E’ una storia drammatica quella raccontata nel film sudcoreano Parasite, che nel 2019 si è aggiudicato la Palma d’oro al Festival di Cannes, e quest’anno ha vinto ben quattro premi Oscar, tra i quali anche quello al miglior film. Nella lunga storia della Academy Awards non era mai accaduto che il prestigioso premio fosse assegnato a un film non in lingua inglese.
In Parasite si intrecciano le storie di due famiglie, una facoltosa – i Park – e una in seria difficoltà finanziaria. Poi c’è la governante di casa Park, e suo marito, ricercato per debiti, che vive nel seminterrato della villa, ovviamente all’insaputa dei proprietari. In un concatenarsi di eventi grotteschi si arriva ad un finale tragico.
Il regista, a sinistra, e il cast di Parasite
Immagine condivisa via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Un avvenimento simile, per fortuna senza risvolti tragici, seppure inserito in un contesto drammatico di miseria e solitudine, è avvenuto in una tranquilla cittadina del sud del Giappone, Kasuya, che conta all’incirca 50.000 abitanti. Tranquilla, e apparentemente senza uno dei problemi che assillano città più grandi, quello dei senzatetto.
Invece, nel 2008 salta fuori una realtà sconosciuta ai cittadini di Kasuya e all’amministrazione locale.
A un uomo di 57 anni, che vive da solo, sparisce continuamente qualcosa dal frigorifero. Pensa di tutto il malcapitato: di essere sonnambulo, oppure che ci siano presenze inquietanti che, chissà perché, amano la sua cucina. Alla fine però si convince che i furti siano dovuti all’opera di un ladro in carne e ossa. Ladro che tuttavia non ha mai lasciato tracce, e non è mai stato notato da nessuno.
L’uomo, la cui identità non è nota, decide così di installare delle telecamere nascoste all’interno dell’abitazione, che trasmettono la registrazione al suo telefono cellulare mentre lui è al lavoro. Ed è così che riesce a vedere una figura mentre prende qualcosa dal suo frigorifero, mangia, guarda la televisione e poi pulisce, lasciando tutto in ordine.
La figura di questo ladro di cibo non poteva essere più sconcertante: una donna di mezza età, vestita con abiti “da casa”. La polizia, avvertita dal padrone di casa, quando arriva trova inaspettatamente le finestre serrate e la porta d’ingresso chiusa a chiave, così inizia a cercare all’interno della casa, e finalmente si svela il mistero.
La signora Tatsuko Horikawa, di 58 anni, si era “stabilita” nella parte superiore di un armadio a muro, in una stanza usata raramente. Ed è lì che la trova la polizia e l’ispettore capo, Hiroki Itakura, quando apre la porta, “nervosamente rannicchiata su un fianco”.
La donna, che ha steso un sottile materasso, il classico futon giapponese, ha abbastanza spazio per sdraiarsi. Alle forze dell’ordine confessa di non essere in grado di pagare un affitto, né tantomeno di comprarsi una casa. Nel corso dell’anno precedente aveva cambiato diverse “residenze” nascoste, fino che non si era stabilita in quella che sembrava la più sicura, ormai da molti mesi.
La signora non ha rivelato come abbia fatto a intrufolarsi nella casa, anche se forse ha approfittato di un momento in cui il proprietario aveva lasciato la porta aperta, né come sia riuscita a nascondere la sua presenza per tanto tempo. Quel che è certo è che il padrone di casa non avrebbe potuto individuarla tramite l’odore: la sua ospite si faceva spesso la doccia e poi lasciava tutto “pulito e ordinato”, né mai si era mai appropriata di qualcosa se non del cibo. Tutto sommato una presenza discreta…
La storia, tanto incredibile da sembrare inventata, è vera (non tutte quelle di questo tipo lo sono) e documentata dal Telegraph.