“Ripartiamo dai bambini della scuola dell’infanzia per costruire significati e vissuti”

Costruire significati e vissuti alla scuola dell’infanzia sembra quasi uno slogan, una frase pubblicitaria che spesso ritroviamo nell’offerta formativa delle varie scuole… In realtà ripartire dal bambino significa molto di più. Significa considerare il bambino in quanto persona e non solo come fruitore di un servizio. Soprattutto in questo periodo storico, il bambino, specialmente quello piccolo, vive attorno a sé messaggi contraddittori: o è troppo presto, oppure si è troppo avanti.

L’enfatizzazione per l’alfabetizzazione digitale ha toccato anche i più piccoli: basti pensare a come già a tre anni i nostri pargoli si destreggiano senza alcun problema con tablet, pc e smartphone, in questo sono “avanti”, ma quando si tratta di autonomie di base, di competenza da acquisire e abilità da consolidare… La faccenda cambia e muta in particolare mio quando si parla di scuola.

Troppo spesso, infatti, la scuola dell’infanzia viene vista solo come un luogo dove si gioca, ci si diverte, dove il bambino “deve imparare a socializzare”e… E basta. Tanto, lo sappiamo, quella che conta, la scuola “quella vera” arriverà dopo. In realtà è scientificamente provato che la capacità di apprendimento tocca il suo apice proprio negli anni della scuola dell’infanzia e, guarda caso, tra i 2 e gli 8 anni si ha il massimo in quanto a ricettività.

Certo, il gioco è importante, come del resto il divertimento, il fatto è che non sempre si ha la piena consapevolezza che i giochi della scuola dell’infanzia debbano essere finalizzati all’acquisizione dei saperi e soprattutto delle capacità, quali risultano indicati negli Orientamenti educativi, che pongono la scuola dell’infanzia in una linea di naturale continuità con l’attività educativa e didattica della scuola primaria e le riconoscono un ruolo estremamente importante, fondamentale, basilare, in quanto sulle esperienze vissute nella scuola dell’infanzia si fondano i successivi apprendimenti.

Continuare a considerare la scuola dell’infanzia come mero luogo di semplice socializzazione sarebbe estremamente inadeguato e inconcludente. Ripartire dal bambino significa che le esperienze alla scuola dell’infanzia sono un primo e fondamentale segmento per la formazione di base e, per veicolare tutto questo, ecco che il gioco entra in azione…

Significati e vissuti… La gioia di apprendere!

Apprendere significa vivere esperienze e costruire competenze. Non dimentichiamo che è l’esperienza che genera competenza. Attraverso le varie attività ludiche il bambino costruisce un proprio importantissimo bagaglio culturale ed umano. Tenere conto delle diversità che ciascun bambino porta a scuola vuol dire tenere presente un ricco tesoro da cui attingere. In questo scenario entra in gioco, ancora una volta, la professionalità dell’educatrice e la sua regia. E’ fondamentale stimolare, è vero, ma non solo. La curiosità innata del bambino deve poter trovare spazio e terreno fertile in una scuola in cui, sovente, la programmazione e la tempistica scolastica prendono il sopravvento. In realtà, tutto sarebbe più semplice se ricordassimo che non è quello che facciamo a fare la differenza, bensì è il modo con cui lo comunichiamo.

L’uso di metodi costruttivi e positivi di guida ha il potere di aumentare il senso di fiducia in sé del bambino, lo aiutano a formarsi un’immagine positiva di sé stesso. E’ essenziale che l’insegnante formuli propositi e suggerimenti in forma positiva e non negativa. Qualunque regola va definita verbalmente in forma positiva.

Vediamo qualche esempio pratico.

L’insegnante che intende invitare a concludere una certa attività al bambino deve formulare l’istruzione in questo modo: “Prima finisci quel gioco di pazienza, poi potrai cominciarne uno nuovo”. Sbaglia, invece, se dice all’alunno: “Non ti permetto di cominciare un nuovo gioco fino a quando non avrai portato a termine l’altro”.

Il rinforzo positivo di certi comportamenti è un mezzo molto efficace perché quei comportamenti vengano ripetuti. Rinforzo positivo può essere qualsiasi cenno di approvazione o di incoraggiamento verbale. Per esempio ad un bambino timido ed incerto che cerca di scendere dallo scivolo, l’insegnate dovrebbe dire: “Bene, ancora un piccolo passo e riuscirai a scendere”, in questo modo pone in atto una forma di rinforzo positivo. Se invece cerca di aiutarlo dicendo: “Non avere paura”, mette in funzione una forma di rinforzo non positivo perché richiama l’attenzione del bambino sulla propria paura. E’ necessario che l’insegnante sia generosa nel dare approvazione e che guardi non solo al successo ma anche agli sforzi che il bambino mette in atto per ottenerlo.

Poiché anche la semplice approvazione può essere una forma di ricompensa, talvolta accade che il comportamento inaccettabile viene notato e perciò in qualche modo ricompensato, mentre viene del tutto trascurato lo sforzo del bambino che ha un comportamento accettabile.

In altri casi, di fronte ad un errore, se ritiene che il bambino sia preparato a scoprine la causa e a trovarne il rimedio, l’insegnante può dire: “Vedi di scoprire da te cosa è accaduto”. In questo modo lo stimola ad assumere un atteggiamento volto alla soluzione del problema, atteggiamento che ha un grandissimo valore ai fini dell’apprendere. Se l’indagine che il bambino compie è coronata dal successo, egli acquista una nuova fiducia nelle proprie capacità. D’altra parte non è difficile per lui scoprire che la torre costruita con i mattoncini non sta in piedi perché la base è troppo piccola o non poggia su un piano stabile. Di solito quando qualcosa non funziona il bambino è portato ad incolpare qualcun altro o sé stesso. L’insegnante deve sempre condurlo a scoprire le cause oggettive del fatto, e a considerare le cose in maniera meno personale.

L’opera dell’educatrice o dell’educatore non è sempre coronata dal successo, i suoi migliori tentativi a volte possono fallire. Il modo in cui lui/lei affronta le sue eventuali frustrazioni costituisce per gli alunni un esempio da seguire nell’affrontare le loro. Non si deve perdere la fiducia in sé stessi e negli altri, andrà meglio la prossima volta. Così la maestra può aiutare i suoi alunni a farsi un’idea di come le frustrazioni vanno vissute e superate.

Vi sono casi in cui ai bambini deve essere permesso di porre in dubbio i suggerimenti della maestra. Un clima favorevole a tentativi personali, che divergono dai suggerimenti dell’insegnante, può favorire nel bambino l’accrescimento della fiducia in sé e nell’insegnante stessa.

L’uso dei metodi competitivi per motivare i bambini non è positivo, i bambini non hanno ancora sufficiente fiducia in se stessi per poter trarre vantaggio dalla reciproca competizione.

L’essere umano si sviluppa per fasi successive, poiché la nostra è una cultura competitiva, occorre evitare che i bambini debbano affrontare situazioni competitive fino a che non abbiano superato tutte quelle fasi di sviluppo che consentano loro di acquistare la fiducia in sé. E molto meglio che i bambini imparino a collaborare ed a prestarsi vicendevolmente aiuto, piuttosto che competere.

Alcuni bambini si mostrano timidi e remissivi di fronte al comportamento aggressivo di qualche loro compagno. L’insegnante deve cercare di infondere la sicurezza necessaria per non cedere alla prepotenza, aiutandoli ad affermare i loro diritti con frasi come questa: “La paletta è tua, l’hai presa per primo, tocca a te usarla, non è necessario che tu la ceda a lui. Quando avrai finito di utilizzarla potrai lasciarla al tuo compagno”. In un’altra circostanza la maestra può dire al bambino che sta per essere picchiato da un altro: “Il tuo compagno è adirato, tutti possiamo andare in collera, nessuno però deve picchiare gli altri, ora lo fermo io”. In tal modo rassicura tutti i bambini e mantiene con fermezza l’aggressività dentro limiti accettabili.

Gioco ed apprendimento

Il bambino gioca per esplorare, scoprire e imparare. Prima di apprendere ad usare i materiali per trarne il maggior vantaggio al fine della soluzione dei problemi, i bambini ci giocano a lungo a modo loro, li dispongono in modi diversi, li esplorano per scoprire quali sono le possibilità che offrono. L’uso della lingua accompagna il gioco e il possesso della lingua è essenziale per l’apprendimento. Basta semplicemente ascoltare un gruppetto di bambini che giocano al “gioco della casa” per comprendere il valore dell’esercizio linguistico che essi fanno. Questo dimostra che il gioco in comune è infinitamente più utile, ai fini dell’apprendimento delle strutture della lingua, di qualsiasi esercizio diretto e controllato dall’adulto.

Nel gioco infantile, il “far finta di” contribuisce al processo di apprendimento e costituisce l’essenza dell’apprendimento simbolico. E’ la capacità di cui si avvalgono i bambini nel porre in atto tutte le variazioni del gioco drammatico: fare i pompieri, fare il medico, fare il negoziante, fare il compratore, ecc.

Ecco, quindi, che costruire significati e vissuti attraverso l’esperienza diventa un’attività di rilettura delle routines, della quotidianità e della forza della semplicità. Si comprende che l’apprendere è un processo interiore che nessuno può imporre e che ciascuno di noi ha dentro di sé. L’insegnante non deve fornire risposte: deve aiutare gli alunni a cercare, a scoprire, ad inventare a costruire da soli i vissuti e i significati. Sono gli alunni che risolvono i problemi , perché in questo impegno essi attivano le loro facoltà mentali e , non solo arrivano alla scoperta dei concetti, ma sviluppano le loro capacità, acquisiscono competenze, diventano abili, crescono, diventano autonomi.

Concludiamo con quella che crediamo possa essere una giusta sintesi. Dice un proverbio cinese: “Se dai un pesce al tuo amico, lo sfami per un giorno, ma se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita”… Buona costruzione di vissuti, esperienze ed autonomie a tutti, bambini ed educatori!


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