Un clime mite, profumate brezze marine, boschi e distese di verde a perdita d’occhio: per quanto possa sembrare strano così era, milioni di anni fa, il Canada Occidentale. Dove oggi ci sono campi coltivati e boschi un tempo c’era il mare.
Ricostruzione grafica di nodosauro Borealopelta
Immagine di Nobu Tamura via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Qualcosa come 110 milioni di anni fa, durante il Cretaceo inferiore, un bell’esemplare di nodosauro consuma il suo pasto vicino a un fiume, là dove le felci sono più tenere e verdi. All’improvviso l’acqua si gonfia e lo trascina via, nonostante la sua ragguardevole stazza da una tonnellata e mezzo di peso per cinque metri di lunghezza. La corrente inghiotte l’animale e lo trascina fino al mare, dove galleggia forse per qualche giorno, per poi sprofondare con tutto il suo peso sul fondo sabbioso che lo ricopre rapidamente, come una spessa coperta di fango che lo blocca per sempre, così com’è, riverso sul dorso. Poi il mare si ritira e sul dinosauro si accumulano strati e strati di roccia.
Lo Stato di Alberta in Canada
Immagine di TUBS via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.5
Ma il suo destino non è quello di rimanere sepolto lì per l’eternità
C’è una cava vicino a Fort McCurray (nello stato di Alberta), che estrae bitume da quel terreno così ricco di fossili di piante e animali marini. Il 21 marzo 2011 l’operaio che opera sull’escavatrice deve fermare la pala, che ha cozzato contro qualcosa di durissimo, che né lui né il suo capo hanno mai visto. Capiscono però di avere davanti qualcosa di diverso dai fossili di legno che solitamente trovano e avvisano la direzione, che subito chiama il Royal Tyrrel Museum. L’azienda mineraria mette a disposizione il suo aereo privato, che porta il paleontologo Donald Henderson e l’esperto tecnico Darren Tanke sul sito.
Estrarre il pezzo di roccia che contiene il fossile è un lavoro lungo e difficile, che dura 14 giorni, ma ancor più complicato è trasportare quell’enorme masso da sette tonnellate che, nella costernazione generale, si frantuma in diversi pezzi appena sollevato. Gli operai della cava, insieme a Tanke ed Henderson, studiano un modo per riparare al danno: avvolgono i frammenti con del gesso e lo poggiano su iuta impregnata con argilla.
L’esemplare di Borealopelta markmitchelli – Royal Tyrrel Musem
Immagine di Etemenanki3 via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Il fossile con tutta la roccia arriva al museo, dove Mark Mitchell, tecnico esperto nel liberare i fossili per consentirne lo studio, impiega 7000 ore di lavoro (cinque anni) per portare a termine il suo compito.
Immagine di ケ ラ ト プ ス ユ ウ タ via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
Quel fossile, così fortunosamente ritrovato, è praticamente un tesoro: un dinosauro pietrificato che conserva la corazza con le sue scaglie, e addirittura i frammenti di pelle sopra di esse. Ossa e denti sono ciò che si conserva comunemente nei resti fossili, mentre i tessuti molli si disfano. Se alcuni esemplari di piccoli dinosauri hanno conservato a volte frammenti pelle, piume e raramente organi, questi sono arrivati fino a noi schiacciati nel processo di fossilizzazione, o totalmente disidratati.
Veduta dorsale del Borealopelta
Immagine di Caleb M. Brown via Wikipedia – licenza CC BY 4.0
L’esemplare di questo nodosauro, chiamato Borealopelta, non presenta distorsioni: ha lo stesso aspetto che aveva quando era vivo. I resti di pelle e scaglie hanno consentito lo studio dei pigmenti, che ci informano del colore bruno-rossastro dell’animale, e persino di come la distribuzione delle diverse tonalità avesse una funzione mimetica. Sembra strano per un animale di quelle dimensioni, per giunta corazzato, eppure quel dinosauro erbivoro doveva difendersi dai predatori.
Veduta antero-laterale del Borealopelta
Immagine di Etemenanki3 via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Non è solo la corazza del dinosauro a fornire preziose informazioni sul Borealopelta. I ricercatori sono riusciti ad analizzare anche il contenuto dello stomaco, dove hanno trovato una sorta di palla compressa formata da foglie, felci, ma anche ramoscelli e steli.
Questo esemplare, chiamato Borealopelta markmitchelli (in onore del tecnico che lo ha “liberato”), è il fossile di dinosauro di grandi dimensioni tra i meglio conservati, sicuramente quello che ci racconta più di altri, come fosse il presente, qualcosa di un tempo lontano, un passato difficile da immaginare.