Italy’s American Baggage, il bagaglio americano dell’Italia. Così titolava il New York Times nel 2007, quando pubblicò un articolo in cui Andrea Camilleri descrisse il Novecento come un secolo “compresso”, “perché mai in cento anni sono accadute tante guerre mondiali, tante scoperte scientifiche e tecnologiche, tante rivoluzioni, tanti eventi che hanno sconvolto il mondo”. Un secolo che, nella sua visione, si configurava come “una valigia troppo piccola per contenere tutto ciò che è accaduto”. E in quella piccola valigia, dove crimini e misfatti straripavano, ci collocò anche Sacco e Vanzetti, agnelli sacrificali di una controversia giudiziaria che negli anni ’20 tenne tutto il mondo con il fiato sospeso.

Accadde una notte; la mano del boia impartì la giustizia e la corrente elettrica causò un’arresto cardiaco ai due condannati. Il 28 agosto del 1927 le salme dei due anarchici giunsero nel Forest Hills Cemetery di Boston e l’addetto alla cremazione compì un gesto simbolico, emblematico. Sulle schede numero 10201 e 10202, accanto ai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, morti il 23 agosto del 1927, indicò l’elettroshock come causa del decesso e aggiunse la dicitura Judical homicide, omicidio giudiziario. Il suo fu un tacito J’accuse, una provocazione che rispecchiava il pensiero di chi, come lui, era consapevole di aver assistito a un processo non equo.
Gli assassini erano i giudici, Sacco e Vanzetti le vittime

Dall’Italia all’anarchismo: le origini di Sacco e Vanzetti
Ferdinando Sacco nacque il 22 aprile del 1891 a Torremaggiore, in provincia di Foggia. Era il terzogenito di una famiglia di umili agricoltori, e dopo la morte di un fratello minore ne assunse il nome e cambiò quello di battesimo con Nicola. Crebbe dedicandosi alla vita nei campi, ma a 17 anni le sue ambizioni lo portarono oltreoceano quando un amico del padre invitò suo fratello maggiore, Sabino, nel Massachusetts. Nicola volle accompagnarlo e i due si imbarcarono a Napoli sulla motonave Romanico. Approdarono a Boston il 12 aprile del 1909 e, dopo circa un anno, Sabino tornò in Italia senza Nicola, che trovò un impiego da calzolaio in una fabbrica di Milford, sposò Rosina Zambelli nel 1912 ed entrò a far parte di un gruppo di anarchici italiani.

Da non confondere né con il socialismo né con il comunismo, l’anarchismo era una filosofia politica nata in risposta alle precarie condizioni della classe operaia del XIX secolo. La sua dottrina prevedeva il rifiuto di ogni forma di autorità e la nascita di una società senza Stato, con uguaglianza sociale e un’economia non capitalista. Nel 1916 Sacco ebbe il suo primo scontro con la legge per aver parlato a una riunione anarchica non autorizzata: fu arrestato e multato. Nel maggio del 1917 incontrò il suo futuro compagno di sventure.

Bartolomeo Vanzetti nacque l’11 giugno del 1888 a Villafalletto, in provincia di Cuneo. Era il primogenito di Giovanna Nivello e Giovanni Battista Vanzetti. Fin da bambino subì le pressioni del padre, desideroso che il figlio diventasse un pasticcere, e in seguito alla morte per cancro della madre, evento che lo segnò nel profondo, decise di abbandonare l’Italia. Contro il volere paterno partì per Le Havre, in Francia, e da lì salì a bordo del transatlantico La Provence il 13 giugno del 1908. Giunse a Ellis Island poco più che ventenne e cercò di mantenersi facendo diversi lavori, ma le condizioni della classe operaia lo spinsero ad abbandonare l’ottimismo del sogno americano per abbracciare gli ideali anarchici.

Intanto, il 6 aprile del 1917 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania ed entrarono nel primo conflitto mondiale. Secondo l’ideologia anarchica era inammissibile che un governo obbligasse un uomo libero ad arruolarsi e combattere contro persone che non gli avevano fatto niente, e per uno Stato che non riconoscevano. Per sottrarsi alla leva militare, Sacco e Vanzetti scapparono in Messico insieme ad altri compagni. Quando le acque si calmarono, alcuni mesi dopo, Sacco tornò dalla moglie e dal figlio Dante e Vanzetti intraprese il mestiere di pescivendolo.

Il contesto storico: la Paura Rossa
Con la fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918, l’economia degli Stati Uniti risentì dei costi dello sforzo bellico: i prezzi dei generi alimentari si alzarono, disoccupazione e tasso di criminalità crebbero a dismisura e gli scioperi erano all’ordine del giorno. Sul fronte politico, la caduta dello Zar in Russia e l’ascesa di Lenin scioccarono gli americani e nacque la cosiddetta Paura Rossa, che, al pari della sua successiva evoluzione, il Maccartismo dei primi anni ‘50, scatenò quella che forse possiamo definire un’isteria di massa, che fomentò discriminazioni socio-culturali di tutti i tipi.

Chiunque non fosse allineato con il pensiero politico della Casa Bianca poteva essere un bolscevico pronto a rovesciare il governo e gli immigrati. Finirono nell’occhio del ciclone in particolare gli italiani. La propaganda patriottica filostatunitense si scatenò; partì la caccia ai dissidenti. Uno degli episodi più controversi di quel periodo vide coinvolto Andrea Salsedo, inserito dal Dipartimento di Giustizia in una lista di persone sospette che si erano sottratte alla leva militare.

In quella lista c’erano anche Sacco e Vanzetti
Il 25 febbraio del 1920 Salsedo fu arrestato mentre distribuiva degli opuscoli anarchici, e l’FBI lo sottopose a un durissimo interrogatorio, condito da atroci torture. Alle 04:20 di mattina del successivo 3 maggio, infine, cadde dal 14° piano del Park Row Building, sede del Dipartimento di Giustizia. Per le autorità si trattò di un suicidio; per alcuni la sua morte è avvolta nel mistero.

Le due rapine
In questo clima di tensioni e paura, la mattina del 24 dicembre del 1919, due impiegati della White Shoe Company, una fabbrica di Bridgewater, erano alla guida di un furgone che trasportava le buste paga degli operai, quando una Hudson Overland tagliò loro la strada e li costrinse a fermarsi. Dalla vettura scesero tre uomini a volto scoperto che aprirono il fuoco e tentarono di sottrargli il denaro. La rapina non si concretizzò, ma alcuni mesi dopo, il 15 aprile del 1920, il cassiere di un’altra fabbrica, la Slater&Morrill di South Braintree, fu aggredito da due individui. Con lui c’era una guardia giurata, Alessandro Berardelli, e insieme stavano portando il salario agli operai. Secondo il racconto dei testimoni, Berardelli e il cassiere furono uccisi a sangue freddo, e i ladri s’impossessarono del bottino per poi salire a bordo di una Buik blu scuro con dentro altre due persone.

Il caso fu affidato a Michael E. Stewart, capo della polizia di Bridgewater, che subito propose un collegamento fra le due rapine. Per Stewart, i colpevoli erano gli appartenenti a un gruppo anarchico della zona e, a rafforzare la sua tesi, gli agenti trovarono una Buik abbandonata in un boschetto nei pressi della casa di uno di loro. Partirono le indagini e, in contemporanea, uno dei principali indiziati, Ferruccio Coacci, si diede alla macchia e lasciò gli Stati Uniti. Il bersaglio successivo fu Mario “Mike” Boda, anarchico, amico di Coacci e possessore di una Hudson Overland.

Stewart ordinò la caccia all’uomo, ma anche Boda svanì nel nulla. Tuttavia, si scoprì che l’anarchico aveva portato la sua auto da un meccanico per farla riparare, e decise di tendergli un’imboscata. I gestori del garage furono informati della situazione e la sera del 5 maggio del 1920 Boda si recò da loro per ritirare la Hudson insieme a tre uomini, fra i quali Sacco e Vanzetti. Come da copione, la moglie del proprietario chiamò la polizia mentre il marito temporeggiava, ma Boda si insospettì e scappò in moto. Sacco e Vanzetti, invece, salirono su di un tram, dove furono intercettati e ammanettati. Sacco aveva con sé una Colt calibro 32; Vanzetti un revolver Harrington & Richardson calibro 38.

Stewart interrogò personalmente i due immigrati e rimase vago sul motivo dell’arresto. Entrambi negarono di essere anarchici o di conoscere Boda, ma il giorno successivo giunse il procuratore distrettuale Frederick Katzmann e la loro posizione si aggravò. Anche Katzmann era certo che dietro le due rapine ci fossero gli anarchici e, da parte loro, Sacco e Vanzetti erano convinti di essere in stato di fermo per motivi politici o per possesso illegale di armi; quindi, continuarono a mentire e contraddirsi per scongiurare un’eventuale espulsione.

Il processo di Bridgewater
Mentre le indagini proseguivano, l’anarchico Aldino Felicani costituì il Comitato di difesa Sacco e Vanzetti, indisse manifestazioni, organizzò raccolte fondi e la vicenda divenne di pubblico dominio.

L’istruttoria del caso di Bridgewater, privo dell’aggravante omicida, si svolse in tempi brevissimi. Katzmann desiderava archiviare subito la pratica per concentrarsi sugli eventi di South Braintree e Sacco fu depennato dalla lista degli indagati perché aveva un alibi confermato, ma Vanzetti non fu altrettanto fortunato. Il processo ebbe inizio il 22 giugno del 1920 a Plymouth, sotto la presidenza del giudice Webster Thayer. Il pubblico ministero adottò una strategia alquanto discutibile, che, tuttavia, si rivelò vincente. Anche Vanzetti aveva un alibi per quel fatidico 24 dicembre: era la Vigilia di Natale e, in quanto pescivendolo, vendette delle anguille a dei clienti. Katzmann, però, giocò d’astuzia e screditò l’attendibilità dei testimoni: erano tutti degli immigrati italiani, di umili origini e propensi alla menzogna. Il 16 agosto Thayer pronunciò la sentenza. Vanzetti fu riconosciuto colpevole di rapina a mano armata e condannato dai 12 ai 15 anni di carcere.

Il processo di South Braintree
Dopo il primo “trionfo” della giustizia americana, Felicani presagì che anche nel processo di South Braintree Katzmann avrebbe adottato una tattica discriminatoria, perciò sfruttò i fondi del Comitato per assumere Fred Moore, esperto in difese di radicali. Moore intuì la necessità di coinvolgere l’opinione pubblica, moltiplicò gli sforzi propagandistici e il secondo processo ebbe luogo il 31 maggio del 1921 a Dedham, in un clima di tensione crescente. Su sua espressa richiesta, Thayer tornò a presiedere la giura. In un primo momento l’accusa si concentrò sulla necessità di riconoscere l’identità dei banditi che avevano preso parte alla rapina, ma Sacco e Vanzetti avevano un alibi che in molti potevano confermare.

Katzmann, allora, sfruttò lo stesso escamotage di Bridgewater e i testimoni della difesa furono ritenuti poco credibili per via delle loro origini italiane. I testimoni dell’accusa, invece, furono presi in considerazione nonostante le tante incongruenze e contraddizioni. Fra più dubbi che certezze, il processo continuò, e Katzmann tentò di dimostrare che l’arma del delitto era la pistola di Sacco e che, il giorno dell’arresto, Vanzetti era in possesso del revolver sottratto a Berardelli, la guardia assassinata. Gli esami balistici ne confermarono la tesi ma in maniera molto vaga e, col senno di poi, facilmente oppugnabile. Da quel momento il processo si spostò sul fronte ideologico. Per sferrare l’affondo finale, Katzmann sfruttò il concetto di “consapevolezza della colpa”, e accusò gli imputati di aver manifestato la loro colpevolezza attraverso una condotta ambigua. Infine, evidenziò che si erano sottratti alla leva militare per non servire il paese che li aveva accolti. Le obiezioni della difesa furono vane, e il 14 luglio del 1921 la giuria emise il verdetto: Sacco e Vanzetti erano colpevoli.

I tentativi di revisione e la mozione Madeiros
La sentenza definitiva arrivò solo 7 anni dopo. Nel mentre, il 18 luglio, Moore presentò la prima domanda di revisione del caso. Oltre ad aizzare l’opinione pubblica, adottò una tattica provocatoria nei confronti di Thayer e attaccò personalmente sia lui sia la giuria: l’ideologia politica degli imputati aveva condizionato il verdetto e doveva essere invalidato.

Dal suo canto Thayer fece orecchie da mercante e non ascoltò molti testimoni che avevano affermato di aver subito pressioni dall’accusa, non tenne in conto che alcune dichiarazioni straripavano di incongruenze, e che due ex membri del Governo Federale si erano fatti avanti per dimostrare che il Dipartimento di Giustizia aveva influenzato il processo.

Nel novembre del 1925, però, si verificò un colpo di scena. Celestino Madeiros, condannato a morte per omicidio e rinchiuso della stessa prigione di Sacco, professò l’innocenza dei due anarchici e confessò il suo personale coinvolgimento nella rapina di South Braintree, ma si rifiutò di rivelare i nomi dei complici. La deposizione di un criminale era una prova troppo debole, che non avrebbe retto in tribunale; perciò, la difesa tentò di rafforzare l’attendibilità dei nuovi sviluppi. Stando alle ricerche, era plausibile che i responsabili della rapina fossero i membri della banda Morello, legata alla Cosa Nostra statunitense, e alcuni testimoni confermarono la versione di Madeiros. Il 26 maggio del 1926 Moore presentò la sesta istanza di riapertura del processo, ma Thayer la rispedì al mittente e, vista la sua reticenza a non fare nomi, giudicò Madeiros un complice dei due imputati.

Sacco e Vanzetti in prigione
Mentre Moore e Thayer continuavano il loro personale braccio di ferro, Sacco e Vanzetti erano rinchiusi rispettivamente nel carcere di Charlestown e in quello di Dedham. Sacco soffrì molto la lontananza della moglie e del figlio e nel 1923 iniziò uno sciopero della fame che gli valse un ricovero nell’ospedale psichiatrico di Boston, dove fu messo sotto un regime di alimentazione forzata.

Quando tornò a Charlestown ebbe una nuova crisi e quattro guardie penitenziarie dovettero immobilizzarlo mentre sbatteva la testa contro i braccioli di una sedia. Da quel momento palesò delle intenzioni suicide, ma, venne aiutato da alcuni medici, e sembra che riuscì a tranquillizzarsi. Quanto a Vanzetti all’inizio sembrò accogliere con stoicismo il verdetto, ma i continui rifiuti di revisione lo resero irrequieto e da gennaio a maggio del 1925 fu ricoverato in un ospedale di Lawbreaker in seguito a degli episodi di deliri e allucinazioni.

Lo scoppio dell’Affaire
Nonostante i suoi tentativi di sollevare l’opinione pubblica contro Thayer, se non prima del 1926, Moore non riuscì a trasformare il caso di Sacco e Vanzetti in un Affaire, inteso come una macchinazione politico-giudiziaria che, attraverso la legge, vuole liberarsi di elementi scomodi.

L’interesse per i due anarchici rimase per molto tempo circoscritto solo a una parte della popolazione, ma dopo il rifiuto della mozione Madeiros il caso assunse rilevanza internazionale. Mentre gli intellettuali di mezzo mondo accostavano i nomi di Sacco e Vanzetti a quello di Alfred Dreyfus, le principali città d’Europa e degli Stati Uniti indissero manifestazioni, scioperi e proteste.

Anche l’Italia fascista palesò la sua vicinanza ai due emigrati, e lo stesso Mussolini si schierò al loro fianco. Grazie ad alcuni documenti sappiamo che il Duce giudicò l’operato del tribunale di Dedham una farsa ricca di pregiudizi, e la sua prima richiesta formale di revisione del caso fu nel 1923; l’ultima un mese prima dell’esecuzione, quando scrisse personalmente al governatore del Massachusetts.
“La clemenza dimostrerà la differenza dei metodi bolscevichi da quelli americani”.
Ma purtroppo, nessuno riuscì a salvare Sacco e Vanzetti

La sentenza definitiva e il discorso di Vanzetti
Dopo 8 richieste di revisione respinte e innumerevoli appelli alla Corte Suprema, la giuria di Dedham si riunì un’ultima volta il 9 aprile del 1927. Come da protocollo, agli imputati fu concesso di prendere la parola prima della sentenza. Sacco pronunciò solo poche frasi, poi lasciò la parola a Vanzetti, che in un lungo e appassionato discorso di quarantacinque minuti si rivolse a Thayer e riassunse tutte le contraddizioni e le iniquità del processo. Eccone alcuni passi.
«Quello che dico è che sono innocente. […] In tutta la mia vita non ho mai rubato e non ho mai ucciso e non ho mai versato sangue. […] Sono sette anni che siamo in prigione. Ciò che abbiamo sofferto in questi sette anni nessuna lingua umana può dirlo. […] Nemmeno un cane che uccide i polli sarebbe stato giudicato colpevole dalla giuria americana con le prove che il Commonwealth ha prodotto contro di noi. Dico che nemmeno un lebbroso avrebbe visto rifiutare il suo appello due volte dalla Corte Suprema del Massachusetts. […] Abbiamo dimostrato che non poteva esserci un altro giudice sulla faccia della terra più prevenuto e più crudele di quanto tu sia stato contro di noi. […] Sappiamo, e tu sai nel tuo cuore, che sei stato contro di noi fin dall’inizio. […] La giuria ci odiava perché eravamo contro la guerra, e la giuria non sa la differenza fra un uomo che è contro la guerra, perché crede che la guerra sia ingiusta, perché non odia nessun paese, perché lui è un cosmopolita, e un uomo che è contro il paese in cui si trova, e quindi una spia. […] Non vorrei a un cane o a un serpente, alla creatura più bassa e sfortunata della terra, non vorrei a nessuno di loro ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Soffro perché sono un radicale; ho sofferto perché sono italiano. […] Ma sono tanto convinto di avere ragione che se tu potessi giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere due volte, vivrei ancora per fare ciò che ho già fatto».
Infine, Thayer pronunciò la sentenza.
A Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, colpevoli di omicidio e rapina a mano armata, spettava la sedia elettrica
La richiesta di grazia e la commissione Fuller
Con la giustizia ormai dalla parte del torto, su iniziativa di William Thompson, nel frattempo succeduto a Moore come avvocato difensore, ai due anarchici non restò che inoltrare una richiesta di grazia ad Alvan Fuller, governatore del Massachusetts.

Sacco si rifiutò di apporre la sua firma e scelse o la vita, intesa come assoluzione, o la morte; nessuna via di mezzo. La domanda di grazia del solo Vanzetti fu consegnata il 4 maggio del 1927. In qualità di governatore, Fuller aveva il potere di intervenire nelle sentenze emesse nel suo stato e, pur sposando i pregiudizi di Thayer e Katzmann, le pressioni dell’opinione pubblica lo costrinsero a cedere e meditare sul da farsi.

Rinviò la data dell’esecuzione, prevista per l’11 luglio, e nominò una commissione di tre membri per svolgere ulteriori indagini, ma, dopo due settimane, Abbott Lawrence Lowell, a capo della commissione, confermò che Sacco e Vanzetti erano colpevoli. In base al suo rapporto, Fuller si rifiutò di firmare la grazia.

L’esecuzione e il proclama Dukakis
La situazione era ormai disperata; la data dell’esecuzione si avvicinava e la difesa moltiplicò i suoi sforzi per salvare Sacco e Vanzetti dalla morte. La fine di tutte le speranze arrivò con il rigetto di una nuova istanza di revisione del processo e un’infruttuosa lettera di grazia al presidente Calvin Coolidge.

Nella notte fra il 22 e il 23 agosto del 1927, Celestino Madeiros, colui che, in teoria, li aveva scagionati, precedette i due anarchici sulla sedia elettrica del carcere di Charlestown. Poco dopo toccò a Sacco. Prima di ricevere la scarica mortale urlò: «Viva l’anarchia!»; poi si rivolse alla moglie e ai figli, li salutò, augurò la buonanotte ai presenti e, infine, prese commiato dalla vita terrena. Morì alle 00:19 e Vanzetti lo raggiunse alle 00:27. Strinse la mano alle guardie carcerarie, al direttore del penitenziario e riaffermò un’ultima volta la sua innocenza.

Il 23 agosto del 1977, il governatore del Massachusetts, Michael S. Dukakis, invalidò ufficialmente la sentenza di cinquant’anni prima.
Dichiaro che ogni stigma e ogni disonore vengano per sempre rimossi dai nomi di Sacco e Vanzetti

Ma è bene sottolineare che il cosiddetto proclama Dukakis non rappresenta un riconoscimento d’innocenza. Senza un equo processo o prove certe, da un lato o dall’altro, è impossibile stabilire le effettive responsabilità di Sacco e Vanzetti nelle rapine di Bridgewater e South Braintree, perciò, ancora oggi, la dicitura adottata dall’addetto alla cremazione risulta la più calzante. Tutto ciò che sappiamo è che la loro condanna fu una farsa, che il 23 agosto del 1927 morirono sulla sedia elettrica per un omicidio giudiziario.