La tragedia della tratta degli schiavi africani è una ferita aperta in molte comunità del mondo, che ancor oggi patiscono le conseguenze del commercio di esseri umani dal centro e dalla parte meridionale dell’Africa che si svolgeva fra il XVI e il XIX secolo. Quello di cui spesso non si parla è la tratta di schiavi bianchi, che era frequente nello stesso periodo in tutto il Mar Mediterraneo.
Le stime storiche quantificano in circa 1 milione e 250 mila persone tradotte in schiavitù dai corsari barbareschi, ovvero marinai musulmani (originari della zona che va dall’attuale Libia al Marocco) che predavano città costiere europee fra il XV e il XIX secolo, oltre che naturalmente imbarcazioni che affrontavano le rotte interne del Mediterraneo.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Una schiava bianca in un mercato Barbaresco:
La schiavitù è una pratica comune dell’uomo sin dall’alba dei tempi, e se ne trova traccia persino nel codice di Hammurabi in Babilonia nel XVIII secolo a.C. Da quando l’uomo si è organizzato in società gli schiavi hanno costituito una parte importante della forza lavoro di moltissimi popoli, a partire dai babilonesi sino ai Greci o ai Romani, ma in tempi più recenti l’attenzione mediatica si è spostata principalmente sugli schiavi neri che costituivano l’ossatura della manodopera gratuita degli Stati Uniti fra il XVII e il XIX secolo circa (anche se in realtà esistevano anche schiavi bianchi, in percentuali enormemente minori), probabilmente a causa degli strascichi che ancor oggi caratterizzano la cultura statunitense e le lacerazioni con derive razziste della società americana. Oltre ai motivi sociali, i numeri della schiavitù d’oltreoceano sono impressionanti:
Circa 12 milioni di persone furono deportate nel nuovo mondo per finire a morire di lavoro nelle piantagioni dei coloni latifondisti
Ad ogni modo, poca attenzione si è data, a livello di ricerca storica, alla tratta di esseri umani che caratterizzava il Mediterraneo nello stesso periodo, quando i pirati barbareschi rapivano persone di navi e villaggi costieri cristiani per tradurli in schiavitù nelle lontane terre della costa nordafricana ovvero Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Chi viaggiava nel Mar Mediterraneo in età Moderna e fino all’inizio dell’epoca Contemporanea rischiava di finire fra le grinfie dei pirati, che non si accontentavano di assaltare le navi ma riuscivano a spingersi anche sulla terraferma, a volte rapendo le popolazioni di interi villaggi.
Una nave francese attaccata da due navi barbaresche:
Le nazioni oggetto delle razzie erano quelle del bacino Mediterraneo di fede cristiano cattolica, quindi Italia, Francia, Spagna e Portogallo, ma non solo, i Corsari Barbareschi si spingevano anche in Inghilterra e in Irlanda, oltre che nei Paesi Bassi.
Una ragazza cristiana proposta in un harem:
Fra i tanti episodi fuori del nostro mare è significativo quello di Baltimora, in Irlanda, dove il 20 Giugno del 1631 la maggioranza degli abitanti del villaggio furono rapiti da 200 corsari armati di moschetti, sbarre di ferro e bastoni infuocati. I criminali arrivarono via mare, si appostarono fuori dalle porte degli abitanti e attaccarono le abitazioni della zona chiamata Cove, simultaneamente. Uomini, donne e bambini, 107 persone in tutto, furono trascinati sulle navi e iniziarono il loro lungo viaggio verso Algeri. Alcuni prigionieri finirono la propria vita remando come galeotti sulle navi ottomane, non mettendo mai più piede a terra, mentre molte donne trascorsero la propria esistenza come schiave sessuali negli harem. Altri schiavi ancora finirono a fare i semplici braccianti, ma tre dei rapiti riuscirono a tornare in Irlanda. Uno di loro fu riscattato quasi subito, mentre altri due nel 1646. All’indomani del raid i restanti abitanti del villaggio si trasferirono a Skibbereen, e Baltimora rimase praticamente deserta per lunghissimo tempo.
In Italia sono famosi tanti altri episodi, molto più gravi del sacco di Baltimora. Nel 1544 4.000 abitanti di Ischia finirono preda dei corsari, mentre a Lipari, sempre nello stesso anno, 9.000 persone furono rapite e deportate, lasciando praticamente deserta l’isola. Qualche anno dopo, nel 1554, a Vieste i corsari riuscirono a rapire ben 7.000 persone.
L’ascesa dei Corsari Barbareschi
Durante il Medioevo erano i pirati cristiani, provenienti dalla Catalogna o dalla Sicilia, che dominavano i mari, ma l’espansione dell’Impero Ottomano consentì di armare numerose navi di grande qualità, non usando i vascelli soltanto per traffici leciti. Fra i corsari barbareschi si trovavano anche numerosi europei, fra cui lo stesso comandante della spedizione del sacco di Baltimora, tale Jan Janszoon van Haarlem, olandese, che era diventato musulmano e si faceva chiamare Murad Reis il Giovane. Questi europei avevano insegnato agli ottomani alcune tecniche di navigazione più avanzate, tecnologie di cui i pirati si avvalevano per razziare tutto il bacino mediterraneo.
Attenzione però: non bisogna pensare ai corsari barbareschi come dei moderni attivisti della jihad, anzi. I pirati non avevano alcuna preferenza nel rapire e razziare popoli di religioni, culture e colore della pelle diversi dai bianchi. Gli schiavi dei barbareschi potevano essere neri o bianchi, cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e, in casi più rari, anche musulmani. L’importante era solo il profitto.
Nello stesso periodo, e mi preme specificarlo, anche l’occidente cristiano traduceva in schiavitù moltissime persone che venivano catturate durante guerre e campagne di conquista, ma non effettuava delle scorrerie in territorio nemico con lo scopo di catturarne le popolazioni.
Vita da schiavo barbaresco
Gli schiavi catturati dai pirati barbareschi avevano nella maggioranza dei casi un futuro terribile. Molti morivano sulle navi durante il lungo viaggio di ritorno in Nord Africa a causa delle malattie o per la mancanza di cibo e acqua. Coloro che sopravvivevano venivano portati nei mercati degli schiavi dove sarebbero rimasti ore e ore sotto gli occhi e le mani di potenziali acquirenti, che li ispezionavano prima che finissero venduti all’asta.
Dopo l’acquisto gli schiavi venivano impiegati nei modi più disparati. Gli uomini erano solitamente assegnati a lavori manuali, come il lavoro nelle cave o nell’edilizia pesante, mentre le donne venivano sfruttate per i lavori domestici o finivano negli harem come schiave sessuali. Di notte gli schiavi venivano rinchiusi in prigioni dette bagnios, calde e sovraffollate, dove era facilissimo morire di malattia.
Ma il destino di gran lunga peggiore per uno schiavo barbaresco era quello di vedersi assegnato a una galea. I rematori venivano incatenati al loro posto e non gli veniva mai consentito di alzarsi per andarsene. Dovevano dormire, mangiare, defecare e urinare nel proprio sedile, sempre incatenati. I loro aguzzini non si facevano certo remore nello schioccare la frusta sulle schiene nude di qualsiasi schiavo considerato un lavativo, che era in tal modo obbligato a remare fino allo stremo. Fra le battaglie più significative cui presero parte i cristiani nelle galee ottomane si può ricordare certamente quella di Lepanto, dove decine di migliaia di schiavi cristiani muovevano le Galee Ottomane contro la Lega Santa della Cristianità, e di cui circa 15.000 alla fine della battaglia furono liberati, tornando a mettere piede a terra.
Per capire i numeri del fenomeno della schiavitù nell’Impero Ottomano voglio citare qualche dato: All’inizio del ‘500 gli schiavi fra Tunisi e Tripoli ammontavano a circa 22.000 persone, mentre ad Algeri, all’inizio del 1600, gli schiavi erano circa 50.000, che salivano a 120 mila se si considerano anche Tripoli, Tunisi e Fez.
Il destino degli schiavi poteva essere, in qualche rarissimo caso, meno terribile di quanto pronosticato. Uno schiavo poteva convertirsi all’Islam, non veniva liberato ma esentato dai lavori più logoranti, che potevano portarlo alla morte in poco tempo. Alla conversione c’era però un risvolto negativo: per il mondo cristiano lo schiavo convertito veniva considerato un traditore e non poteva più esser riscattato.
Si registrano poi casi di particolarissima fortuna per gli schiavi. E’ il caso di Giacomo Colombin, veneziano, che sapeva costruire le galeotte, i brigantini e le “Galere Grosse”, un’arte che nell’Impero Ottomano, ricco di risorse ma più arretrato in quanto a tecnologia rispetto al mondo cristiano, era importantissima per colmare il gap tecnologico con i “barbari” d’Occidente.
Colombin fu rapito nel 1602 e visse per 30 anni ad Algeri in una villa privata, rimanendo sempre formalmente uno schiavo, circondato dal lusso e dagli agi. Dopo 30 anni passati in Africa decise semplicemente di fuggire, tornando in Occidente con altri 22 schiavi cristiani grazie a una delle sue navi. Il suo caso, comunque, rimane l’eccezione che conferma la regola, e la vita per centinaia di migliaia di persone che venivano rapite dai Pirati Berberi fu un vero e proprio inferno.
La fine dei Corsari Barbareschi
L’attività dei corsari barbareschi iniziò a diminuire nell’ultima parte del XVII secolo, quando le più potenti marine europee iniziarono a costringere i pirati a cessare gli attacchi alle loro navi. Fu tuttavia solo nei primi anni del XIX secolo che gli Stati Uniti d’America e alcune nazioni europee iniziarono a combattere con più convinzione contro i pirati barbareschi.
All’inizio del XIX secolo Algeri fu frequentemente bombardata da francesi, spagnoli e statunitensi. Dopo una grande incursione anglo-olandese nel 1816 su Algeri, durante la quale fu distrutta l’intera flotta nel porto della città, i corsari furono costretti ad accettare termini che includevano la cessazione della schiavizzazione dei cristiani, sebbene il commercio di schiavi dei non europei fosse lasciato libero di continuare.
Continuarono a verificarsi incidenti occasionali, compresa un’incursione britannica su Algeri nel 1824, e infine si arrivò all’invasione francese di Algeri nel 1830, che la pose sotto il dominio coloniale francese da cui gli algerini si liberarono soltanto nel 1962. Anche Tunisi fu invasa dalla Francia nel 1881 e divenne una colonia francese, mentre Tripoli tornò sotto il controllo ottomano diretto nel 1835, prima di cadere vittima del colonialismo italiano nel 1911/12 circa. Ad ogni modo, la tratta degli schiavi cessò completamente quando i governi europei approvarono delle leggi che garantivano la liberazione degli schiavi.
Di quel periodo di schiavi europei ci rimangono molte opere d’arte e tante testimonianze scritte, ma fortunatamente non se ne conserva una memoria tanto vivida quanto quella della schiavitù coloniale statunitense, che continua, ancor oggi, ad essere presente nel linguaggio e nei comportamenti dei moderni americani.
Il Monumento dei Quattro mori a Livorno. Fotografia di Giovanni Dall’Orto condivisa con licenza CC BY-SA 2.5 via Wikipedia:
Oltre all’arte sono famose in tante città italiane le torri di avvistamento dei pirati “saraceni”, che vennero costruite allo scopo di scorgere le navi dei razziatori e nascondere la popolazione nelle zone interne dei villaggi costieri.