Tranquillo Allevi: quando la Morte arriva per Posta

È strano quel pacchetto: un cartoncino riciclato, senza alcun logo ufficiale e imballato senza il minimo garbo. Non è di certo un bel biglietto da visita per una ditta importante come la Sanpellegrino. Ma non importa, l’ambizione è più grande, quella di diventare il rappresentante di un marchio così conosciuto è un’occasione che non capita due volte nella vita. E così Tranquillo Allevi non si lascia insospettire da quel pacchetto arrivato quello stesso pomeriggio nella sua casa di Arma di Taggia, in provincia di Imperia, il 25 agosto 1962.

Era stata la postina del paesino rivierasco a consegnarlo a mano alla signora Renata Lualdi in Allevi. La donna, incuriosita, aveva già aperto l’involto prima dell’arrivo in serata del marito. Dentro aveva trovato una bottiglietta di bevanda analcolica Sanpellegrino (all’epoca ancora denominata Società Anonima delle Terme di San Pellegrino) e un foglietto scritto a macchina. Il messaggio era indirizzato proprio a Tino Allevi. La ditta lombarda fondata nel 1899 era intenzionata a offrire la rappresentanza del prodotto all’Allevi. Sollecitava l’uomo di assaggiare la bevanda e di attendere un incaricato che sarebbe passato in visita tra qualche giorno.

È entusiasta Tino Allevi non appena la sua Renata gli comunica la notizia. Decide di chiamare due colleghi commercianti, Arnaldo Paini e Isacco Allegranza, e di invitarli a bere insieme a lui la bevanda in modo di avere un riscontro più fedele e preciso: di fatti Allevi è solamente – absit iniura verbis – un rappresentante di formaggio, e non è particolarmente avvezzo agli alcolici.

I tre uomini sono attorno al tavolo di casa Allevi. Renata Lualdi è in disparte, in un’altra stanza. Il padrone di casa, inorgoglito, racconta l’occasione che gli si presenta e inizia a servire il bitter agli amici. Annuncia il brindisi e manda giù tutto d’un colpo, senza pensarci. Sono da poco passate le 22.

Paini e Allegranza provano il loro bicchiere, ma la bevanda è talmente amara che non riescono a buttarne giù che qualche goccia

Dopo pochi minuti i tre uomini cominciano ad avere dei fortissimi dolori allo stomaco. Tino Allevi, che ha ingollato tutto il bitter, è addirittura piegato in due dal dolore. Vengono condotti in ospedale. Alle 22.40, circa mezz’ora dopo aver bevuto la bevanda analcolica, Allevi muore.

Avvelenamento acuto per ingestione di sostanza sconosciuta. Probabilmente, stricnina” dichiara il medico dell’ospedale. Avvelenamento. I colleghi della vittima riescono a sopravvivere grazie alla tempestiva lavanda gastrica.

Ma come è morto Tranquillo Allevi?

Possibile che una ditta dal gran nome come la Sanpellegrino possa essere colpevole di un errore nella produzione della bevanda? L’ipotesi viene scartata quasi immediatamente allorché l’ispezione a casa Allevi porta al rinvenimento della bottiglietta dalla quale l’uomo e i due amici hanno bevuto. La boccetta, così come la scatolina usata per la spedizione, non riporta alcun marchio della ditta di bevande. La scatola per giunta è stata riciclata, utilizzata in precedenza per contenere dei biscotti.

Pure la richiesta dell’assaggio insospettisce gli inquirenti: come detto, l’Allevi prima di tutto è un commerciante di formaggi e dunque per qual motivo la Sanpellegrino dovrebbe richiedere la rappresentanza a un soggetto specializzato in un altro campo? Ma è la dicitura del destinatario vergata sul messaggio a non lasciar dubbio sull’intenzione delittuosa dell’anonimo mittente: chi ha scritto la lettera si riferisce a Tranquillo Allevi chiamandolo Tino, nomignolo con il quale lo chiamano solamente le persone di conoscenza, le più intime.

Tranquillo Allevi e Renata Lualdi:

Si riesce a scoprire che il plico è stata inviato due giorni prima dall’ufficio postale della stazione di Milano Centrale. A questo punto le indagini prendono la pista passionale convergendo le attenzioni sulla moglie della vittima, Renata Lualdi. Si scopre che la donna non è mai stata fedele al marito, nonostante i due figli nati dal matrimonio: l’uomo era sempre in giro per lavoro e tornava a casa la sera tardi soltanto per dormire. Renata, donna trascurata e annoiata, ma ancora bella e desiderabile con i suoi occhi malinconici e i capelli biondo cenere, aveva fatto presto dunque a circondarsi di amanti. Uno dei più duraturi è Renzo Ferrari, un giovane veterinario di Barengo. L’uomo, alto, ben fatto e dai modi galanti, è l’amante ufficiale di Renata e Tino Allevi ne era al corrente, come tutti in paese.

Sotto, Renzo Ferrari a Sinistra, Tranquillo Allevi al centro e Renata Lualdi a destra:

La relazione clandestina tra Renzo e Renata dura da molto tempo, da quando la famiglia Allevi viveva ancora vicino Novara. Il trasferimento in Liguria era stato deciso proprio dall’Allevi per tenere distante la moglie dall’amante. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

La tattica pare funzionare; ora i chilometri che deve percorrere il Ferrari per congiungersi per poche ore con la sua amata sono troppi. La lontananza smonta la passione tra i due, ma non l’ardore della signora Allevi che puntualmente trova un altro amante ad Arma di Taggia.

Non appena si accorge di essere stato sostituito Renzo Ferrari comincia a dare in escandescenze e a minacciare la donna. Dopodiché decide di incontrare Tino Allevi proponendogli un affare: quattro milioni in cambio della moglie. Ferrari nella sua follia è deciso ad avere tutta per sé la donna che sente ormai sfuggirgli dalle mani. Dinanzi a questa “proposta indecente” Allevi, semplice commerciante di formaggi, dimostra una dignità e un’apertura mentale non comune per quegli anni: non è a lui che deve chiedere la moglie, Renata è una donna libera e può decidere quello che vuole. E la donna rifiuta l’offerta. È il rifiuto che fa scattare il piano criminale di Ferrari.

Nella sua mente ossessionata la morte di Tino Allevi avrebbe automaticamente condotto a lui la vedova. Ma così non sarà. Il piano viene scoperto subito e le prove risultano schiaccianti nonostante il Ferrari si dichiari assolutamente innocente. Sua principale accusatrice la vedova Renata Lualdi. L’uomo, nonostante un primo riconoscimento delle attenuanti generiche, sarà condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Imperia.

Renzo Ferrari e Renata Lualdi al processo:

Graziato nel 1986 dal Presidente Francesco Cossiga (in quell’anno il Capo dello Stato emise la grazia per oltre mille persone), Renzo Ferrari continuerà a proclamarsi innocente per l’uccisione di Tino Allevi. Il veterinario di Barengo morirà nel 1988.

Una nota di linguaggio, il detto “Tranquillo è morto ammazzato” o “Tranquillo ha fatto una brutta fine”, deriva proprio da questo caso, che venne definito dalla stampa dell’epoca “Il delitto del Bitter”.


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