Un gruppo internazionale di ricerca lavora ormai dal 2017 in un sito, Türkmen-Karahöyük (Turchia Centrale), risalente all’età del bronzo e del ferro, abitato all’incirca tra il 3500 il 100 a.C. Nel 2019 succede qualcosa che manda in fibrillazione Michele Massa, direttore del progetto archeologico regionale Konya del British Institute, e James Osborne, professore assistente dell’Istituto Orientale dell’Università di Chicago.
Mentre tutti i ricercatori e gli studenti sono lì intenti a raccogliere frammenti di ceramiche, a mappare il grande tumulo, a fotogrammarlo dall’alto con i droni, scoprendo tra l’altro che si tratta di uno dei più grandi siti pre-ellenistici dell’Anatolia, ecco che arriva un contadino a raccontare di una grande pietra con strane incisioni che affiora da un canale di drenaggio in un terreno di sua proprietà, lì nelle vicinanze degli scavi.
Il sito di Türkmen-Karahöyük in Anatolia
Immagine di James Osborne
L’uomo descrive così bene la pietra da suscitare l’immediata curiosità di Massa e Osborne. I due archeologi si precipitano sul luogo, vedono la pietra semisommersa e subito scendono nel canale, con l’acqua che arriva ai loro fianchi.
Basta un’occhiata e gli archeologi capiscono subito di trovarsi davanti a un’antichissima stele, incisa con caratteri luviani.
Il luvio è un’antichissima lingua indoeuropea, usata in Anatolia nell’età del bronzo e del ferro, che nella forma scritta si avvale di caratteri cuneiformi e di geroglifici.
La stele trovata in un canale di drenaggio
Immagine di James Osborne
Quella stele, così fortunosamente ritrovata, è un tesoro archeologico: “In un lampo abbiamo avuto nuove importanti informazioni sull’età del ferro in Medio Oriente”, dice Osborne.
Perché quella vecchia pietra racconta di un regno fino ad ora sconosciuto, governato da un sovrano di nome Hartapu, che riesce a conquistare il vicino regno di Muska, che dovrebbe corrispondere alla Frigia dell’età del ferro, dove governava Mida, il re dal tocco d’oro.
Sulla pietra c’è scritto: “Gli dei della tempesta hanno consegnato i re [opposti] a sua maestà”, e l’entusiasta Osborne la descrive come “una scoperta meravigliosa, incredibilmente fortunata”.
Un particolare geroglifico ha subito fatto capire che quell’incisione era un messaggio dal re al suo popolo. Gli archeologi ancora non sanno il nome di quel regno perduto, ma ipotizzano che il sito di Türkmen-Karahöyük fosse la sua capitale, e Hartapu il suo re, all’incirca nell’VIII secolo a.C.
La scoperta della stele chiarisce anche un’altra scritta trovata, già da molto tempo, su un vulcano a 16 chilometri a sud del sito archeologico, dove viene nominato un re Hartapu, sconosciuto quanto il suo regno, almeno fino al ritrovamento delle pietra.
Oltre al valore storico-archeologico, la stele stuzzica la fantasia degli amanti del mito, con quel riferimento alla vittoria riportata sul re della Frigia, che potrebbe identificarsi con il leggendario Mida, un personaggio a metà tra realtà e fantasia.
Il mito racconta di questo re avido che chiede al dio Dioniso un dono particolare: poter trasformare in oro tutto ciò tocca. Viene accontentato, ma così non riesce nemmeno più a mangiare ed è costretto a chiedere a Dioniso di togliergli quel potere.
Nemmeno la figura storica di Mida è ben chiara: per qualche studioso visse nel II millennio a.C, per altri era il sovrano che nell’VIII secolo a.C. regnava sul popolo dei Muški, proprio quelli sconfitti dal re Hartapu.
Come sempre accade quando si torna così indietro nel tempo, mito e storia si intrecciano e solo vecchie pietre dimenticate possono, talvolta, raccontare qualcosa di nuovo.