Il sumō (giap. 相撲) pronunciato erroneamente in italiano “sùmo” invece che “sumoo” con la “u” che viene quasi mangiata dalla “s” e la “o” finale allungata, è lo sport nazionale giapponese famoso in tutto il mondo non solo per l’unicità dello sport in sé, ma anche per una serie di rituali religiosi scintoisti ancora in vigore al giorno d’oggi che accompagnano ogni incontro fin dal passato.
Sotto, la lettura dell’articolo sul canale di Manuela Amato:
Sumo-e (Kunisada Utagawa, 1860)
La parola “sumō” deriva da due ideogrammi cinesi che significano letteralmente “colpirsi mutualmente”, perché è proprio questo che fanno i lottatori di sumō professionisti chiamati in giapponese “rikishi” (giap. 力士) durante gli incontri comunemente dalla durata di pochi secondi, altre volte di interminabili minuti che lasciano gli spettatori fino all’ultimo con il fiato sospeso. I due sfidanti, con un peso corporeo che può raggiungere gli oltre 150 kg, si sfidano su un ring chiamato “dohyō” (土俵), vestiti di solo un perizoma detto “mawashi” (廻し). Essi si spingono l’uno con l’altro con lo scopo di far cadere l’avversario o di spingerlo fuori dal ring. Detto così sembra molto semplice, ma ci sono una serie di divieti a cui gli atleti devono fare attenzione a non commettere per evitare di essere squalificati. I rikishi infatti non possono tirare pugni all’avversario o calci al petto e all’addome, non possono tirare i capelli, colpire i genitali, e perdere il mawashi, una regola quest’ultima introdotta di recente, nel 1913, come conseguenza dell’influenza della morale cristiana occidentale.
Somagahana Fuchiemon, 1818. Un lottatore di sumo che usava spade grandi e piccole ed era trattato come un samurai:
Ma questi divieti non ci sono sempre stati, anzi. Agli inizi il sumō era uno sport molto più rude, senza regole ferree e che non contemplava ancora l’esistenza di lottatori professionisti come li conosciamo oggi.
Le origini del sumō sono molto antiche: sono stati rinvenuti dipinti murali probabilmente risalenti al terzo secolo dove si rappresentava il sumō come una danza ritualistica praticata come preghiera per l’auspicio di un buon raccolto. Ma la prima menzione scritta del sumō la si trova nel “Kojiki” (古事記), il primo testo di narrativa mitologica giapponese fatto redarre nel 712 d.C. dall’imperatore Tenmu al fine di legittimare la stirpe imperiale come discendente diretta degli dei. Tra le pagine di questo manuale, si narra la storia di due divinità “Takemikazuchi”, dio del tuono e “Takeminakata”, dio dell’acqua, del vento e dell’agricoltura, che si sfidarono a vicenda in un incontro di sumō al fine di contendersi il Giappone.
Nel 6° anno di Tensho (1578), Oda Nobunaga dipinto mentre assiste a un incontro di Sumo al castello di Azuchi:
Troviamo poi un altro incontro di sumō testimoniato questa volta in un altro testo di narrativa mitologica simile al Kojiki, il Nihon Shoki (日本書紀), dove si parla dello scontro voluto dall’imperatore di origini leggendarie Suinin, questa volta tra un certo Nomi no Sukune e Taima no Kuehaya. Il primo vince, sconfiggendo l’avversario con un calcio nella schiena e rompendogli una costola; come dicevamo prima in questo periodo lo sport non aveva regole ed era molto spesso un combattimento che finiva con la morte di uno dei due concorrenti.
Nel 642 d.C., invece, è testimoniato il primo combattimento storicamente accertato, avvenuto alla corte dell’imperatrice Kōgyoku (642-645;655-661) organizzato per intrattenere una delegazione coreana. Da questo momento in poi il sumō acquistò popolarità ed assieme anche cerimoniali e significati religiosi, e durante il periodo Heian (794-1185) esplode diventando un evento dallo svolgimento regolare alla corte dell’imperatore.
Sfortunatamente però, nel periodo Kamakura (1185-1333) l’imperatore perde il suo potere centrale e di conseguenza anche il sumō ne risente, passando da combattimento di tipo cerimoniale di un certo livello ad una sorta di allenamento per i samurai che stavano diventando via via i detentori effettivi del potere in Giappone.
Riproduzione di Sumo di Hiroshige sulla terrazza del fiume Sumida, Tokyo. Fotografia di Tron-Namazu condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Nel periodo Muromachi, poi, (1333-1573) finì per ridursi alla stregua di un evento popolare. I detentori del potere ora sono i “daimyō”, alcuni di loro decidono di prendere sotto la propria ala un rikishi che dovrà combattere per loro. Il rikishi che vince per il proprio daimyō ha diritto a ricevere supporto economico, fino anche a ottenere lo status di samurai. Oda Nobunaga, uno dei tre unificatori del Giappone, e all’epoca il più potente daimyō del paese, era un grande fan del sumō, tanto che nel suo castello faceva tenere dei combattimenti simultanei. Per evitare che gli spettatori si facessero male nell’assistere all’incontro, Nobunaga fece costruire un ring di argilla e ricoperto successivamente di sabbia, da qui nasce il dohyō così come lo conosciamo noi ancora oggi.
Nel periodo Edo (1603-1868) il sumō era ormai diventato un combattimento di massa, veniva praticato per le strade e lo si cominciò a ritenere troppo violento perché causava disordini e minava la tranquillità sociale. Per questo motivo venne bandito da Edo (attuale Tōkyō), per poi nel 1684 tornare ad essere praticato, ma solo per eventi benefici dove il ricavato sarebbe stato poi usato per la costruzione di tempi scintoisti o impiegato in infrastrutture. Non tutti potevano parteciparvi, ed è qui che cominciano a nascere i primi atleti professionisti.
Torneo di Kanjin, immagine di Utagawa Kunisada, 1843
Come abbiamo detto all’inizio, il sumō è uno sport costituito non solo da mosse e strategie vincenti, ma anche da rituali religiosi scintoisti, che ogni atleta deve obbligatoriamente conoscere per poter diventare un vero lottatore. Se dopo aver letto questo articolo proverete a guardare un incontro di sumō, vi invito a prestare attenzione ai movimenti dei lottatori prima dell’incontro effettivo: noterete che viene offerta loro dell’acqua che bevono per purificarsi e ricevere forza (Chikara Mizu 力水), fanno poi scivolare un po’ di acqua anche sul corpo che puliscono con un asciugamano dopo averlo passato anche sulla bocca (Chikara Gami 力紙), e poi cominciano a battere le mani e sollevarle verso il cielo (Chiri Chōzu 塵手水 ) annunciando agli dei che l’incontro sta per cominciare e mostrando le mani per far vedere che sarà un gioco leale senza l’uso di armi.
Due lottatori moderni, fotografia di Gusjer condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

I rituali che precedono l’incontro sono diversi, come per esempio il rituale dal sale (Shio Maki 塩撒き): quello per cui i lottatori prima di ogni incontro lanciano delle manciate di sale sul ring allo scopo di purificarlo e di proteggersi da sfortunati incontri o infortuni.
Un altro interessante è il rituale chiamato “Shiko”: il sumotore è sul ring a ginocchia piegate e a gambe larghe, in questa posizione alza alternativamente le gambe in aria per poi sbattere i piedi con forza sul ring. Questa pratica ha come scopo quello di fare stretching, intimorire i demoni e perché no anche l’avversario. Poi abbiamo il “Makūchi Dohyohiri”: all’inizio della giornata di incontri i Makūchi (che sono i lottatori con un livello molto alto) salgono sul ring indossando non il semplice Mawashi indossato comunemente dai sumotori, ma il “Kesho Mawashi” più simile ad un grembiule che ad un perizoma, colorato con i simboli che rappresentano il lottatore; da questo momento parte un cerimoniale costituito da movimenti tradizionali con le braccia. C’è poi una cerimonia particolare chiamata “Yokozuna Dohyohiri” che è una giornata di combattimenti che viene aperta con l’ingresso dello Yokozuna che compie un rito propiziatorio, fatto di gesti molto particolari.
Lo Yokozuna è il grado più alto che un lottatore di sumō può raggiungere, egli è considerato una semi-divinità scintoista e ha il diritto ad un vitalizio a fine carriera.
Oggi in Giappone si svolgono ogni anno sei grandi tornei dalla durata di 15 giorni ciascuno: tre a Tōkyō e tre distribuiti fra Osaka, Nagoya e Fukuoka. È considerato ancora tutt’oggi uno sport esclusivamente al maschile. Le donne, essendo considerate nel scintoismo esseri impuri, possono partecipare invece al cosiddetto sumō sportivo, che ha pressoché le stesse regole dell’originale ma senza i rituali tradizionali.