Si comincia a parlare del Salvator Mundi di Leonardo nel 2011, quando alla National Gallery di Londra viene allestita la mostra “Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan”. In questa occasione viene presentata per la prima volta la tavola 65,6×45,4 cm dipinta a olio e databile attorno al 1500.
Sebbene diversi studiosi ritengano il dipinto riconducibile alla mano del Maestro toscano, molti altri, come Frank Zöllner Michael Daley, Jacques Franck, Carlo Pedretti, Carmen Bambach, Charles Hope e Charles Robertson, restano fortemente scettici circa la sua attribuzione e sono più propensi a ritenerla un’opera di scuola leonardesca anziché un’opera di Leonardo.
Recentemente, inoltre, lo scienziato informatico Steven Frank e la storica dell’arte Andrea Frank hanno affermato che sulla base di evoluti algoritmi di riconoscimento e classificazione delle immagini, noti come “reti neurali convoluzionali”, il braccio e la mano benedicenti del dipinto sarebbero stati realizzati da una mano diversa da quella che ha realizzato invece il busto e la testa. Tale tesi sarebbe stata confermata dagli esperti del Louvre, i quali hanno evidenziato che il braccio e la mano sembrerebbero essere stati dipinti direttamente su sfondo nero in un secondo momento rispetto al resto dell’opera.
Nonostante le perplessità sulla sua vera paternità, nel 2017 la tavola viene venduta all’asta da Christie’s per la cifra di 450,3 milioni di dollari trasformandola di fatto nell’opera acquistata da un privato più costosa della storia. Il nuovo proprietario sarebbe Mohammed Bin Salman, principe ereditario saudita.
L’opera, in teoria, era destinata al Louvre di Abu Dhabi ma al Louvre, per motivi del tutto ignoti, non è mai arrivata e di fatto al momento se ne sono perse le tracce.
Recentemente ha suscitato molto scalpore il ritrovamento a Napoli, durante un’attività d’indagine da parte degli agenti della Squadra Mobile della Sezione Reati contro il Patrimonio, di una copia del Salvator Mundi di cui si è parlato in precedenza, in un appartamento di un trentaseienne ora accusato di ricettazione. L’autore dell’opera, che risulta ben conservata, non è certo Leonardo da Vinci; si pensa a Girolamo Alibrandi, un allievo di una bottega leonardesca. Giovan Antonio Muscettola, consigliere di Carlo V e suo ambasciatore presso la corte papale, acquistò probabilmente la copia durante una missione in veste di ambasciatore a Milano.
Prima della sua scomparsa, l’opera era custodita nella Cappella Muscettola del Museo DOMA presso la Basilica di San Domenico Maggiore. La risonanza data al suo ritrovamento è stata enorme se raffrontata con quella data invece al suo furto, passato completamente sotto silenzio.
Prima del ritrovamento di Napoli però, la mattina del 18 novembre 2020 leggiamo su tutti i giornali una notizia che si diffonderà rapidamente in tutto il mondo: una ricercatrice italiana è sicura di aver trovato il volto di Cristo, un Salvator Mundi disegnato a sanguigna, realizzato da Leonardo.
La sua affascinante storia inizia nel 2019, quando una coppia di Lecco contatta Annalisa Di Maria, un’esperta dell’International Committee Leonardo Da Vinci perché ha qualcosa da mostrarle e per la quale vorrebbe un suo parere.
Quando la studiosa si trova davanti quello che verrà chiamato il Ritratto di Lecco quasi non crede ai suoi occhi: la testa del Cristo, delicata e di grande bellezza già a una prima occhiata sembrerebbe essere riconducibile alla mano del Maestro che Annalisa studia da anni: Leonardo.
Prima di mostrare l’opera alla ricercatrice, i proprietari avevano già provveduto a far eseguire diversi studi di laboratorio. Un’approfondita analisi del supporto cartaceo e della filigrana ha permesso di collocare il disegno nel XV secolo, pertanto la datazione sarebbe compatibile con l’ipotesi che l’autore sia Leonardo da Vinci, che in quegli anni operava a Milano.
Si è passati allora a una seconda fase di analisi, quella stilistica basata sul metodo di attribuzione di un’opera ideato da Giovanni Morelli alla fine dell’800. Tale metodo si fonda su tre concetti: l’individuazione della mano dell’artista tramite la composizione anatomica dei soggetti raffigurati con quelli di altre opere dell’artista, le pose e gli atteggiamenti dei personaggi raffigurati e infine le “maniere abituali”, ossia le peculiarità e le abitudini iconografiche e stilistiche della composizione e/o di alcune componenti della stessa.
Seguendo questo metodo, la comparazione del Ritratto di Lecco con altre opere, e in particolar modo con l’autoritratto di Leonardo conservato a Torino, dà come risultato corrispondenze che non possono essere ignorate.
Innanzitutto la posa di tre quarti è elemento ricorrente nelle opere del Genio toscano, se poi si vanno ad analizzare alcune caratteristiche pittoriche si noterà nella forma dell’occhio del Cristo una straordinaria sovrapponibiltà con quella dell’autoritratto di Torino, l’iride e la ghiandola lacrimale sono pressoché identiche e poi un indizio, quasi una firma leonardiana: la pupilla dell’occhio sinistro è bianca in entrambi i ritratti così come anche nell’Uomo Vitruviano.
Se invece sovrapponiamo gli occhi del Cristo a quelli della Gioconda noteremo quanto siano sbalorditive le similitudini dello sfumato e della delicatezza compositiva dell’arcata sopraccigliare in entrambe le opere.
È stato notato che il tratto della sanguigna parte dall’angolo in alto a sinistra e va verso l’angolo in basso a destra, particolare che rivela la mano di un mancino. Anche se è ormai noto a tutti che Leonardo utilizzasse agevolmente entrambe le mani, sappiamo anche che la maggior parte delle sue opere furono realizzate con la mano sinistra.
Attraverso un lavoro di computer grafica eseguito dal fotografo Stefano Masciovecchio, la studiosa ha prodotto anche un’altra affascinante ipotesi: la forma del naso, la bocca, la distanza dagli occhi del volto rappresentato nel Ritratto di Lecco sarebbero sovrapponibili al volto della Sacra Sindone. Leonardo aveva dunque preso visione della reliquia sacra?
Comparativa con la Sacra Sindone:
Inoltre Di Maria ha scovato un elemento che potrebbe rivelarsi fondamentale: una nota bibliografica del 1783, “Storia delle Arti del Disegno presso gli Antichi” di Giovanni Winkelmann, riporta a pagina 311 del primo tomo che Annibale Carracci, per realizzare le sue teste del Cristo, prese a modello “una testa di maggiore bellezza del Salvatore realizzata da Leonardo da Vinci e conservata a Vienna nel Gabinetto di Sua Altezza Reale il Principe di Lichtenstein”.
Storia delle arti del disegno presso gli antichi:
Di questa “testa di maggiore bellezza” si sono perse le tracce, ma osservando le teste del Cristo realizzate dal Carracci possiamo trovare delle similitudini. Non potrebbe essere proprio il Ritratto di Lecco il modello di cui parlava Winkelmann? Secondo Annalisa Di Maria l’ipotesi è plausibile.
Il 14 gennaio 2021, grazie al CEO Dr. Marco Corti della Costamp Group SpA, si è tenuta una conferenza stampa in cui Annalisa Di Maria e Andrea Da Montefeltro hanno illustrato i risultati delle ricerche e delle analisi fin qui effettuate sul Ritratto di Lecco e che abbiamo parzialmente riportato nell’articolo. La conferenza ha calamitato su di sé la stampa e le ipotesi della studiosa italiana hanno attirato curiosità e sostegno da una parte del mondo accademico e critiche feroci dall’altra.
È pur vero che, di fronte a scoperte sensazionali in qualsivoglia campo di studi, la storia ci ha mostrato sempre uno sdegnato scetticismo da parte di molti esperti del settore, ma le teorie della giovane esperta affascinano e regalano la speranza di aggiungere nuovi sorprendenti tasselli al genio straordinario di Leonardo.