I grandi geni che l’umanità esprime in ogni campo lasciano sempre ai posteri grandi eredità in termini di opere o scoperte, ma affrontare le loro biografie significa quasi sempre imbattersi in una sequela di fantasiose leggende sul loro conto, che spesso è difficile distinguere dalla realtà.
Come nascono, queste leggende? Probabilmente, all’origine, ci sono frequentemente testimoni decisi a brillare di luce riflessa a tutti i costi, gente che non si è mai rassegnata all’idea di passare tutta la vita nella più grigia mediocrità e dunque, non avendo mai concluso nulla di minimamente memorabile, cerca di accreditarsi almeno come depositaria di chissà quali segreti di persone che invece passeranno alla Storia. Segreti in senso stretto, cioè ignoti a tutto il resto dell’umanità, anche perché generalmente inventati dalla fervida fantasia del testimone stesso.
A questo, occorre aggiungere che i biografi, soprattutto i primi biografi, di un personaggio celebre, non sempre sono così scrupolosi e obiettivi come l’importanza del loro compito richiederebbe. La morte di una celebrità, specie se tragica o prematura, scatena spesso un’onda emotiva collettiva che garantisce un duraturo interesse, in molti sensi, compreso quello commerciale. Già tre secoli fa, poteva accadere che un Daniel De Foe (l’autore di “Robinson Crusoe”) si mettesse d’accordo con un celebre bandito per un’operazione che perfino oggi appare incredibilmente spregiudicata: il bandito era già pronto per essere appeso alla forca ma, in precedenza, aveva dettato a De Foe le sue memorie, che lo scrittore aveva trascritto e ulteriormente arricchito di dettagli romanzati; De Foe lo raggiunse sul patibolo e si fece firmare da lui la copia appena stampata del libro (De Foe era anche editore di se stesso), davanti al folto pubblico di persone che assistevano all’esecuzione.
Il successo del volume fu, ovviamente, enorme
Sotto, Daniel De Foe:
Gli editori successivi l’hanno sempre pensata come De Foe e, davanti a un lutto capace di scuotere un vasto pubblico, hanno sempre seguito la regola per cui il morto, quando è famoso, è come il porco nella vecchia civiltà contadina: non si butta via niente. Anzi, se possibile, si aggiunge anche qualcosa, il più possibile, perché mica è un editore solo a interessarsi del personaggio, bensì diversi, che si contendono l’attenzione del pubblico a colpi di “rivelazioni” sempre più clamorose e quando possibile scandalose.
Dunque, per leggere una biografia credibile di un personaggio, occorre aspettare parecchio dalla sua scomparsa. Anche le biografie “ufficiali”, “autorizzate” dagli eredi non sono il massimo dell’attendibilità, perché gli eredi sono di fatto dei committenti, e il personaggio viene sempre presentato nella luce più favorevole a loro. Ci sono stati perfino casi in cui l’eredità era contesa tra più eredi, che si sono combattuti tra loro all’ultimo sangue, non solo in tribunale ma anche a colpi di biografie del morto, ovviamente sempre piuttosto parziali (un caso esemplare è quello della poetessa Emily Dickinson).
Nel caso dei geni assoluti, quelli inarrivabili, quelli che segnano un’epoca e a volte tutte le epoche, l’invenzione di leggende è particolarmente facile, perché si tratta di figure note praticamente a tutti, per cui si può parlare e scrivere di essi senza sapere nulla di loro, con la certezza che qualcuno, da qualche parte, prenderà sul serio qualunque invenzione. Per esempio, quasi tutti, almeno in Occidente, conoscono Albert Einstein: perciò, il numero di leggende che lo vedono protagonista e di frasi che non ha mai detto ma gli vengono comunque attribuite è enorme. Anche perché Einstein è passato alla Storia come un tipo piuttosto eccentrico e agli eccentrici è particolarmente facile attribuire tutto e il contrario di tutto.
Un altro eccentrico di genio, e di conseguenza oggetto di numerose leggende, è Wolfgang Amadeus Mozart, il grande musicista vissuto dal 1756 al 1791. Ogni tanto, qualcuna di queste leggende torna a fare capolino anche su quelle che abitualmente si considerano fonti attendibili, e puntualmente qualcuno ci crede.
Sotto, la famiglia Mozart, Maria Anna (“Nannerl”) Mozart, suo fratello Wolfgang, la madre Anna Maria (nel quadro) e il padre, Leopold Mozart. Dipinto di Johann Nepomuk della Croce:
Una leggenda famosissima su Mozart è quella per cui lui sarebbe stato il figlio meno dotato, dal talento inferiore a quello della sorella maggiore Nannerl, ma sarebbe stato spinto maggiormente dal padre, Leopold Mozart, anche lui celebre musicista (al punto che probabilmente oggi sarebbe ricordato anche se non fosse stato il padre di Wolfgang Amadeus), per una banale questione di discriminazione sessuale.
Questa invenzione, nella sua ingenuità così politically correct, fa quasi tenerezza. Innanzitutto per l’assoluta ignoranza in campo musicale che presuppone in chi dovrebbe crederci (si sta parlando di Mozart, non di Gigi D’Alessio; cioè di un genio assoluto come ne nascono uno ogni diversi secoli, non di un semplice musicista di successo) e poi perché la documentazione rimasta ci racconta che in realtà Nannerl continuò a esibirsi come musicista per tutta la vita (durata dal 1751 al 1829) e, addirittura, dopo essere rimasta vedova nel 1801, visse autonomamente dei suoi guadagni da insegnante di pianoforte. Si sa anche con certezza che il fratello la incoraggiò moltissimo a comporre, lodando le sue prime composizioni, ma questo non bastò a convincere Nannerl a intraprendere quella strada, perché non ci è arrivata nessuna sua opera, nemmeno quelle di cui Wolfgang parla in alcune sue lettere.
Mozart in un dipinto del 1777:
Un’altra leggenda è quella relativa alla miseria in cui sarebbe morto Mozart, notoriamente seppellito un una fossa comune dopo un funerale cui non parteciparono nemmeno gli amici e i parenti, tant’è vero che poi nessuno è più riuscito a ritrovare le sue ossa (per anni è stato in circolazione un “cranio di Mozart che, attraverso vicissitudini a dir poco avventurose, era giunto fino alla disponibilità di un collezionista, ed è stato studiato in mille modi per comprendere la causa della morte del compositore, fino a che non lo si è confrontato, tramite test del Dna, con quello del padre Leopold… ed è saltato fuori che i due crani appartengono a due perfetti estranei).
In effetti, Mozart, il primo musicista (e uno dei primi artisti in generale) che provò a vivere dei soli proventi del suo lavoro, senza farsi mantenere da nessun mecenate, nel corso della sua breve ma luminosa carriera passò per diversi periodi in cui guadagnò poco e dovette affrontare non poche privazioni, che forse sono da annoverare tra le cause della morte nell’infanzia di quattro dei suoi sei figli.
Però, nel periodo in cui morì, le cose gli stavano andando bene da qualche tempo, e avrebbe potuto permettersi ben altre esequie. Senonché, lui stesso, fedele ai principi illuministici cui aveva improntato la sua formazione culturale, detestava tutto quanto sapeva di pompa e di sfarzo e non avrebbe mai voluto buttare via i soldi, togliendoli all’eredità dei due figli superstiti, per una inutile esibizione. A questo si deve aggiungere che la sua vedova, Costanze, a forza di affrontare momenti di povertà era diventata una donna piuttosto tirchia e, forte della volontà espressa più volte dal marito, scelse per lui il funerale più economico possibile.
Sotto, l’ultima ora di Mozart, dipinto di Henry Nelson O’Neil del 1860:
La stessa mancata partecipazione di amici e parenti alla sepoltura del compositore, trova una spiegazione di una semplicità disarmante: all’epoca, non si usava seguire i feretri fino alla fossa. Li si lasciava dopo la cerimonia funebre o la benedizione (fu benedetto anche quello di Mozart, nonostante fosse un miscredente e per di più un massone).
Sicuramente, però, la più suggestiva leggenda riguardante Mozart è quella per cui sarebbe morto avvelenato da un compositore rivale, il veneto Antonio Salieri (1750-1825). Questa storia si appoggia su tre elementi:
- Una lettera di Leopold Mozart (dunque, non il compositore, ma suo padre) che attribuisce l’insuccesso della prima rappresentazione delle “Nozze di Figaro” (maggio 1786) al boicottaggio orchestrato da Salieri presso la corte dell’imperatore Giuseppe II;
- La testimonianza per cui, nel 1823, ormai preda di una forma di demenza senile che entro due anni lo avrebbe portato alla morte, Salieri si autoaccusò di aver avvelenato Mozart;
- Il dato per cui Salieri e Mozart, pur separati da soli 6 anni di età, erano rappresentanti di due diversissime concezioni dell’opera lirica: Salieri un conservatore ancorato ai vecchi schemi e al rigoroso utilizzo della lingua italiana nei testi, Mozart un innovatore che i vecchi schemi li disintegrava e non si faceva scrupolo di far cantare i suoi ruoli anche in tedesco.
Tanto bastò a convincere il grande scrittore russo Aleksandr Pushkin a scrivere e pubblicare, nel 1830, una breve tragedia, intitolata “Mozart e Salieri” in cui l’ipotesi dell’avvelenamento da parte del rivale viene sostenuta senza mezzi termini. Questa tragedia (ironia della sorte o destino ineluttabile?) è successivamente (1898) diventata anche un’opera lirica, con le musiche di un grande compositore, sempre russo, Nikolaj Rimskij-Korsakov. La (meritata) celebrità degli autori ha contribuito a diffonderla nel mondo, con tutte le sue conclusioni.
Sotto la copertina del libro Mozart e Salieri, disponibile su Amazon:
Il tema è stato poi ripreso, in tempi più recenti, dal drammaturgo inglese Peter Schafer, che lo propose nel 1979 con il testo in due atti intitolato “Amadeus”, ottenendo un grande successo e ispirando il celebre film omonimo di Milos Forman (1984), che nel 1985 fece incetta di Oscar vincendo ben 8 statuette.
Sotto, il trailer con sottotitoli italiani:
A questo punto, prima di procedere con il fact-checking sulla realtà della vicenda, occorre fermarsi un attimo per aprire una finestra sulla qualità artistica di queste opere.
La sfortuna di Salieri ha voluto che, a sostegno della teoria che lo vuole assassino del collega, ci siano sempre opere di un notevolissimo livello artistico: sia la tragedia di Pushkin, sia l’opera di Rimskij-Korsakov, sia il dramma di Schafer, sia il film di Forman, rappresentano risultati artistici dal valore oggettivo, che nessuno può mettere in discussione. Nemmeno la considerazione per cui sono basate su una diceria riesce a inficiarne il valore.
In particolare, tra Schafer e Forman, la vicenda diventa lo spunto per trattare un tema estremamente suggestivo e sempre attuale: il dramma della mediocrità, la sofferenza di essere in grado di riconoscere il genio senza per questo arrivare a praticarlo, perché condannati a non elevarsi mai oltre il livello mediocre. Il Salieri che emerge da questa narrazione è una figura che assomiglia moltissimo a ognuno di noi, perché mette in scena i nostri limiti e la nostra frustrazione per essere incapaci di superarli. La sua malvagità è quella che, forse, tutti noi potremmo essere capaci di mettere in atto, se le circostanze spingessero questa frustrazione oltre ogni livello tollerabile.
Quindi, sono opere che meritano sempre e comunque di essere conosciute.
Ma poi si deve conoscere anche la realtà dei fatti.
E i fatti ci raccontano che, nel 1786, Salieri non poteva organizzare nessun boicottaggio delle Nozze di Figaro perché era da qualche tempo a Parigi, a curare l’allestimento di una sua opera, e lì sarebbe rimasto ancora per qualche tempo, ragione per cui Leopold Mozart aveva preso un abbaglio.
Poi ci raccontano che Mozart non è morto avvelenato e, anche se lo fosse stato, l’ipotesi più probabile sarebbe quella di un avvelenamento accidentale, visto che i medici del tempo non avevano molto chiari i concetti di tossicità e di bioaccumulo e, spesso, per curare i pazienti, somministravano loro tante di quelle sostanze tossiche da mandarli all’altro mondo prima ancora che vi provvedessero le malattie.
In particolare, la morte di Mozart è una circostanza che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro, tali e tante sono le cause possibili. Si sa che fin da bambino era stato soggetto di molte malattie, anche per via delle condizioni in cui si svolgevano le estenuanti tournées insieme al padre e alla sorella, nelle quali si esibiva come bambino prodigio (lui e Nannerl presero tante di quelle infezioni che rischiarono ripetutamente di morire) e che, nell’ultimo anno, la sua salute era andata declinando piuttosto rapidamente.
L’ipotesi più accreditata come causa del decesso è una nefropatia (ossia una malattia ai reni) di origine reumatica e quindi autoimmune, in seguito a un’infezione respiratoria da streptococco (forse aggravata da una broncopolmonite insorta quando ormai si era molto indebolito). In pratica, una morte comunissima a quel tempo: quando, in mancanza di antibiotici, lo streptococco faceva strage di bambini e di adulti (non a caso, il primo antibiotico della Storia, la penicillina di Fleming, serviva appunto a combattere lo streptococco).
Wolfgang Amadeus Mozart in un ritratto postumo di Barbara Krafft (1819):
Gli avvelenamenti accidentali erano frequenti durante le terapie contro la sifilide, che si curava con preparati contenenti pesanti dosi di arsenico, mentre sembra che Mozart non abbia mai sofferto di malattie veneree, nemmeno della più comune gonorrea (dalle sue lettere, si sa che evitava nel modo più assoluto di avere rapporti con donne di dubbia reputazione, pur avendo ugualmente avuto diverse amanti).
Sulla possibile rivalità artistica, le prove sembrano andare in direzione opposta. Nonostante le idee differenti, i due sembravano andare perfettamente d’accordo, anche perché l’imperatore Giuseppe II lasciava spazio a tutte le espressioni artistiche, senza bisogno che si pestassero i piedi.
Mozart stimava Salieri e lo scrisse perfino nella sua ultima lettera, riferendo di averlo incontrato insieme all’amante ufficiale di Salieri stesso, la cantante Caterina Cavalieri.
Sotto, Antonio Salieri in un dipinto di Joseph Mahler:
L’unica entrata fissa nella vita di Mozart, come maestro di cappella alla corte, fu un posto rifiutato da Salieri, forse proprio per favorire l’amico in difficoltà economiche. In un evento importante (l’incoronazione di Leopoldo d’Asburgo e della moglie Maria Luisa di Borbone come re e regina d’Ungheria, a Praga nel 1790), Salieri diresse delle opere di Mozart. I due si divertirono anche a scrivere una composizione a quattro mani, la cantata “Per la ricuperata salute di Offelia”, dedicata al ritorno sulle scene di una comune amica ristabilitasi da un incidente, la cantante Nancy Storace (il pezzo, datato 1787, era andato disperso ma nel 2016 è stato ritrovato un suo spartito al Museo Ceco di Praga dal musicologo tedesco Jouko Hermann).
Sotto, il video dell’esecuzione del brano:
Salieri fu l’insegnante e il mentore del figlio più piccolo di Mozart, Franz Xaver Wolfgang, destinato a essere un compositore di modesto successo. Salieri fu uno dei due amici che accompagnarono alla benedizione la salma di Mozart defunto, insieme all’allievo prediletto di quest’ultimo, Franz Xaver Sussmayr.
La figura di Sussmayr (un giovane di talento ma sfortunato, destinato a morire nel 1803 a soli 37 anni) ci porta a un altro elemento fantasioso della storia di Salieri assassino di Mozart. Nel testo di Schafer, Salieri concepisce una geniale, oscena vendetta verso il rivale: gli commissiona un Requiem per farselo consegnare subito prima di dargli il colpo di grazia e poi, una volta commesso il delitto, presentare quest’opera come propria creazione in onore dell’amico defunto, in modo da ottenere due risultati: accreditarsi di un lavoro geniale e avvalersi della pubblicità garantita dalla fama del morto.
Già quest’idea suona un po’ bizzarra, dato che ai tempi Salieri era molto più famoso di Mozart. Ma, soprattutto, sovverte la realtà di un fatto reale.
Il Requiem fu effettivamente commissionato a Mozart da qualcuno, ma si trattava del conte Franz Graf von Walsegg, un aristocratico che si dilettava di musica e, avendo appena perso l’amata e giovanissima moglie, voleva dedicare alla memoria di questa un’opera straordinaria. Solo che non era in grado di scriverla e, tramite un intermediario, contattò Mozart perché gliela scrivesse lui.
Walsegg, una volta pagato il compenso, avrebbe fatto passare il Requiem per proprio. Mozart lavorò al Requiem finché ebbe la forza di farlo, perfino sul letto di morte, ma lo lasciò incompiuto. A completarlo (in modo che gli eredi potessero essere pagati) provvide, subito dopo, Sussmayr. Alla prima esecuzione ufficiale, nel 1793, il Requiem fu effettivamente attribuito a Walsegg, sicuramente su iniziativa dello stesso. Quindi Salieri non c’entra nulla nemmeno in questo ultimo “giallo” post mortem.