Medioevo e sessualità, intesa come atto di piacere carnale, non viaggiano in parallelo… O, almeno, non nell’immaginario comune. Si è soliti pensare che fu la rivoluzione sessuale del ’68 a liberare il sesso dai tabù e se questo è in parte vero, prima dell’età moderna e contemporanea c’era il Medioevo. Quando si parla della sfera sentimentale di questo lungo capitolo di storia il primo argomento che viene in mente è il tanto decantato amor cortese, capace di nobilitare l’animo di ogni uomo. Ne La vita nuova, ad esempio, Dante descrive così il suo primo incontro con Beatrice.
Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito della vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: “Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi”.
Ecco un dio più forte di me, che al suo arrivo mi dominerà
Dante e Beatrice – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Dei canoni dell’amor cortese c’è tutto: il culto della donna, ovvero un essere superiore, l’inferiorità dell’uomo, che si palesa con quel “al suo arrivo mi dominerà”, e tanto altro ancora. Per chi conosce la storia di Dante sa bene come la vicenda si evolve e come va a finire, ma il punto è questo: l’amor cortese, quello cantato dai trovatori e dagli stilnovisti, non è che un amore letterario, tra l’altro, adultero. Il vero amore medievale prevedeva il piacere della carne come componente essenziale della vita di tutti, sia uomini sia donne.
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È vero, parliamo di tempi in cui la Chiesa accettava l’atto sessuale al fine riproduttivo, ma se credete che il Medioevo sia stata un’epoca pudica, vi sbagliate. La vera repressione iniziò a cavallo fra la fine del Basso Medioevo e l’età moderna. Fu allora che le istituzioni passarono dalle parole ai fatti… quelli veri. Prima, c’era chi diceva cosa non andava fatto e perché, esistevano delle penitenze, ma nient’altro. Uomini e donne medievali facevano di testa loro e nessuno li puniva in modo esemplare. Il perché di questa libertà sta alla base. Chi doveva contenere i fedeli erano i membri del clero, che, a loro volta, si producevano in atti carnali. I monaci erano gli unici a far voto di castità; tutti gli altri potevano sposarsi e avere figli o, addirittura, concubine. La Chiesa Cattolica impose il celibato solo nel 1139, con il Consiglio Laterano II, ma la situazione rimase libertaria per molto tempo. Vescovi, canonici e preti, in teoria, non poterono più sposarsi; nei fatti, convivevano con le loro amanti, talvolta chiamate “le pretesse”.
Come si suol dire, chi predica bene, poi razzola male.
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Di conseguenza, se il sesso era un tabù solo a parole, tutti ne parlavano liberamente e lo praticavano senza troppi dilemmi morali, e anche l’arte rispecchiava questa particolare situazione. Basti pensare che il bestseller medievale fu il Roman de la Rose, un poema allegorico incentrato su di un io narrante che vuole conquistare la donna che ama. Per conquistare, però, si intende un amore anche carnale e, infatti, la rosa in questione è una metafora dell’organo sessuale femminile, e l’opera si conclude con il protagonista che riesce a consumare il tanto agognato atto d’amore.
Manoscritto del Roman de la Rose – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Un altro caso molto interessante è l’Albero della Fecondità, un affresco dal carattere esplicito che è stato rinvenuto nel 1999 nella piazza di Massa Marittima. Fu realizzato fra il 1265 e 1335 e rappresenta un grande albero con organi genitali maschili che penzolano dai rami. Sotto vi sono delle donne e, in particolare, due di loro si contendono uno dei falli caduti. Senza addentrarci nelle possibili spiegazioni allegoriche, soffermiamoci su questa domanda: com’è possibile che nel Medioevo esistesse un affresco esposto in una piazza pubblica che raffigurava l’organo genitale maschile in modo tanto esplicito? La risposta è semplice, anche se va un po’ contro lo stereotipo che abbiamo del medioevo:
Il sesso non rappresentava minimamente un tabù
L’Albero della Fecondità – Immagine di Lamanaus condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia
Spostandoci adesso di argomento ragioniamo su omosessualità e adulterio, due forme di amore che, anche in tempi recentissimi, costituivano un problema prima di tutto morale e poi anche legale, per chi li praticava. Anche qui vale lo stesso ragionamento. Se esistevano opere che ne parlavano vuol dire che il Medioevo non è come ce lo immaginiamo. Prendiamo in considerazione la decima novella del quinto giorno del Decameron, alcuni di voi l’avranno già sentita nominare dal professor Alessandro Barbero in una delle sue conferenze, la citiamo anche qui perché davvero significativa.
Boccaccio narra della storia di un tale Pietro di Vinciolo, un ricco omosessuale di Perugia che, per mettere a tacere le voci sulla sua omosessualità decide di sposare una giovane “di pelo rosso e accesa, la quale due mariti più tosto che uno avrebbe voluti”. La prima cosa che salta all’occhio è la descrizione di una donna a cui piace il sesso, ma siamo solo all’inizio. Dopo il matrimonio, Pietro continua con le sue avventure omosessuali e trascura le esigenze della moglie, che, di conseguenza, si prende un amante, un giovane di bell’aspetto. Una sera che Pietro è a cena fuori, lo invita a casa e gli prepara da mangiare, ma il marito rincasa in anticipo e li scopre. Il prosieguo rasenta il tragicomico.
I novellatori del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Pietro nota che l’amante di sua moglie è un ragazzo che lui stesso aveva adocchiato, e intuisce il potenziale di quella situazione ambigua. La donna lo rimprovera delle sue mancanze verso i doveri coniugali- “Io son femina come l’altre, e ho voglia di quel che l’altre”- ma Pietro ha ben capito come accontentare tutti: invoca la calma e i tre personaggi si accomodano a tavola per cenare. In conclusione, Boccaccio racconta che il giorno seguente la coppia riaccompagnò il giovane in piazza: “non assai certo qual più stato si fosse la notte, o moglie o marito” (se quella notte avesse fatto più da moglie o da marito).
Omosessualità, adulterio e, forse, un ménage a trois; in questo passo del Decameron c’è tutto, ma non era qualcosa di impensabile per gli uomini dell’epoca. Intendiamoci, non doveva essere la normalità, ma questo tipo di “pratiche” se possono essere considerate comuni oggi all’epoca non erano certo fantascienza.
Giovanni Boccaccio – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Allo stesso modo, vi erano i fabliaux, racconti in versi incentrati su storie piccanti. Si trattava di un genere letterario molto popolare, creato ad hoc per far divertire il pubblico, e i protagonisti erano quasi sempre i membri del clero, considerati degli antichi casanova.
Un esempio di fabliaux – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Ricapitolando, attraverso la tradizione artistica sappiamo che nel Medioevo la Chiesa condannò il sesso all’infuori della procreazione, ma solo a parole; nei fatti, ognuno faceva di testa propria e se ne scriveva e parlava senza problemi. Ma adesso passiamo dalla teoria alla pratica:
Come si divertivano sotto le lenzuola i nostri antenati?
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Per loro esisteva il sesso prematrimoniale? L’usanza di consumare prima delle nozze era molto comune e la verginità non era un obbligo, ma un di più. Sposare una donna illibata equivaleva ad avere la certezza che non fosse incinta di un altro e che la progenie non sarebbe stata illegittima. Il problema, però, sorgeva in caso di gravidanze inaspettate, a cui, di solito, seguivano matrimoni riparatori. Per risolvere il problema alla radice, invece, si adottavano rudimentali, e inefficaci, metodi contraccettivi come erbe, unguenti e riti molto discutibili.
E invece che dire delle sveltine? Il sesso serviva per la procreazione, e alla Chiesa poco importava della durata delle prestazioni: l’essenziale era il concepimento, e come vedremo fra poco proprio le sveltine erano ben adatte al tipo di sesso che si concepiva all’epoca.
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Quando due amanti si univano erano spesso il più vestiti possibili e in posizioni poco fantasiose. Di quest’ultimo aspetto ce ne dà notizia il vescovo Alberto Magno di Bollstädt, poi canonizzato dalla chiesa cattolica, che parte, appunto, dal presupposto del sesso come sinonimo di procreazione, ma esprime due considerazioni. La prima è sempre la stessa: l’importante era concepire. La seconda, però, si sposta su degli eventuali problemi logistici. Non tutti potevano cimentarsi nella classica e cristianissima posizione del missionario, e l’esempio del vescovo è di due sposi in sovrappeso che, per forza di cose, dovevano giacere in qualche altro modo. Dopo il missionario, scrive, “la deviazione meno grave è quella laterale, poi la posizione da seduti, poi in piedi, poi la più grave è da dietro, come i cavalli. Alcuni sostengono che questa è un peccato mortale, ma io non sono d’accordo”. A riprova di quanta poca pressione esercitasse la Chiesa, il vescovo parla di gravità, non di divieti, e addirittura si pone in disaccordo sull’ultimo caso. Tuttavia, in linea di massima c’era una posizione malvista da tutti, la cosiddetta “cavalcata del Diavolo”, ossia con la donna sopra l’uomo.
Alberto Magno – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Partendo dal presupposto che l’accoppiamento era considerato scevro dal piacere carnale, la Chiesa cercò di limitarne la pratica con alcuni divieti. Non si poteva giacere con il proprio partner la domenica, il venerdì e il sabato, ovvero il giorno del signore e quelli di confessione e di preparazione alla liturgia. Lo stesso valeva per il Natale, la Pasqua e tutte le altre feste. Erano poi consigliati ben tre periodi di astinenza: durante la Quaresima, prima della natività e intorno alla Pentecoste. Se le persone avessero seguito questi dettami, avrebbero avuto a disposizione circa 185 giorni per divertirsi a letto, senza considerare che le donne erano quasi sempre incinte oppure, come natura vuole, in periodo mestruale.
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Gli uomini spesso non consideravano sufficiente tale finestra di tempo nell’arco dell’anno, e sopperivano ai dinieghi coniugali imposti dalla chiesa andando nelle case di piacere. Nel Medioevo erano considerate un male minore da tollerare.
La prostituzione nel Medioevo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
I bordelli erano un fenomeno molto diffuso e, addirittura, regolamentato. Ad esempio, le ragazze che vi lavoravano avevano diritto a lenzuola sempre pulite, almeno due pasti al giorno e bagni per curare la propria igiene. Erano aperti tutto l’anno, a eccezione del Venerdì Santo, e una buona fetta di habitué erano proprio i membri del clero. All’esterno apparivano come dei semplici bagni pubblici, dove i clienti incontravano le prostitute in delle grandi tinozze di legno piene di acqua calda e, per consumare il rapporto, si spostavano su dei letti nascosti dalle tende.
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Giunti a questo punto non si può parlare che di adulterio. L’uomo poteva tranquillamente tradire la moglie, ma solo con donne celibi. Al contrario, la donna non poteva in alcun modo essere infedele al marito. In caso di corna si procedeva in due modi: se l’uomo coglieva la sposa in flagrante poteva ucciderla, altrimenti era previsto il taglio del naso. Questa era la norma, ma è bene specificare che si trattava di consuetudini che non si concretizzavano quasi mai. Uccidere o mutilare una moglie fedifraga equivaleva a rendere il tradimento di pubblico dominio; quindi quasi tutti lasciavano stare.
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Riguardo il sesso però non si esprimevano solo preti e vescovi, ma anche i medici. I dottori in linea di massima raccomandavano non più di due prestazioni a settimana e sconsigliavano il sesso da ubriachi, dopo aver mangiato troppo o a stomaco vuoto. Il momento migliore era dopo i pasti, a cibo quasi digerito. Allo stesso modo, anche l’eccessiva astinenza era da evitare e, alla base di ciò, vi era una particolare concezione dell’uomo e della donna. Il primo era considerato un essere umano caldo e secco; la seconda, fredda e umida. Il rapporto sessuale andava a bilanciare queste due condizioni, ma con l’astinenza c’era il pericolo che l’uomo diventasse troppo caldo e la donna non riuscisse a raffreddarlo abbastanza; il che comportava danni alla salute.
L’orgasmo femminile, poi, godeva di una teoria molto fantasiosa. Non solo era tollerato, ma ben accetto, perché c’era una corrente di pensiero medica convinta che il concepimento avvenisse attraverso l’emissione di sperma di entrambi i sessi. Quindi, se da un lato serviva l’eiaculazione maschile, dall’altro era necessaria anche quella femminile e, di conseguenza, l’orgasmo della donna. Con questa premessa, la masturbazione delle donne era molto più tollerata rispetto a quella maschile e serviva a placare il desiderio fallico.
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A proposito di masturbazione è interessante vedere cosa pensasse Sant’Alberto Magno: “Certe ragazze di quattordici anni non trovano soddisfazione e se non hanno un compagno, immaginano il coito o il membro virile e fanno delle cose con le dita o altri strumenti”.
Allo stesso modo, l’abate Oddone di Cluny, vissuto prima dell’anno mille, scrisse rivolgendosi a una a caso di loro: “Ti sei forse comportata anche tu come alcune donne che si fanno oggetti e altri marchingegni a mo’ di membro virile? Li hai adattati alle tue o altrui intimità per provare piacere con altre donnacce o esserne da queste posseduta?”.
Il testo è abbastanza esplicito. In prima istanza la fabbricazione e l’utilizzo del dildo risale alla preistoria e ne abbiamo notizie anche in Grecia. Aristofane li indicò come oggetti in cuoio o in legno creati dagli artigiani. In seconda istanza, c’erano donne dedite al lesbismo, che, appunto, si cimentavano nell’uso congiunto di un dildo.
Una donna con un dildo su di un’anfora del 490 a. C. circa – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia
Inutile dire che tali pratiche erano considerate oscene, ma l’omosessualità maschile era tutto un altro paio di maniche. Ovviamente, era condannata e osteggiata, ma prima del XII secolo vi era una certa tolleranza e si veniva puniti solo se colti in flagrante.
E ora, facciamo un passo indietro e riprendiamo la figura di Oddone di Cluny, vissuto fra la fine dell’800 e l’inizio del 900, quindi in pieno Alto Medioevo, e che fu un grande riformatore francese, tanto da esser preso a modello del monachesimo dal X secolo e nei secoli a venire. Grazie ai suoi scritti abbiamo un compendio delle abitudini sessuali più peccaminose di uomini e donne. Il sesso orale e anale erano peccati di sodomia, ma le perversioni medievali si spingevano ben oltre. Una premessa però è d’obbligo:
Se Oddone scriveva di queste cose probabilmente alcuni le facevano. Tutti? Certamente no, ma alcuni senza dubbio
Oddone di Cluny – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Degli uomini scrive: “Hai avuto rapporti sessuali durante le mestruazioni? Hai avuto rapporti con tua sorella o tua zia? Hai forse avuto rapporti omosessuali?”.
Fin qui nulla di troppo scabroso, ma Oddone continua.
“Hai avuto rapporti contro natura, unendoti a un maschio o addirittura con animali, quali cavalle, giovenche o asine?”.
Forse la zoofilia era abbastanza diffusa, ma non solo fra gli uomini.
L’abate passa poi al gentil sesso: “Anche tu ti sei comportata come quelle donne che, stese sotto un animale, si servono di qualsiasi tecnica per avere con lo stesso un rapporto sessuale?”.
Se da una parte c’era la zoofilia attiva, dall’altra c’era anche quella passiva. Ma il discorso sugli animali va avanti e s’intreccia con il capitolo dei filtri d’amore.
“Hai fatto quello che alcune donne hanno l’abitudine di fare, e cioè: prendono un pesce vivo e se lo introducono nel sesso fino a che esso non muoia, per poi cuocerlo e darlo da mangiare ai mariti?”.
E ancora: “Hai bevuto del sangue o del seme di tuo marito, affinché lui ti ami di più?”.
Ciò di cui scrive Oddone sono probabilmente peccati da lui appresi durante le confessioni, ma le punizioni “severe”, quelle della chiesa dell’età moderna e contemporanea, per intenderci, erano ancora lontane, e l’espiazione passava per penitenze di poco conto. Per quanto la Chiesa provasse a limitare il sesso all’infuori della procreazione, vigeva la trasgressione; quindi, se ognuno faceva come voleva, almeno, tanto valeva dirgli come redimersi. E infatti, i libri penitenziali erano molto diffusi e fra le loro pagine i fedeli potevano leggere le penitenze associate ai vari peccati.
Un esempio di libro penitenziale – Immagine di ThêtaBlackhole condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia
Ad esempio, nell’XI secolo, il vescovo Burcardo di Worms, autore dei 20 volumi delle Regulæ Ecclesiasticaæ, anch’egli canonizzato, scriveva: “Con la tua sposa o con un’altra ti sei accoppiato da dietro, come fanno i cani? Devi fare penitenza per dieci giorni a pane e acqua. […] Hai peccato con lei in giorno di Quaresima? Devi fare penitenza quaranta giorni con pane e acqua o dare 26 soldi di elemosina; ma se ti è capitato quando eri ubriaco, farai penitenza per solo venti giorni”.
Burcardo di Worms – Immagine di Heidas condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia
Per alcuni evidentemente il gioco valeva la candela, e le persone continuavano a cedere alle tentazioni. Il Medioevo straripava di sesso sotto ogni aspetto e sul piano lessicale non c’erano limiti. Sia nella letteratura sia nella lingua parlata vigeva la libertà d’espressione e gli organi genitali venivano apostrofati anche con termini volgari. Una piccola parentesi apparteneva solo alle donne, alle quali era sconsigliato adottare un determinato linguaggio, ma più per una questione di classe. Un altro aspetto interessante era la frutta, che spesso si prestava a doppi sensi. Ciliegie e mele rosse, se regalate da un uomo, erano un simbolo d’amore, come oggi lo è un mazzo di rose; invece, i fichi e le pere erano associati al desiderio sessuale per via della loro vaga somiglianza agli organi riproduttivi femminili.
E il luogo preferito per consumare un rapporto? Le case medievali erano molto affollate e scomode. Al contrario, le chiese erano deserte per gran parte della giornata e pare che si prestassero al sacro e al profano.
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A partire dal Basso Medioevo e molto di più in età moderna, però, qualcosa cambiò e la Chiesa iniziò a far rispettare un certo rigore morale. I costumi si irrigidirono e cominciarono quelle che divennero dei dettami a cui un fedele doveva prestarsi scrupolosamente, senza eccezioni.
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Giunti alla fine di questa lunga disamina possiamo dire i cittadini del medioevo vivevano, scrivevano e parlavano della sessualità senza alcun timore. Non c’era nessuna feroce repressione su larga scala, anche l’omosessualità era accettata senza prestarvi particolare attenzione. Le persone trasgredivano e si godevano il piacere della carne. Con buona pace, e partecipazione, del clero.
Laureato in Lettere Moderne all’Università degli studi di Salerno. Sono uno scrittore e un grande appassionato di letteratura, cinema e storia. Ho pubblicato un romanzo di narrativa, “Lo scrittore solitario”, e un saggio, “Woody Allen: un sadico commediografo”, entrambi acquistabili su Amazon. Gestisco la pagina Instagram @lo_scrittore_solitario_ dove pubblico post, curiosità su film e libri e ogni giorno carico un quiz sulla letteratura.