Oggi riposa il suo sonno secolare in San Salvatore di Ognissanti, nella chiesa di Firenze in cui sono sepolti gli esponenti più illustri della sua famiglia. Ma ci fu un tempo in cui la prodigiosa bellezza ne fece la musa ispiratrice dei maggiori artisti della cerchia di Lorenzo il Magnifico, da Piero di Cosimo, al Verrocchio, al Ghirlandaio, a Filippo Lippi, a colui che del Rinascimento fu tra i sommi interpreti, Sandro Filipepi, detto il Botticelli.
Fu suo il volto più celebre del Quattrocento, riprodotto innumerevoli volte sulle stampe o sulle cartoline che raffigurano i capolavori del Rinascimento, lei la donna definita dai contemporanei la “Venere vivente”, Simonetta Vespucci.
Simonetta nacque a Genova (o a Porto Venere) nel 1453, dal nobile casato dei Cattaneo, un casato illustre, ma in declino dopo la caduta di Costantinopoli, città cui esso aveva legato i propri commerci.
A soli 16 anni, grazie a Iacopo III Appiano, signore di Piombino, imparentato con la madre, la giovinetta sposò Marco Vespucci, proveniente da una stirpe di banchieri fiorentini cui apparteneva anche il navigatore Amerigo, al quale l’America deve il proprio nome.
Sebbene all’epoca il matrimonio tra gli esponenti delle classi abbienti non contemplasse l’importanza dei sentimenti e fosse essenzialmente un contratto idoneo a consolidare patrimoni e alleanze, per ragioni dinastiche o economiche, sembra che lo sposo fosse sinceramente innamorato di Simonetta. L’unione dei due giovani, in ogni caso, per l’importanza delle famiglie coinvolte, ebbe vasta risonanza e venne celebrata alla presenza del Doge di Genova e dell’aristocrazia locale.
Quando Simonetta e Marco Vespucci si trasferirono a Firenze, Lorenzo il Magnifico aveva appena assunto il potere de facto nella Repubblica fiorentina.
Sotto il suo governo illuminato e grazie all’abile uso del mecenatismo come strumento di propaganda politica, Firenze conobbe una straordinaria fioritura culturale.
Umanisti, quali il Poliziano, il Pulci e Pico della Mirandola, filosofi, quali Marsilio Ficino, pittori, quali il Botticelli e talenti, quali il giovane Michelangelo, tutti vicini ai Medici, divennero i protagonisti di una irripetibile stagione artistica che resta, per molti aspetti, ineguagliata.
Fu questo lo scenario in cui Simonetta fece il suo ingresso quando giunse per la prima volta in città.
In virtù degli ottimi rapporti che intercorrevano tra le loro famiglie, Lorenzo e suo fratello Giuliano accolsero gli sposi nel Palazzo Medici in via Larga (l’attuale via Cavour, a Firenze) ed organizzarono in loro onore una sontuosa festa nella villa di Careggi. Da quel momento in poi la coppia animò costantemente la vita di corte in un crescendo di feste sfarzose, di ricchi banchetti e di gioiosi passatempi.
Simonetta, nel frattempo, da acerba adolescente, si era trasformata in una splendida donna longilinea, dall’incarnato pallido e dai grandi occhi chiari che illuminavano il viso incorniciato dai capelli biondi, ondulati.
Tutti i giovani più in vista della Firenze dell’epoca erano conquistati dalla sua grazia, primo tra tutti il fratello minore di Lorenzo, l’affascinante Giuliano, divenuto nel frattempo, probabilmente, suo amante.
Giuliano, con una sfolgorante armatura d’argento tempestata di pietre preziose e l’elmo disegnato dal Verrocchio, vinse nel 1475, in Piazza Santa Croce, il torneo cavalleresco che suggellava l’accordo di pace stretto l’anno precedente da Lorenzo il Magnifico con le potenze italiane. Il palio per cui disputavano i contendenti era uno stendardo, forse eseguito dal Botticelli, e Simonetta, incoronata regina del torneo, vi figurava nelle vesti di Atena con i piedi poggiati su di un ramo di ulivo ardente, sul quale era posto un cartiglio con il motto francese “La Sans Par”, “l’incomparabile”, all’ulivo, invece, era incatenato un Cupido dall’arco spezzato. L’intera composizione rimandava al tema dell’amor cortese, per cui la donna amata era considerata sublime ed irraggiungibile.
Quello che passò alla Storia come il “Torneo di Giuliano” fu un avvenimento mondano di grande visibilità pubblica, celebrato con toni encomiastici dagli intellettuali dell’epoca.
Candida è ella, e candida la vesta / Ma pur di rose e fior dipinta e d’erba: / Lo inanellato crin dell’aurea testa / Scende in la fronte umilmente superba
Simonetta compare con questi versi nelle Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici di Angelo Poliziano.
Nell’opera, incompiuta per la morte del protagonista nella Congiura dei Pazzi del 1478, l’autore canta dell’amore del giovane Medici per la Vespucci. Ma se la vita di Giuliano si interruppe tragicamente, quella della donna amata non fu più fortunata. Simonetta, che sembrava destinata a una vita privilegiata ed immune da scossoni, fu portata infatti via a soli 23 anni, il 26 aprile del 1476, dalla tisi (o dalla peste, secondo altre fonti).
Lorenzo apprese delle condizioni dell’amica mentre soggiornava a Pisa e fu costantemente informato sul suo stato di salute tramite uno scambio epistolare con il suocero di lei, Piero. Addoloratissimo, si spinse a inviare persino il proprio medico personale ai Vespucci per un consulto. Fu il suo agente, Sforza Bettini, a comunicargli la notizia della morte della giovane, che ispirò al Magnifico i quattro sonetti ad apertura della sua opera, dal titolo Comento sopra i miei sonetti.
Nelle chiose ai sonetti, traendo spunto dalla descrizione di Beatrice nella Vita nova di Dante, egli immaginò di aver ricevuto lo stimolo alla composizione dell’opera una notte, dopo aver osservato una stella luminosissima, che altro non era se non l’anima della giovane genovese salita in cielo ad arricchire il firmamento.
Non meno commosso fu il tono con cui Bernardo Pulci rievocò il funerale a volto scoperto concesso alla Vespucci:
“Ma forse che ancor viva al mondo è quella/ poi che vista da noi fu, dopo il fine,/ in sul feretro ancor più bella”.
Un onore eccezionale per i tempi, riservato per legge solo ai cavalieri. La morte di Simonetta fu pianta anche da Girolamo Benivieni, da Naldo Naldi in due epigrammi e da Francesco Nursio Veronese in un carme.
Fu tuttavia la pittura, come si è anticipato, ad eternare più di ogni altra arte la Vespucci, malgrado con ogni probabilità ella non posò mai per un dipinto.
Per una dama del suo rango, infatti, posare sarebbe stato giudicato contrario al decoro ed alle convenzioni sociali
Solo nel Cinquecento divenne più comune per le donne altoborghesi farsi ritrarre da un artista.
Il Vasari nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori riferisce che nel guardaroba del duca Cosimo I erano conservati due ritratti, uno dei quali, ricorda “si dice che fu l’inamorata di Giuliano de’ Medici” eseguito dal Botticelli.
La giovane in questione era davvero Simonetta, oppure un’altra donna amata dal bel Giuliano?
Gli studiosi disputano inoltre ancora oggi sull’identificazione del ritratto citato dall’aretino: si trattava forse del Ritratto di dama dello Städel Museum di Francoforte, di quello della Gemäldegalerie di Berlino, oppure del Ritratto di giovane donna della Galleria Palatina?
Sotto, il ritratto allo Städel Museum di Francoforte:
Sotto, Ritratto di Giovane donna, Gemäldegalerie, Berlino, 1475-1480:
Ritratto di giovane donna 1475 circa conservato presso la Galleria Palatina di Firenze:
Sebbene una certa critica parli più di ricerca della bellezza idealizzata che di una musa in carne ed ossa, la maggioranza degli esperti riconosce in molti ritratti femminili del Botticelli un’innegabile similitudine, che avvalora l’ipotesi dell’esistenza di una modella ispiratrice.
Si ritiene pertanto tradizionalmente che la Vespucci sia stata effigiata nella Nascita di Venere – allegoria dell’Amore inteso come forza motrice della Natura – nelle vesti della dea Afrodite, nella Primavera, come la dea Flora, e come Venere nel dipinto Venere e Marte della National Gallery di Londra.
Sotto, Simonetta Vespucci come la Venere di Botticelli:
La Dea Flora nel dipinto “La Primavera”:
Venere nel dipinto “Venere e Marte”:
Dipingendo quasi ossessivamente Simonetta anche dopo morta, Botticelli ne fece un archetipo di bellezza dall’aria raffinata ed elegante, che sfida i secoli e che ancor oggi ci fa associare il suo volto ai canoni estetici del Rinascimento.
Se la bellezza, la purezza espressiva e l’equilibrio formale sono le cifre più immediatamente riconoscibili dell’arte botticelliana, bisogna tener presente che esse rappresentano pur sempre solo un primo livello di lettura dei suoi capolavori. Il secondo implica un complesso sistema di riferimenti allegorici, che rimandano all’idea neoplatonica della possibilità di elevarsi dalla materia alla contemplazione del divino tramite la bellezza e l’amore spirituale.
Un sofisticato simbolismo è anche presente nelle opere di Piero di Cosimo, che immaginò Simonetta nelle sembianze di una Cleopatra a seno scoperto colta un attimo prima del morso fatale nel dipinto, ora al Musée Condé nel Castello di Chantilly, eseguito nel 1480, anni dopo la sua scomparsa.
Un ritratto postumo dunque – l’autore, nell’anno della morte della giovane era appena un adolescente – come postumi sono forse il busto marmoreo della National Gallery of Art attribuito al Verrocchio e molte altre raffigurazioni, tra le quali il dipinto perduto “l’Educazione di Pan” di Luca Signorelli del 1490, che testimoniano l’insorgere di una sorta di culto di Simonetta nel mondo dell’arte negli ultimi decenni del Quattrocento.
Sotto, l’Educazione di Pan, dipinto distrutto durante il tragico incendio della Flakturm Friedrichshain del Maggio 1945 a Berlino:
Per molti aspetti il suo personaggio rimane un enigma: a nessuna donna del Rinascimento furono tributati tanti riconoscimenti dai contemporanei e, se si considera che visse solo sette anni a Firenze, questa venerazione appare ancor più eccezionale.
Forse la giovane genovese poté ispirare tanti artisti proprio perché fu strappata prematuramente alla vita, concedendo all’arte solo la promessa di una eterna bellezza, unita al rimpianto inconsolabile per la sua perdita.
Sottratta all’azione corrosiva del tempo, Simonetta sopravvive idealizzata, fissata per sempre nei capolavori del Botticelli con i suoi lineamenti gentili, in cui spiccano i grandi occhi velati di malinconia, emblema in pittura della donna angelicata vagheggiata dal Dolce Stil Novo.
Un’ultima curiosità: la chiesa di Ognissanti, in cui riposano le spoglie mortali di Simonetta Vespucci, accoglie anche i resti di Sandro Botticelli che, secondo la leggenda, chiese di essere sepolto ai piedi della sua musa. La realtà fu però molto meno romantica, perché sia i Vespucci sia i Filipepi avevano le tombe di famiglia nel medesimo luogo di culto, abitando entrambe nello stesso quartiere.
Sotto, la Cappella Vespucci nella Chiesa di Ognissanti, a Firenze. Fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia: