Nel 1969 tredici Hippie provenienti dalle rivolte nei campus, dalle proteste contro la guerra del Vietnam e scottati dalle brutalità che perpetrava la polizia nei confronti dei sostenitori della “controcultura”, fuggirono sull’isola hawaiana di Kauai, la stessa che sarà utilizzata, molti anni dopo, da Steven Spielberg per il suo Jurassic Park. In poco tempo questa piccola comune di uomini, donne e bambini furono arrestati e condannati a novanta giorni di lavori forzati perché non avevano né casa né lavoro.
Howard Taylor, fratello dell’attrice Elizabeth, salvò il gruppo e li invitò a vivere nel proprio terreno di fronte all’Oceano Pacifico, abbandonandoli a loro stessi, senza restrizioni, regolamenti o supervisioni. Ben presto ondate di hippie, surfisti e veterani del Vietnam raggiunsero questa comune, dove trovarono un luogo di pace e serenità.
Nel 1977 il governo degli Stati Uniti si riappropriò del terreno per far posto a un parco nazionale. Nel giro di pochi anni la natura invase Camp Taylor, lasciando soltanto il ricordo di quelli che furono, secondo i suoi abitanti:
I migliori giorni della nostra vita
Di quel periodo rimangono tante fotografie e il ricordo di un’epoca ormai definitivamente parte del passato.
Di quell’esperienza comunitaria ci rimangono le fotografie del 1970 di John Wehrheim, che mostrano una comunità che aveva creato l’ordine senza le regole e aveva respinto il materialismo in cambio del benessere naturale.
La storia di otto anni di esistenza del Taylor Camp è raccontata attraverso le interviste fatte 30 anni più tardi agli abitanti di quel minuscolo villaggio, ma anche ai funzionari del governo che riuscirono a porre fine a quell’”assurdo” della società e ai vicini del campo, tutte contenute all’interno del documentario: “Taylor Camp: Living in 60′ Dream”.