Una, due, cinque, dieci, venti frecce si conficcano nel suo torace come dei colpi di pistola. Dietro le sue spalle in un’ala fredda e buia del castello di Koromogawa, il suo signore Yoshitsune Minamoto insieme alla famiglia sta per compiere seppuku, un atto di suicido per mezzo di una lama tagliente col quale si opera un taglio netto nell’addome squarciandolo da parte a parte.
Sotto, Manuela spiega l’articolo sul suo canale YouTube:
La guerra è finita, hanno perso, ma cadere ancora vivi nelle mani del nemico è ancora più disonorevole della sconfitta stessa. Il suo signore deve riuscire a tutti i costi nel suicidio. Arriva una freccia. Poi un’altra. Ma lui è ancora comunque in grado di combattere.
Nessuno, deve riuscire ad attraversare quel ponte
Pensando di combattere contro una creatura immortale, i nemici si fermano per un po’, spaventati dalla forza di quell’uomo che non dava segni di cedimento. Ma la paura lascia spazio all’incredulità: quello che gli si stava palesando davanti era un corpo immobile, coperto di frecce, un uomo morto, in piedi.
Lui era Benkei
Il sōhei Benkei con Minamoto no Yoshitsune:
Il protagonista di questa storia tra mito e realtà è Saitō Musashibō Benkei, più noto solo come Benkei. Fu un Monaco buddhista vissuto tra il 1155 e il 1189, un monaco non di quelli che conosciamo noi oggi, intenti tutto il giorno in preghiere e a scoprire il senso della vita, era uno di quelli che combattevano, che facevano guerre, che avevano ambizioni terrene, era un così detto “Sōhei” (僧兵) ovvero “Monaco guerriero”.
I monaci guerrieri ebbero un ruolo decisivo in Giappone, dal periodo Heian fino alla venuta del primo unificatore del Giappone (Oda Nobunaga), per poi sparire del tutto con il governo Tokugawa.
Come noto i testi buddhisti parlano chiaro riguardo l’uso proibito delle armi e della violenza, ma sembrerebbe che nel “Sutra mahayana del Grande passaggio al di là della sofferenza” si faccia un’eccezione, e sia consentita per proteggere il Dharma buddhista da chi tenta di profanarlo.
Il periodo di maggior fioritura del Buddhismo giapponese fu l’epoca “Nara” (710-794) ma è nel periodo Heian (794-1185) che si consolidò nella società giapponese.
I monaci, con la loro sete di potere, spaventarono così tanto l’élite alla corte Heian, che venne istituita una legge chiamata “Sōniryō” (giap. 僧尼理法) letteralmente legge per monaci e monache, che vietava a questi ultimi di compiere qualsiasi atto di violenza. La legge però non durò a lungo, in quanto con la scusa che i monaci non potevano usare nessuna forma di oppressione, molti contadini finsero di esserlo per evitare di entrare nell’esercito, e il governo si ritrovò con pochi giovani idonei all’arruolamento. Allora si decise di allentare la legge, consentendo anche ai monaci il possesso e l’uso di armi.
Monaco soldato Kofukuji:
L’attività dei nostri protagonisti monaci guerrieri continuò indisturbata, e nel IX secolo i principali templi buddhisti erano protetti da vere e proprie bande bellicose.
Infatti accadeva che spesso e volentieri i monaci di grandi templi entrassero in conflitto fra loro, cercando gli uni di prevaricare sugli altri, costringendo la corte Heian a intervenire con il proprio esercito per mettere fine agli scontri.
Nell’XI secolo un certo Ryōgen, abate della setta buddhista Tendai, cercò di porre fine una volta per tutte a queste continue guerre, emanando delle vere e proprie regole da rispettare. Una di queste era il divieto di portare sul capo il cappuccio della toga: alcuni monaci lo indossavano di proposito con l’intento di nascondere la propria identità, questo permetteva loro di compiere innumerevoli atti criminosi senza venir di fatto riconosciuti da nessuno.
Purtroppo anche questa serie di regole atte a limitare la violenza durarono ben poco e lo stesso Ryōgen fu costretto più volte a servirsi di armate militari per non venire a sua volta spodestato da altre scuole nemiche.
Passarono così secoli di scontri e violenze dove molti dei magnifici templi vennero bruciati o distrutti dai combattimenti fra fazioni opposte.
Nel XIV secolo per i monaci guerrieri un nuovo nemico si palesava all’orizzonte: lo “Shōgun” (giap. 将軍), letteralmnete generale/comandante di un esercito, che in quel periodo stava diventando via via sempre più forte in Giappone.
In realtà lo Shōgun non era contro il buddismo in sé, anzi, ci teneva a mantenere dei rapporti amichevoli con le varie scuole religiose, ma solo con quelle che erano in linea con il proprio pensiero. La sua scuola prediletta fu quella buddhista ZEN.
Fotografia del XIX secolo di uno yamabushi completamente vestito ed equipaggiato, armato di lancia (naginata) e spada curva (tachi):
I monaci zen, inorgogliti per l’appoggio dello Shōgun, dichiararono il loro l’unico vero buddismo, l’unico che valesse la pena studiare e praticare, provocando la furia di un’altra scuola, quella “Tendai” (quella a cui apparteneva il monaco Ryōgen citato in precedenza, e anche nota come suola del Sutra del Loto), che invece perdeva sempre più d’influenza.
Da qui si susseguirono ovviamente una serie di scontri, che culminarono nella violenza quando i tradizionali Sōhei si allearono con una branca molto più aggressiva: si trattava di contadini legati a una setta chiamata “Jōdo Shinshū” che credeva nella venuta in terra di “Amida” ovvero il Buddha del nuovo tempo.
Questa coalizione creò quello che passò alla storia come “Ikkō Ikki” lett “rivolta dell’unica mente”. Era in sostanza un gruppo di monaci buddhisti, che noi oggi definiremmo fondamentalisti religiosi, che vedevano la morte in battaglia come un accesso diretto al paradiso.
Intanto, oltre alle lotte continue tra monaci di varie fazioni e scuole, il Giappone era percorso da altrettante guerre interne, i leader delle varie province si scontravano fra di loro per ottenere l’egemonia sul Giappone che andava in quegli anni via via unificandosi.
È un periodo di guerre chiamato appunto “periodo degli stati combattenti” o “Sengoku” (giap. 戦国時代), ed è proprio a questo punto che entrano nella storia i 3 grandi unificatori del Giappone:
Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu
Il primo, Nobunaga, vedendosi minacciato dalla potenza militare dei monaci guerrieri decise di affrontarli una volta per tutte.
Nel 1580 Nobunaga aveva finalmente sconfitto per sempre il gruppo fondamentalista degli Ikkō Ikki, mentre i rimanenti monaci guerrieri, anche se non più forti come all’inizio, resistettero ancora fino all’arrivo del governo Tokugawa.
Gli Sōhei sparirono portando con se tutta la violenza di cui erano intrisi, e il buddismo perse la sua maestosità e importanza, lasciando il posto allo scintoismo (religione già esistente ancora prima del buddismo) che poneva la famiglia imperiale al centro di tutto e innalzava la figura dell’imperatore al pari di una divinità.
Lo scintoismo venne utilizzato dai nazionalisti per far emergere lo spirito patriottico giapponese, che avrebbe portato il popolo ad immolarsi per la patria e alla lenta e tenebrosa discesa culminante nei sacrifici legati alla seconda guerra mondiale.
Purtroppo, non solo lo scintoismo con le sue ideologie nazionaliste, ma anche il buddismo Zen giocarono un ruolo importante nel periodo pre- e post-conflitto mondiale, come testimonia il libro intitolato “Zen at war” di Brian Daizen Victoria del 1997.
Ma questa è un’altra storia.