Essere una pattinatrice richiede non soltanto innato talento, sforzo fisico e costanti sacrificio e allenamento, ma anche altri elementi come la grazia e la leggiadria, essenziali per un’esibizione impeccabile che possa colpire la giuria.
La giuria, però, talvolta può anche essere non solo spietata, ma anche imparziale e influenzata da alcuni aspetti al posto di altri. Questa è la storia della pattinatrice artistica su ghiaccio americana Tonya Harding e della sua vita complicata sulle piste di tutto il mondo.
Tonya Maxene Price (al secolo Harding) nasce a Portland, Oregon il 12 novembre del 1970. Fin da piccolissima vive in una famiglia decisamente disfunzionale, dove la violenza fisica e psicologica è all’ordine del giorno. Sua madre, LaVona, è una donna severissima, anaffettiva, dispotica e non ammette alcuna obiezione ai suoi ordini. Assecondando per una volta la volontà della figlia, spinge la sua bambina a pattinare; in cambio però pretende l’assoluta perfezione e se fallisce sono botte.
Tonya Harding nel 1994
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Così la piccola Tonya comincia a prendere lezioni dall’allenatrice Diane Rawlinson che la introduce a questa disciplina così raffinata quanto impegnativa. Tonya impara a pattinare, a volteggiare, a saltare, a eseguire trottole con una agilità ottima, ma quello che le manca, e le mancherà sempre, è la grazia: ogni suo movimento è alimentato da una travolgente energia, ma anche da una buona dose di rabbia che poco si addicono alla grazia delle sue colleghe pattinatrici.
Tonya non è come le altre ragazze: lei deve lavorare la mattina e prendere lezioni il pomeriggio e non ha il sostegno della famiglia; deve anzi sorbirsi le continue pressioni della madre che, oltretutto, non spende un solo centesimo per farle indossare un costume decente. Tonya, dunque, è costretta a cucirsi i costumi da sola.
Il carattere di Tonya si forgia tra i problemi familiari. Suo padre, Albert, ha abbandonato la famiglia e sua madre, ottenuto il divorzio, si è risposata. Tonya ha soli 15 anni quando deve vedersela pure con le attenzioni morbose di Chris Davidson, il suo fratellastro. Tonya arriva a soprannominarlo “Creepy Chris” a causa degli atteggiamenti inquietanti che le riserva. “Creepy Chris” le rende la vita impossibile fino a quando, dopo l’ennesimo tentativo di violenza, Tonya avverte la polizia e fa arrestare il fratellastro.
L’unica consolazione per Tonya Harding è proprio il pattinaggio e quando arriva la prima chance di abbandonare quell’ambiente tossico, la ragazza lo fa.
Ben presto arriva a gareggiare, ma anche sulle piste trova i primi problemi perché si scontra col bigottismo proprio dell’ambiente: comprende subito che alla giuria importa sì la qualità dell’esibizione, ma bada anche e soprattutto alla presentazione dei costumi e perfino alla provenienza dell’atleta. In altre parole, si potrebbe pensare che la giuria guardi soprattutto alla famiglia alle spalle della pattinatrice in gara, e Tonya non ha di certo alle spalle la classica famiglia americana.
Nel 1991, per la ragazza arriva comunque l’anno della svolta. Ai Campionati americani in programma a Minneapolis, Tonya dà prova della sua innata bravura esibendosi ed eseguendo per la prima volta (la seconda donna in assoluto) il triple axel, un salto difficilissimo che richiede un’agilità fisica non indifferente, per poi concludersi in un triplo volteggio; una esecuzione mai fatta prima da altre pattinatrici molto più in vista di lei. Grazie a questa prodezza ottiene il punteggio massimo: 6.0.
Nelle altre gare, però, la sua cattiva stella sembra risvegliarsi: durante un’esibizione la Harding sta per eseguire ancora il salto tanto ambito, ma nel momento in cui tocca di nuovo il pavimento ghiacciato, sbanda. Rischia di cadere, riprendendo l’equilibrio solo all’ultimo istante. L’esibizione è compromessa e tutto questo perché, qualche giorno prima della gara, la lama della scarpina si era staccata dalla suola ed era poi stata rinsaldata male. Una manciata di millimetri fuori asse, un errore che costa caro a Tonya.
Sulla strada di Tonya, intanto, arriva anche quello che lei crede essere l’amore della vita: Jeff Gillolly. L’uomo diventerà suo marito e presto si rivelerà non solo l’ennesimo uomo violento nella vita di Tonya, ma anche un losco figuro che trascinerà la stessa atleta nei guai con la legge.
Dire che tra i due il rapporto è burrascoso è dire poco: Jeff, tra una violenza e l’altra, arriva addirittura a minacciare di morte Tonya e a dirle che si toglierà la vita se lei dovesse mai lasciarlo. Tempo prima Tonya aveva chiesto non solo il divorzio, ma anche l’allontanamento del marito. Jeff, però, incapace di accettare la fine del matrimonio, la aveva raggiunta armato di pistola. Vedendolo, la ragazza aveva tentato la fuga, ma fu ferita di striscio da un proiettile. A questo punto Tonya aveva denunciato definitivamente l’uomo.
Nancy Kerrigan nel 2006
Fotografia di Gianluca Platania – Flickr condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 2.0
La vita della Harding, però, viene sconvolta da un altro accadimento. In quegli anni una delle migliori pattinatrici in circolazione è Nancy Kerrigan, una pattinatrice non soltanto brava e aggraziata, ma anche la classica ragazza della porta accanto americana, con una famiglia rispettabile alle spalle. Accade che il 6 gennaio del 1994, a Detroit, la Kerrigan subisce l’aggressione da parte di uno sconosciuto. La ragazza è appena rientrata dalla pista di pattinaggio quando viene colpita ripetutamente al ginocchio con una sbarra di ferro. Nancy Kerrigan deve andare sotto i ferri.
La gara alla quale la Kerrigan avrebbe dovuto partecipare se non avesse subito la brutale aggressione, sarà vinta proprio da Tonya. I sospetti cominciano a gravare su di lei e la ragazza viene accusata d’aver ingaggiato, con il marito, un balordo per eliminare dalle gare la forte rivale.
Gli inquirenti hanno infatti pochi dubbi: Tonya c’entra qualcosa nella storiaccia e la certezza arriva quando la stessa atleta ammette, pur non essendo la mandante, di aver saputo da qualcuno dell’agguato. A questo punto la federazione decide di non inserirla nella squadra in partenza per i Giochi olimpici di Lillehammer del mese successivo. Tonya non ci sta e minaccia di andare per vie legali.
Anfiteatro Hamar delle Olimpiadi invernali 1994
Fotografia di Cato Edvardsen – Own work condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 3.0
A Lillehammer, alla fine, andranno sia la Kerrigan che la Harding. Nella sua esibizione, Tonya ancora una volta si ritrova nei guai, questa volta per un laccio che si rompe, causa sua negligenza, nel momento meno opportuno. In lacrime, Tonya mostra lo stivaletto alla giuria, supplicando di riprendere l’esercizio. Si ritira per sostituire il laccio e quando ritorna si esibisce in maniera ottimale, ma i giudici sono crudeli e la puniscono per il laccio rotto, assegnandole solo all’ottavo posto. Nancy Kerringan, invece, nonostante il recente infortunio riesce a conquistare la medaglia d’argento.
Il processo per l’aggressione alla Kerringan prosegue. Tonya nega e negherà sempre il suo coinvolgimento nella misteriosa aggressione; ciononostante non verrà mai scagionata del tutto da queste accuse e il sospetto che sia stata lei la mandante dell’esecuzione è rimasto. Ancora oggi, nell’ambiente, è in uso la frase “Fare una Tonya Harding” per intendere “fare un tiro mancino all’avversario” o “segargli le gambe”.
Tonya Harding nel 2006
Fotografia di bobgo29 – Flickr condivisa via Wikipedia con licenza CC BY 2.0
In quello stesso anno la Harding accetta di pagare una multa salatissima di 160.000 dollari. La federazione, a questo punto, prende l’occasione non solo per revocarle il titolo vinto ai campionati nazionali, ma anche per bandirla a vita dal circuito di pattinaggio. Tonya viene così squalificata e bollata come “persona non gradita”. Per lei la vita sportiva finisce così.
A Tonya Harding è stato dedicato anche un film uscito in Italia col titolo “Tonya” e diretto da Craig Gillespie. Tonya Harding, dopo una breve parentesi nel pugilato agli inizi del Duemila, oggi ha cinquanta anni, si è risposata e ha un figlio.