Shoyna: lo Sperduto Villaggio della Russia che viene Ciclicamente inghiottito dalla Sabbia

Chi vivrebbe in un luogo dove si rischia di rimanere sepolti vivi durante la notte? La risposta sembrerebbe essere scontata (nessuno), ma gli abitanti di un piccolo villaggio sperduto nel nord della Russia, Shoyna, rendono la questione molto meno logica…

La minuscola località, che si trova ai margini del circolo polare artico, viene considerata come il luogo “desertico” più a nord del mondo, perché assediato da dune di sabbie che si estendono per decine chilometri lungo la costa del Mar Bianco.

I 300 abitanti del villaggio sono in balia delle dune che avanzano verso le loro case, quando soffiano implacabili i venti marini. In una sola notte le abitazioni potrebbero essere inghiottite dalla sabbia, lasciando scoperto solo il tetto.

La popolazione, che per ovvi motivi è in forte calo, ha imparato a non chiudere le porte di casa durante la notte, perché le dune potrebbero bloccarle, lasciando gli abitanti imprigionati all’interno.

Togliere la sabbia che si accumula attorno alle case è un lavoro che impegna a tempo pieno il bulldozer del villaggio, e questa è una delle poche attività rimaste a Shoyna, paese sorto nel 1930, quando si stabilirono qui diverse famiglie di pescatori, attirate dall’abbondanza di pesce.

Nel 1950 il villaggio contava 1500 abitanti, e più di 70 pescherecci, organizzati in un’attività collettiva di pesca intensiva. Ma la pesca a strascico, praticata per alcuni decenni, ha decimato la fauna ittica, tanto da far cessare totalmente la pesca.

I trecento attuali residenti vivono oggi di sussidi di disoccupazione o di pensioni sociali. Le imbarcazioni che una volta erano la fonte di ricchezza del paese giacciono semi-sepolte dalla sabbia e distrutte dal mare.

L’isolamento di Shoyna è pressoché totale: non esistono strade o ferrovie che la colleghino a qualunque altra località; al villaggio si arriva solo via mare, o con un aereo che deve atterrare in una pista sterrata lunga 650 metri.

L’architetto norvegese Jan Gunnar Skjeldsøy, che sta studiando Shoyna alla ricerca di un’architettura possibile in luoghi estremi dominati dalla sabbia e da forti venti, lancia un allarme anche sulla fragilità della natura artica. Nel suo progetto Shoyna Dissected- Chests of Sand, Skjeldsøy dà una buona spiegazione del perché queste dune di sabbia abbiano iniziato a seppellire il villaggio nel 1990:

“Una marea stava arrivando a terra, ma questa volta non era acqua. Era sabbia. E se si vuole indulgere in un senso del dramma, era una sabbia di vendetta. Anni di disallineamento tra le pratiche di pesca locali e l’ecosistema marino avevano raschiato il fondo del mare, ripulito dalle forme di vita marine e dei loro sistemi complessi di pesi e contrappesi, che mantenevano in equilibrio queste steppe sabbiose sommerse, attraverso eterni cicli stagionali. Ora il fondo dell’oceano ha cominciato a venire a riva. Ha iniziato ad accumularsi contro le case. Shoyna ha iniziato ad affondare.”

Shoyna sembra un posto veramente invivibile, e vien fatto di chiedersi perché ancora 300 persone rimangano lì. A detta dei giornalisti che l’hanno visitato, gli abitanti sono molto ospitali, e fieri del loro villaggio “fuori-rotta” autosufficiente. Non ci sono ristoranti né hotel, ma chi arriva a Shoyna viene sempre invitato dai residenti a mangiare nelle proprie case, e a dormire in uno dei tanti edifici vuoti.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.