Raymond Radiguet: il Poeta Maledetto “Fucilato dai Soldati di Dio”

Il cliché del “poeta maledetto”, giovanissimo e destinato a una precoce fine, letteralmente travolto dal proprio talento, è oggi ridotto a una sorta di barzelletta dalle pose in tal senso di innumerevoli Rock-Star che, sebbene siano ufficialmente dediti a ogni genere di stravizio, “li vediamo superare il buon Matusalemme nella longevità” (Georges Brassens, “Morire per delle idee”, versione di Fabrizio De Andrè), pascendosi nel frattempo con le royalties dei loro dischi. In altri tempi, molto più coerentemente, gli artisti si sforzavano davvero di morire presto per essere all’altezza del personaggio che avevano scelto di rappresentare, e poteva quindi capitare che un Guy de Maupassant fosse addirittura lieto di aver contratto la sifilide, forse perché non aveva le idee molto chiare al riguardo e ignorava che la malattia lo avrebbe effettivamente condotto a morte sì a 43 anni, ma solo dopo spaventose sofferenze.

Sotto, Guy de Maupassant fotografato da Nadar nel 1888:

Il cliché del poeta maledetto, però, si sviluppa in modo molto più colto e raffinato tra il XVIII e i primi del XX secolo, coinvolgendo anche figure che lo incarnano in modo perfetto ma mostrano anche come, se fosse dipeso solo da loro, avrebbero preferito di gran lunga vivere molti più anni di quelli avuti a disposizione. Il primo personaggio da ricordare in tal senso è il poeta inglese Thomas Chatterton (1752-70): anche se commise il suicidio a poco più di 18 anni, lo face essenzialmente per sfuggire a una morte più lunga e dolorosa per inedia, vista la sua disperata povertà e mancanza di prospettive (e quindi al gesto si può anche attribuire un significato di estrema protesta).

Sotto, la “Morte di Chatterton”, dipinto del 1856 di Henry Wallis:

Il secondo è il francese Arthur Rimbaud (1854-91): completò l’intera opera in versi che lo rende uno dei maggiori poeti del suo Paese prima di arrivare alla maturità, poi smise improvvisamente di scrivere e si diede a una vita avventurosa soprattutto tra il Mediterraneo e l’Africa, grazie a una straordinaria capacità di apprendere rapidamente anche le lingue più difficili, morendo poi a 37 anni per un tumore osseo.

Arthur Rimbaud in una foto di Étienne Carjat (dicembre 1871):

Il terzo è un altro francese, Raymond Radiguet (1903-1923), il meno noto dei tre, sicuramente quello su cui sono state costruite meno “mitologie” nel corso del tempo. E allora parliamo di Radiguet e restituiamogli il posto che merita, sia nella Storia della Letteratura del ‘900, sia nell’immaginario collettivo.

Radiguet nasce il 18 giugno 1903 a Saint-Maur-des-Fossés, un paesone di campagna non distante da Parigi, la città in cui trascorrerà quasi tutta la propria vita artistica. Il padre, Maurice, è un farmacista che si diletta, nel tempo libero, disegnando caricature per i tanti giornali umoristici del tempo. Raymond ha poca voglia di studiare e moltissima di leggere: e non legge cose leggere, ma classici di quelli che si studiano nelle università, visto che la sua famiglia dispone di una buona biblioteca. Spesso, salta la scuola e passa giornate intere su una barca ormeggiata sulle rive della Marna, a leggere indisturbato gli autori del ‘600 e del ‘700. Con profonda costernazione dei genitori, che cercano invano di farlo almeno diplomare passandolo da una scuola all’altra, dopo una serie di bocciature, a 15 anni smette ufficialmente di studiare. Tuttavia, la sua conoscenza della letteratura classica francese e la sua cultura umanistica in generale diventeranno sempre più vaste e profonde con le letture da autodidatta.

Image Hyperlink Example VANILLA MAGAZINE

Radiguet non legge solo: scrive anche, soprattutto poesie. E, quando si sente finalmente fiducioso nei suoi mezzi, prova a farle conoscere in giro. L’occasione gliela fornisce il padre, che lo spedisce a portare alcune caricature al direttore del giornale “L’intransigeant”, tale Salomon. Raymond mostra a Salomon le sue poesie e a Salomon piacciono talmente da mostrarle a sua volta a un intellettuale più in vista, Max Jacob. E Max Jacob ne è talmente entusiasta da presentare Raymond a Jean Cocteau, l’intellettuale più in vista del tempo, il vero arbiter elegantiarum della cultura francese del momento.

Sotto, Jean Cocteau nel 1923:

Cocteau intuisce anche lui il talento del ragazzino sedicenne ma va anche oltre. Essendo gay, si innamora perdutamente di lui. Raymond sembra ricambiarlo e i due vanno a vivere insieme, se così si può dire, alloggiando nei piccoli alberghi della Madeleine e passando molto tempo a Montmartre, ossia nei luoghi frequentati dagli artisti come Modigliani (che gli dipinge anche un ritratto), Picasso, Braque, Soutine, ecc. (i parenti di Radiguet credono ingenuamente che i due siano solo grandi amici). A Raymond però non piacciono solo gli uomini ma anche le donne, anzi gli piacciono decisamente più degli uomini, e avrà parecchie brevi relazioni con ogni genere di ragazze, facendo soffrire molto Cocteau, che invece avrà sempre nei suoi riguardi un atteggiamento affettuoso e protettivo. Anche quando Raymond lo tradisce con lo scultore romeno Constantin Brancusi, insieme al quale va in vacanza in Corsica via Marsiglia.

Sotto, Raymond Radiguet ritratto da Amedeo Mogliani:

Image Hyperlink Example VANILLA MAGAZINE

Image Hyperlink Example VANILLA MAGAZINE

Certi dettagli possono far credere che Radiguet sia un istrione, uno che cerca la fama a tutti i costi. Invece è un ragazzo riservato e sempre dedito alle sue letture, che odia sia il cliché dell’artista precoce (a chi lo interroga al riguardo, dichiara molti più anni della sua età), sia quello del poeta maledetto.

Cocteau lo aiuta a pubblicare e diffondere, nel 1920, la raccolta delle sue poesie, “Les joues en feu” (“Le gote in fiamme”). Grazie a una buona promozione di pubblicità e recensioni favorevoli, in tempi in cui la poesia è un genere letto da tutte le classi sociali, Raymond si ritrova a guadagnare belle cifre di royalties e si rende economicamente indipendente.

Ma non sarà quest’opera a consegnarlo alla fama universale, bensì un romanzo, che comincia a scrivere proprio a sedici anni, nel 1919, e sarà pubblicato quando lui ne ha venti, nel 1923.

Il romanzo è “Il diavolo in corpo” e la sua genesi è stata indagata da innumerevoli biografi, per cui oggi possiamo dire di sapere come nacque.

Image Hyperlink Example VANILLA MAGAZINE

Radiguet e i suoi fratelli minori avevano una babysitter, una ragazza carina ma piuttosto sempliciotta di nome Alice, nata nel 1890. Questa ragazza, a un certo punto, divenne l’amante del padre di Radiguet. Raymond sorprese il padre a baciarla durante una passeggiata e reagì concependo una forte passione per lei. Ormai mollata da Maurice Radiguet, la ventisettenne Alice trovò lusinghiero l’interesse del quattordicenne Raymond nei suoi riguardi. I due probabilmente divennero amanti. Dobbiamo dire per forza “probabilmente” perché non c’è nessuna prova definitiva di questo, anche se la maturità con cui Radiguet tratta nel suo romanzo delle relazioni amorose fa pensare che ne avesse già una diretta e importante esperienza quando lo scrisse. In altri termini, “Il diavolo in corpo” non è la trascrizione di una serie di fantasie erotiche di un giovane nerd ma una vicenda palesemente ispirata a una vera storia d’amore.

Image Hyperlink Example VANILLA MAGAZINE

Benché il romanzo si concentri soprattutto sugli aspetti sentimentali di questo strano rapporto tra un ragazzo e una donna adulta, tratta della loro intimità in modo estremamente delicato e sfumato (a ulteriore riprova non solo del talento ma anche della maturità dell’autore).

Quando se ne va a Parigi con Cocteau, però, Raymond ha già mollato Alice e non vorrà più avere a che fare con lei (la vedrà solo una volta, appena pubblicato il libro, per restituirle un prestito di 50 franchi). Tuttavia, a Saint-Maur, Alice sarà sempre oggetto di pettegolezzi per la storia del libro, pettegolezzi che faranno perdere la testa al marito Gaston (che era già fidanzato con lei ma si trovava al fronte a combattere nel 1917, al tempo delle storie con i due Radiguet). Gaston, ossessionato dalla gelosia, rende il matrimonio un inferno, la povera Alice finisce spesso in ospedale per le percosse e una volta perfino con un braccio rotto, morendo infine nel 1952. Due anni dopo, ancora preda delle sue ossesioni, Gaston fa il giro degli editori con la pretesa di pubblicare una sua versione dei fatti consistente in una copia di “Il diavolo in corpo” annotata da lui stesso punto per punto, ma nessuno gli dà il minimo credito.

La critica loderà la sobrietà della prosa di Radiguet, ma anche la sua lucidità che lo rende uno dei maggiori moralisti del suo tempo anche se la sua vita e la sua opera possono far credere il contrario; la storia del ragazzo senza nome (sullo schermo si chiamerà Francois) e della sua amante adulta Marthe diventerà nel 1947 un film di enorme successo, diretto da Claude Autant-Lara e interpretato da due stelle di prima grandezza come Gérard Philipe e Micheline Presle. La scelta degli attori non è proprio coerente con il libro (sono coetanei, entrambi nati nel 1922) ma la bravura di Philipe fa passare in secondo piano la sua improbabilità nei panni di un adolescente.

Sotto, un breve estratto del film del 1947:

Più tardi, nel 1986, ci sarà un remake italiano diretto da Marco Bellocchio che, sotto l’influenza dello psicanalista Massimo Fagioli, stravolgerà il testo inserendo riferimenti ai problemi di attualità come il terrorismo e sequenze ad alto tasso erotico, che faranno scattare il divieto ai minori di 18 anni.

Ma Radiguet non vedrà mai tutto questo, così come non saprà mai che il suo libro viene finalmente tradotto in Italia solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, perché i censori fascisti lo consideravano troppo scandaloso e diseducativo. Il successo del suo libro di poesie, con il romanzo, si rinnova moltiplicato. L’editore Grasset lo lancia con una campagna all’americana, proponendo filmati pubblicitari negli spettacoli che precedono le proiezioni cinematografiche (le “Actualités” della casa produttrice Gaumont). Il libro va a ruba e Radiguet diventa veramente ricco.

Ma si godrà ben poco questa fortuna

Negli ultimi tempi, come presagendo un destino infausto, si dedica furiosamente al riordino delle sue carte, in mezzo alle quali ci sono un altro romanzo (“Il ballo del conte d’Orgel”, che non avrà lo stesso successo del precedente ma riceverà comunque una unanime approvazione da parte della critica), vari racconti, altre poesie, alcuni brevi saggi e perfino una commedia, “Le Pélican”. Tutto preso dalla smania del lavoro, frequenta anche di meno gli amici artisti.

Sotto, Radiguet e Jean Cocteau:

Poi, il destino ineluttabile si compie. Da qualche parte, durante un breve viaggio compiuto per distrarsi insieme a Cocteau, mangia qualcosa di infetto e si ritrova ammalato di febbre tifoide (la lista di celebrità morte in quel periodo per infezioni che oggi si curerebbero tranquillamente con gli antibiotici o si preverrebbero con le vaccinazioni è lunghissima), per cui Cocteau lo fa ricoverare in una prestigiosa clinica, dove riceve le migliori cure possibili del tempo. Ma, il 9 dicembre 1923, nel delirio della febbre, Radiguet esclama improvvisamente:

Devo dirti una cosa terribile: fra tre giorni sarò fucilato dai soldati di Dio

Cocteau tenta di rassicuralo, ma Radiguet insiste: “Le mie informazioni sono migliori delle tue. L’ordine è stato dato, l’ho sentito con le mie orecchie”.

Raymond Radiguet muore proprio il 12 dicembre 1923, come aveva previsto, lasciando affranto Cocteau e addolorati tutti i suoi amici e i suoi tantissimi ammiratori. Ha soltanto venti anni e mezzo. Ai suoi funerali (dove un amico, dopo aver visto la salma, dirà: “Non ho mai visto una faccia altrettanto disperata, orrendamente delusa, terrificante…”) saranno presenti tutti i più importanti artisti francesi, ma anche altre celebrità come Coco Chanel.


Pubblicato

in

da