Non tutti i Riminesi sanno che la propria città contenne al suo interno un gruppo eretico così ampio da costituire un vero e proprio quartiere all’interno della città. Prima di iniziare a parlare di questo elemento eterodosso nello specifico, spieghiamo a grandi linee di cosa si tratta.
Il Ponte di Tiberio, punto di partenza della Via Emilia. Fotografia di G. Dallorto condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Il Catarismo, pensiero nato principalmente nei Balcani e poi diffuso in Europa occidentale soprattutto nel sud della Francia, fu un movimento spirituale dualista, ovvero la fede veniva interpretata nella contrapposizione tra Bene e Male. Il Bene, rappresentato da Dio, non era accessibile durante la vita terrena, ma con pratiche rigidissime di pene corporali, tra le quali la più nobile era il suicidio, si poteva raggiungere l’ascesi. Il Male, rappresentato da tutto ciò che Satana ha creato, porta alla perdizione dell’anima.
I catari cacciati da Carcassonne nel 1209
I Catari, ritenendosi “puri”, si contrapposero alla Chiesa Cristiana formando addirittura un’anti-chiesa, con le varie gerarchie interne, creando una vera e propria società grazie anche all’appoggio politico e alle varie donazioni di beni ricevuti dai nobili. Iniziarono ad essere perseguiti come movimento ereticale dal 1184 con la decretale Ad Abolendam e furono vittime addirittura di una crociata (la crociata degli Albigesi); vennero definitivamente estirpati dal panorama europeo entro la fine del 1300 grazie all’introduzione dell’inquisizione.
Le città italiane rappresentavano, insieme al sud della Francia, il vero centro del problema cataro ed in particolare la zona centro-settentrionale con le città di Bologna, Modena e Verona, dove era diffusa la dottrina in modo alquanto capillare. Dopo aver trasformato il valore di eretico da semplice peccatore a criminale contro il bene comune della pace, il Papa premeva affinché negli statuti cittadini venissero aggiunte norme antiereticali; questa fu vista come una potenziale intromissione illegittima del papato che non poteva essere accettata dai Comuni. Bisogna, inoltre, ricordarsi anche dell’eventuale sostegno politico proveniente dai diversi potenti che potevano difendere le comunità catare.
Tornando quindi a Rimini, ora possiamo approfondire e comprendere la situazione: gli eretici erano tollerati all’interno del comune e ciò permise loro di creare una vera e propria comunità che crebbe a tal punto da costituire un rione cittadino; quella di Rimini era una chiesa catara ben organizzata con numerose strutture domestiche per gli incontri abituali. L’influenza catara, come in altre città, sboccò anche in politica e quindi la condanna all’eresia non fu piuttosto scrupolosa, sia perché gli eretici probabilmente erano troppo potenti e protetti, sia perché riscuotevano nell’opinione pubblica un certo favore.
Ricordiamoci anche la volontà, che trovava consenso sia nel popolo e fra i nobili, dell’autonomia comunale senza interferenze esterne, come potevano essere quelle papali. Inoltre, lo sbocco sul mare della città potrebbe essere stato utilizzato come connessione con la culla della dottrina in oriente; da questo punto di collegamento certamente passavano le idee, ma soprattutto i fondi.
Ecco che l’estirpazione catara rimane ancora dubbio di ricerca, in quanto da una fonte tarda si tramanda che sia avvenuta come “distruzione spontanea dei cattolici per iniziativa religiosa confessionale” e a nessuno fu attribuito il ruolo di ispiratore guida. Un’altra fonte riferisce la “liberazione” dei catari nel 1248 da parte, sembra, di Malatesta della Penna, ipotizzata come una cacciata dalla città senza bagni di sangue o di roghi collettivi; in seguito la terra “infame” avrebbe preso il significato della celebrazione di chi aveva esiliato gli eretici e non più dell’evocazione al loro dissenso sociale e religioso.