Europa nel 1347, sbarca a Messina poi si diffonde in tutto il continente. Nel primo giro fa fuori circa un terzo della popolazione, mentre nei decenni successivi torna, ciclicamente, e miete un numero di vittime folle se raffrontato con la letalità odierna di malattie simili.
Quando arriva in città si è già certi che una parte rilevante della popolazione diventerà cadavere entro poche settimane, al più mesi, e la vita quasi si blocca. La metà, un terzo, nessuno può dirlo, ma nel giro di poco ci si troverà con un numero impressionante di corpi da gestire, per di più infetti e potenzialmente ancora pericolosi. E questo gli antichi lo sapevano benissimo.
Ma la sepoltura di un buon cristiano non può essere subordinata alla paura del contagio, e quindi bisogna trovare spazi per consegnare alla terra quanto la terra ha generato. Ci sono città in cui questo non è un problema, mentre ce ne sono altre dove trovare uno spazio disponibile per seppellire tanta popolazione che muore nell’arco di qualche mese è un compito impossibile. Una di queste è certamente Venezia.
La Peste di Venezia
Di fronte alla Basilica San Marco, in una mattina dell’Agosto del 2018, alcuni operai che stavano scavando il terreno si sono imbattuti in un ritrovamento macabro. Due teschi, e poi altre ossa, appartenevano a due persone lì sepolte chissà quanti anni prima. Ma quei due teschi erano solo il primo dei tantissimi ritrovamenti di sepolture che sarebbero seguiti negli anni successivi.

Recentemente è diventata celebre la barriera in vetro che protegge la Basilica, che l’ha salvata a inizio Novembre 2022 dalla prima invasione dell’Acqua Alta. Il lavori di scavo per l’installazione della barriera sono stati realizzati negli ultimi due anni, e durante i lavori per queste opere sono state trovati moltissimi resti umani come teschi e ossa. Soltanto a Giugno del 2022 dal selciato della basilica sono venuti fuori 15 scheletri, fra cui anche un teschio con i denti perfettamente conservati, una rarità per quel periodo.
Tutti questi scheletri risalgono a un periodo compreso fra il XIV e il XV secolo, e rappresentano la normalità per quanti si occupano di scavare a Venezia, una città sull’acqua che ha fatto un’enorme fatica a trovare un luogo di sepoltura univoco per tutti, fino alla realizzazione del cimitero di San Michele, nel 1807. Qualche anno prima, nel 1804, Napoleone Bonaparte aveva vietato le sepolture in città, ma la pratica di inumare i cadaveri a Venezia era andata avanti per secoli.
Addirittura fra Piazza San Marco e Piazzetta San Marco, lo spazio racchiuso fra Palazzo Ducale e la Biblioteca Marciana, è stato individuato un vero e proprio cimitero medievale, camposanto su cui sorge uno degli spazi pubblici più celebri al mondo.

I numeri
Difficilmente si possono quantificare i morti per la peste, ma possiamo dare qualche numero approssimativo. Durante la prima ondata, nel 1348, a Venezia morirono circa 40.000 persone su una popolazione di 110.000 residenti (Fonte: Prof. Fabio Zampieri, UniPadova). 40.000 cadaveri che trovarono posto nei luoghi più disparati, ma non è difficile immaginare che le persone più ricche venissero sepolte in città.
Dopo la prima ondata giunse la seconda, già nel 1423, quando le cronache riportano che morivano circa 40 persone al giorno, su una popolazione già provata dalla pestilenza di 70 anni prima. In quell’occasione venne costruito il primo Lazzaretto della storia, sull’isola di Santa Maria di Nazareth, nella quale venne realizzata una struttura con 200 posti letto che doveva accompagnare le persone alla morte, lontano dalla città. Lì, nel Lazzaretto Vecchio, nel 2007 sono emersi dalla terra ben 1.500 scheletri, soltanto una parte di tutti i corpi sepolti in quel luogo di dolore. Il Lazzaretto Nuovo, costruito nel 1468, serviva invece ad ospitare le navi per la quarantena.
Le misure adottate dai veneziani si rivelarono straordinariamente efficaci, e la terza ondata di Peste arrivò solo nel 1575/77, quando su una popolazione di 150 mila persone ne morirono ben 50 mila. Fra loro il più celebre è certamente il pittore Tiziano Vecellio, autore di alcune delle opere che ancor oggi rendono Venezia uno scrigno di tesori senza confronti. Durante questa ondata di peste i morti sul Lazzaretto Vecchio arrivavano a essere anche 500 al giorno, una cifra che obbligò i veneziani a seppellire in ampie fosse comuni i cadaveri.

La fine della peste del 1577 fu talmente attesa dai veneziani che venne edificata la Chiesa del Redentore, sull’isola della Giudecca, e si diede inizio alla festa omonima, che ancor oggi ogni anno, la terza domenica di Luglio, riempie la città lagunare di turisti e abitanti della città.

L’ultima epidemia cittadina risale al 1630, quando Venezia era già arrivata alla considerevole cifra di 140.000 abitanti. Di loro ne morirono ben 50.000, una letalità alla quale oggi non riusciamo nemmeno più a pensare, ma che nel passato era la quotidianità di quelle città invase dal morbo. Alla fine della pestilenza venne edificata un altro simbolo della città, la chiesa della Madonna della Salute, a Punta della Dogana, che ogni anno, il 21 Novembre, celebra la fine di quella terribile epidemia.
I cimiteri in città
Come detto prima, il cimitero dell’isola di San Michele arrivò solo nel 1807. Prima i veneziani potevano essere sepolti direttamente in città, addirittura dal 1630 sotto almeno un metro e mezzo di terra per disposizione delle autorità cittadine. Le sepolture venivano quindi fatte in tutti quei luoghi con sufficiente spazio per ospitare l’enorme numero di cadaveri che nel giro di pochi mesi si accumulavano fuori dalle case.

In moltissimi Campi cittadini (a Venezia esiste solo una piazza, San Marco) i cimiteri si trovano in prossimità della chiesa oppure verso il centro della piazza, dove c’era più spazio, e si possono riconoscere perché la pavimentazione è leggermente più elevata rispetto alle altre aree del lastricato. Un tempo molti di questi luoghi venivano chiamati “Campo dei Morti”, per indicare la destinazione d’uso, ma col passare dei secoli i toponimi sono finiti per essere dimenticati, e gli unici testimoni dei luoghi precisi di sepoltura sono le ossa, che appaiono frequentemente quando vengono fatti dei lavori nella pavimentazione.
Le leggi italiane sulla conservazione dei beni culturali impongono che quando ci si imbatta in scheletri e resti si debba avvisare immediatamente la soprintendenza ai Beni Culturali. Per le ossa scoperte recentemente a San Marco l’archeologa Sara Bini si sta occupando di svolgere analisi sugli scheletri, dei quali per ora si può solo dire che, con ogni probabilità, appartenessero a persone di elevato status sociale vista la sepoltura di fronte alla Basilica di San Marco.
Ma le ossa non si trovano solo nelle piazze della città, arrivano a sfociare anche nelle acque della laguna, con un meccanismo semplice. A causa di un traffico sempre maggiore di imbarcazioni turistiche, spesso a motore, le isole di Venezia sono soggette a un fenomeno di erosione delle coste, per cui gli scheletri sepolti nelle parti più vicine all’acqua possono staccarsi dal terreno e finire in acqua. Capita così che, di tanto in tanto, vengano segnalati scheletri nelle reti dei pescatori o avvistati da imbarcazioni civili o militari. Alcuni di questi sono persino potenzialmente pericolosi perché i batteri della peste possono sopravvivere per secoli quando vengono sepolti in terreni umidi. L’eccessivo turismo nautico di Venezia, per la quale recentemente è stata approvata l’esclusione delle grandi navi dal passaggio di fronte alla città, potrebbe essere una causa sempre maggiore di disagi. Non solo per i vivi, ma anche per i morti della città.
Fonti per l’articolo:
Venezia1600. Gli effetti devastanti della peste e le ingegnose misure di contenimento, articolo di Federico D’Auria.
Mass Plague Graves Found on Venice “Quarantine” Island, articolo di Maria Cristina Valsecchi su National Geographic.
Venice Is Almost One Big Plague Graveyard, articolo di Vittoria Traverso pubblicato su Atlas Obscura.