19 maggio – Circa 15.000 persone sono riunite al Madison Square Garden di New York per festeggiare il primo compleanno da presidente di John Fitzgerald Kennedy. L’evento funge anche da galà di raccolta fondi per il Partito Democratico e gode della partecipazione di tantissimi membri di spicco dell’alta società statunitense. A un certo punto sale sul palco Marylin Monroe, accolta con un lungo applauso. La bellissima diva bionda si sfila la pelliccia bianca d’ermellino sulle sue spalle ed esibisce un attillato abito color carne ricoperto di strass.
Dopotutto, se la si annovera fra le attrici più sexy di Hollywood, un motivo ci sarà. Allo scemare dell’ovazione ha inizio la performance: Marilyn si avvicina al microfono; intona una versione modificata del classico Happy Birthday. La sua voce, calda e sensuale, pronuncia la celebre strofa “Happy birthday, Mr. President” con un sorriso ammiccante. Il destinatario della dedica si gode lo spettacolo da un tavolo di fronte a lei. Poco più tardi, alla consegna della torta, JFK scherza sull’accaduto:
Dopo aver ascoltato degli auguri così dolci, posso anche ritirarmi dalla politica
Correva l’anno 1961; la stella di Marilyn stava per spegnarsi, rivelando al mondo intero tutti i demoni della sua sfera privata.
Marilyn Monroe, pseudonimo di Norma Jeane Mortenson, nacque al County Hospital di Los Angeles il 1° giugno del 1926. Sua madre, Gladys Pearl Monroe, proveniva da un’umile famiglia del Midwest, emigrata in California all’alba del Novecento. A 15 anni sposò John Newton Baker, un uomo violento di nove anni più grande, dal quale divorziò nel 1923. Il successivo matrimonio, celebrato nel 1924, non fu più fortunato del precedente. Il fornaio norvegese Martin Edward Mortenson si separò da lei dopo soli pochi mesi, molto prima che rimanesse incinta di Norma Jeane, motivo per il quale l’identità del padre è tutt’oggi sconosciuta. Sul certificato di nascita Gladys indicò Mortenson, da cui prese il cognome la diva, ma i biografi concordano che, invece, la bambina fosse il frutto di una relazione occasionale con qualche collega di lavoro.
La madre di Marilyn versava in condizioni di indigenza, soffriva di attacchi d’ansia ed era spesso soggetta a esaurimenti nervosi. Non essendo in grado di mantenere la bambina, da principio l’affidò a una coppia di cristiani evangelici di Hawthorne, che, in cambio di soldi, se ne presero cura per sette anni. Nell’estate del 1933 Gladys riuscì ad affittare un appartamento a Hollywood e vi si trasferì insieme alla figlia, condividendo il tetto con una coppia di inglesi, George e Maude Atkinson. Dopo alcuni mesi, la donna fu vittima di una caduta dalle scale. L’incidente accentuò la sua instabilità mentale e rese obbligatorio un ricovero al Norwalk State Asylum, dove i medici le diagnosticarono una schizofrenia paranoide.
Con la madre dichiarata incapace d’intendere e di volere, Norma Jeane fu posta sotto la tutela di un’amica di Gladys, Grace MacKee. Nei successivi 16 mesi continuò a vivere con gli Atkinsons, ma, forse in seguito a un tentativo d’abuso sessuale, Grace la spostò nell’orfanotrofio di Los Angeles. Da lì in poi ebbe inizio un lungo calvario, fatto di maltrattamenti, entrate e uscite dall’istituto e numerose famiglie affidatarie che la rimandarono indietro per il suo carattere riservato.
Trovò una sistemazione stabile solo nel 1938, quando si trasferì da una zia di Grace a Sawtelle. A causa dei problemi di salute dell’anziana donna, nel 1941 tornò dall’amica della madre, nel frattempo, convolata a nozze con Ervin Silliman Goddard. Nel 1942 la società per cui lavorava l’uomo lo trasferì in Virginia e, poiché le leggi californiane per la protezione dei bambini vietavano tassativamente di portare un minorenne fuori dallo stato, per scongiurare un ennesimo soggiorno in orfanotrofio la tutrice avanzò a Norma Jeane l’ipotesi di un’unione di convenienza. La ragazza, all’epoca sedicenne, frequentava da qualche mese James Dougherty, il figlio di un vicino e, seppur titubante, acconsentì al matrimonio, celebrato il 19 giugno del 1942. La novella sposa abbandonò gli studi e, di fatto, divenne una casalinga. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Dougherty decise di arruolarsi e partì per il Pacifico; al che la moglie si trasferì dai suoceri e trovò un impiego da operaia presso la Radioplane Company.

In fabbrica la vita di Norma Jeane subì una svolta inaspettata. Negli ultimi mesi del 1944 il fotografo David Conover giunse allo stabilimento per realizzare degli scatti di belle ragazze che avrebbero dovuto tenere alto il morale dei soldati al fronte, ne notò il fascino e la segnalò all’agenzia per cui lavorava. La giovane era fisicamente inadatta per l’alta moda e fu impiegata come modella pin-up in pubblicità e riviste maschili. In quell’occasione, su suggerimento dell’agenzia, abbandonò il color castano naturale dei capelli e li tinse di biondo. Il suo sex appeal le valse l’attenzione di Hollywood e, nel 1946, dopo aver divorziato dal marito, che era contrario alla carriera che stava intraprendendo, firmò un contratto di sei mesi con un’agenzia di recitazione californiana, assumendo per la prima volta lo pseudonimo di Marilyn Monroe. Completamente a digiuno di studi inerenti alla settima arte, cercò di affinare le sue doti all’Actors Lab di Hollywood, ma non riuscì a sfondare.
Dopo un susseguirsi di parti minori e camei non accreditati, nel 1949 si ritrovò in bolletta e senza alcun ingaggio, perciò accettò la proposta del fotografo Tom Kelly di posare nuda per un compenso di 50 dollari. Uno di quegli scatti fu poi incluso in forma anonima nel calendario sexy Miss Golden Dream e, successivamente, nel primo numero in assoluto della rivista Playboy. Marylin era determinata a ritagliarsi uno spazio nello star system hollywoodiano, proseguì negli studi e, soprattutto grazie all’influenza di Johnny Hyde, vicepresidente della William Morris Agency, oltre che uomo sposato di cui fu amante, ottenne un contratto di sette anni con la 20th Century-Fox.

Il 1952 fu un anno travagliato. Hyde morì all’improvviso e, dopo aver recitato in alcuni ruoli secondari, sul grande schermo qualcuno notò il suo volto. A marzo, un ricattatore anonimo si fece avanti e minacciò di rendere di dominio pubblico la correlazione fra lei e la foto senza veli apparsa tre anni prima. La Fox, già a conoscenza di tutto, anziché cedere alle richieste, le suggerì di guadagnarsi la fiducia del pubblico e ammettere di aver posato nuda per far fronte alla disastrosa situazione economica in cui versava. La strategia si rivelò vincente, commosse le persone e spiananò la strada di Marilyn verso il successo.
Sempre nel 1952, cominciò una relazione con il critico letterario Robert Slatzer. Galeotto fu un weekend trascorso insieme a Malibu: presi dall’euforia, viaggiarono fino a Tijuana e si sposarono il 4 ottobre; tre giorni dopo chiesero l’annullamento. Contemporaneamente, in ambito professionale, Marilyn si guadagnò una notorietà negativa. Era spesso in ritardo, non ricordava le battute e, soffrendo di ansia da palcoscenico e insonnia cronica, iniziò ad abusare di barbiturici e alcool. Nel 1953 il regista Darryl F. Zanuck la chiamò per recitare in Niagara. Sebbene la critica evidenziò una recitazione ancora imperfetta, i giudizi furono positivi e il film successivo, Gli uomini preferiscono le bionde, accentuò la sua fama di sex symbol. Nella commedia musicale diretta da Howard Hawks, Marilyn recitò, ballò e cantò al fianco di Jane Russel e dimostrò un fascino magnetico capace d’irretire gli spettatori. L’ultima sua pellicola di quell’anno, Come sposare un milionario, bissò il successo commerciale delle precedenti e la consacrò definitivamente come regina della commedia romantica.
Il 14 gennaio del 1954 sposò a New York Joe Di Maggio, celebre giocatore di baseball degli Yankees, ritiratosi pochi anni prima. Si trattava di una coppia palesemente mal assortita, che annoverava due caratteri agli antipodi. A quei tempi, l’ex esterno/centro beveva molto e sfogava la sua gelosia con la violenza domestica. L’episodio più famoso combaciò proprio con uno dei film più celebri della moglie: Quando la moglie è in vacanza, di Billy Wilder. La trama verteva su di una donna, la Monroe, che diventava oggetto delle fantasie di un vicino sposato, rimasto da solo in città in seguito alla partenza della moglie per le vacanze estive. Nella cultura di massa, la pellicola è famosa per la scena della grata, che fece infuriare Di Maggio e rese inevitabile il divorzio, ottenuto dopo solo nove mesi di matrimonio. Il ciack della discordia prese vita intorno alla mezzanotte del 1° settembre del 1954, sulla Lexington Avenue di Manhattan.
Il coprotagonista, Tom Ewell, è in giro per la città con Marilyn; lei si ferma di proposito sotto una grata e attende il passaggio della metropolitana. Dal sottosuolo arriva una calda sferzata di vento che le fa alzare la gonna del vestito e, ammiccanndo, esclama: «Che delizia!».
Attorno a circa 2.000 persone accorse per ammirare dal vivo una delle donne più sexy del momento, la scena fu girata in pubblico e la folla coprì l’intero audio in presa diretta, costringendo Wilder a ripeterla in studio. Nell’occasione, fu scattata una foto che la Fox utilizzò per la campagna pubblicitaria, diventando una delle immagini più popolari del cinema statunitense.
Una piccola digressione cinefila- La foto in questione vede Marilyn cercare di domare il vento con le mani, mentre la gonna è intenta ad alzarsi e mostrare la sua biancheria intima. Nel film, però, la sequenza non è così esplicita. Nell’esatto momento in cui passa la metropolitana all’origine del vento, la cinepresa si abbassa sulle gambe dell’attrice, per poi staccare in un primo piano a mezzobusto dei due protagonisti. L’immagina da tutti conosciuta esiste solo nelle foto della campagna pubblicitaria. Nel 2011, l’abito bianco usato nella pellicola è stato venduto all’asta per l’incredibile cifra di 4 milioni di dollari, superando il precedente record detenuto dall’abito scuro di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany.
Di Maggio non fu affatto felice di assistere a una scena così sensuale e, secondo alcune fonti, costrinse la moglie a indossare ben due paia di mutande. Ne seguì una lite furiosa e il giorno dopo l’attrice si presentò a lavoro con dei lividi. Il marito chiese e ottenne il divorzio, adducendo danni psicologici derivanti dall’insostenibile situazione di doverla vedere sul set in atteggiamenti intimi con altri uomini. La fine della relazione fu un colpo durissimo per entrambi. Marilyn si affidò alla psicanalisi e Joe, alcolista troppo spesso soggetto a eccessi di collera, smise di bere ed entrò in terapia. Con il tempo, si riavvicinarono e rimasero buoni amici.

Da quel momento in poi, i demoni interiori di Marilyn presero il sopravvento e l’immagine pubblica di donna affascinante all’apice del successo vide contrapporsi una sfera privata ricca di sofferenze. Dopo essersi conosciuti nei primi anni ’50 grazie al regista Elia Kazan, la diva e il drammaturgo Arthur Miller si frequentarono assiduamente a partire dall’ottobre del 1955, sposandosi l’anno successivo.

La loro unione attirò l’attenzione di J. Edgar Hoover, capo dell’FBI, che, in lui vedeva un probabile comunista. Per tale ragione fece aprire un fascicolo anche su di lei. Come già accaduto in passato con i precedenti matrimoni, la coppia non diede alla luce alcun figlio e Marilyn ebbe una serie di aborti, il cui numero esatto è tutt’oggi dibattuto. L’attrice soffriva di endometriosi, un’infiammazione cronica benigna dell’apparato riproduttivo femminile, che le causò parecchi problemi. Nei suoi contratti cinematografici, infatti, a causa dei forti dolori a cui era soggetta, era prevista una clausola con la quale le era permesso di assentarsi dal lavoro durante le mestruazioni. È facile associare l’impossibilità di portare a termine una gravidanza con l’endometriosi, ma, a peggiorare la situazione, lei stessa si sottopose ad aborti volontari in cliniche illegali. Con certezza, si sa che tra il 1957 e il 1958 ebbe una gravidanza extrauterina e un aborto spontaneo, che la portarono a un nuovo abuso di barbiturici, con conseguente ricovero in ospedale.
Nel 1959 fu di nuovo diretta da Billy Wilder in A qualcuno piace caldo. Votato dall’AFI (acronimo di American Film Institute) come la commedia più bella del cinema statunitense; fu il suo film di maggior successo.
Nel frattempo, il matrimonio con Miller andò deteriorandosi e, mentre erano ancora formalmente sposati, divenne l’amante di John Fitzgerald Kennedy. Anche la sua salute peggiorò. Soffriva di calcoli biliari, d’insonnia perenne e sviluppò una malsana dipendenza dai farmaci. Nel 1960 prese parte al suo ultimo film completo, Gli Spostati, di John Huston. Le riprese, effettuate nell’afa del deserto del Nevada, si dimostrarono difficili e ne minarono ulteriormente lo stato cagionevole. Tra sonniferi e alcolici, ingenuamente fraintesi come alleati per combattere i suoi mali, Marilyn fece fatica a ultimare il film e in più di un’occasione si presentò al trucco in stato catatonico.

Nel 1961 divorziò da Miller e, a seguito di un intervento di colecistectomia, in preda alla depressione, si recò spontaneamente sotto falso nome al Payne Whitney, l’ospedale psichiatrico di New York. La permanenza nella casa di cure fu una sorta di detenzione; i medici ne travisarono le condizioni e la collocarono in un reparto destinato a persone con gravi malattie mentali. Marylin si ritrovò chiusa in isolamento in una stanza imbottita ed era impossibilitata a trasferirsi altrove; quindi, giunse in suo soccorso Di Maggio, che riuscì a farla uscire e portarla al Columbian Presbyterian, dove vi trascorse 23 giorni. Secondo alcuni biografi, dopo un lungo riavvicinamento, favorito dall’essersi lasciato alle spalle l’abuso di alcolici e i conseguenti sfoghi violenti, l’ex asso del baseball era seriamente intenzionato a proporre a Marilyn di risposarlo, ma non fece in tempo. Il 23 aprile del 1962, la diva prese parte alle riprese di Something’s Got to Give, diretto da George Cukor, ma si assentò spesso per problemi di salute. In quel periodo, ebbe una relazione con Frank Sinatra e Robert Kennedy, fratello di JFK.
Alle 3 di notte del 5 agosto del 1962, Eunice Murray, la domestica di Marilyn, notò la luce della sua stanza accesa e, vista l’ora tarda, bussò senza ricevere alcuna risposta. La porta era chiusa dall’intero e non s’udiva alcun rumore. La situazione la allarmò e alle 3:30 chiamò con urgenza Ralph Greenson, lo psichiatra dell’attrice, che forzò una finestra esi ritrovò d’innanzi al corpo esanime e senza vestiti della paziente, distesa sul letto con in mano la cornetta del telefono. Intorno alle 3:50 giunse sul posto Hyman Englberg, suo medico personale, e ne accertò il decesso all’età di trentasei anni. Per ragioni ignote, le autorità furono allertate solo alle 4:25. Sul pavimento gli inquirenti rinvennero diversi flaconi vuoti di farmaci e l’autopsia eseguita dal dottor Thomas Noguchi evidenziò che la donna era stata vittima di un’overdose da barbiturici tra le 20:30 e le 22.30 del 4 agosto. Escludendo l’ipotesi di un’assunzione involontaria, poiché il dosaggio era molto al di là del limite, il tragico evento fu classificato come “probabile suicidio”.
La notizia fece scalpore e nacquero numerose teorie che sostenevano varie cause e colpevoli della morte della diva. Secondi alcuni, sul set del suo ultimo film, Marilyn era rimasta incinta di Robert Kennedy e, su sua insistenza, fu costretta ad abortire. Stufa di essere solo un’amante, avrebbe minacciato di rivelare pubblicamente la loro relazione, mettendo in difficoltà l’allora procuratore generale della Casa Bianca che, come si vociferava in quei giorni frenetici, tuttavia senza alcuna prova tangibile, era stato visto nell’appartamento della diva il 4 agosto. Altri, invece, credevano coinvolto anche il fratello di Bob, il presidente degli Stati Uniti d’America.
Nel timore che le loro carriere politiche venissero macchiate, furono i Kennedy a ordinare la morte dell’attrice? C’era di mezzo l’FBI, che la teneva d’occhio dai tempi del matrimonio con Miller? E se tutto fosse stato orchestrato dalla mafia per colpire indirettamente i Kennedy?
Le circostanze ambigue e alcune incongruenze scatenarono la fantasia di scrittori, giornalisti o semplici fan, ma, se non con semplici illazioni, nessuno riuscì a contraddire il resoconto dell’autopsia.
Il funerale si tenne l’8 agosto, con una piccola cerimonia privata organizza da Joe Di Maggio, che si occupò di tutte le spese. Degli ex mariti, fu l’unico a prendervi parte. All’appello mancava anche Gladys: ormai in balia della schizofrenia, non ricordava nemmeno di avere una figlia. Per circa vent’anni, Di Maggio si recò personalmente sulla tomba del suo amore perduto per depositare un mazzo di rose in ricorrenza del compleanno. A partire dal 1982, fino al 1999, anno della sua morte, un fioraio continuò la tradizione in sua vece. Allo stesso modo, per tutta la vita Robert Slatzer le portò una rosa bianca. Da quel tragico 5 agosto, Marilyn riposa nel Westwood Village Memorial Park Center di Los Angeles. Sesta nella classifica AFI delle più grandi star femminili del cinema statunitense, è tutt’oggi ricordata come un’icona pop di Hollywood. Come disse il regista Peter Bogdanovich:
Dalla morte di Marilyn Monroe, non ci sono più state dee dell’amore