Ratline: la Via di Fuga dei Nazisti verso il Sud America

Ratline, la “via dei topi”: già il nome, mutuato dal gergo marinaresco, è emblematico. La ratline (in italiano grisella), una corda che arriva in cima ai pennoni di una nave, è l’ultima via di scampo dei topi in caso di naufragio, prima di essere inghiottiti dal mare.

Ma ci sono topi e topi, e capita anche, alle volte, che qualche ratto più fortunato riesca a scamparla. Nell’immediato dopoguerra, e per qualche anno a venire, migliaia di feroci ratti riescono a scappare, non da una nave che affonda, ma da una Germania sconfitta e devastata, attraverso un diversificato sistema di vie di fuga, chiamato appunto ratline: sono gerarchi e funzionari nazisti, ma anche collaborazionisti dei paesi occupati, e ustascia croati (nazionalisti cattolici di estrema destra) che, grazie a insospettabili complicità, riescono a raggiungere un “porto sicuro”, in Argentina principalmente, dove sono accolti a braccia aperte dal Presidente Juan Peron, e poi in Paraguay, Brasile, Cile, Bolivia, e anche negli Stati Uniti.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Le vie di fuga utilizzate sono due: una parte dalla Germania per arrivare nella Spagna franchista, dove i fuggiaschi si imbarcano verso l’America, e l’altra, partendo sempre dalla Germania, arriva a Genova, dove viene sempre garantito un passaggio via nave.

La ratline ha anche un altro nome, se vogliamo assai più inquietante:

La via dei Monasteri

Più inquietante perché spiega come la fuga di migliaia di criminali di guerra sia stata agevolata e organizzata anche grazie a una presumibile connivenza del Vaticano, o almeno una parte di esso, e con il beneplacito degli Stati Uniti, che sono a conoscenza della ratline.

Alois Hudal

Immagine via Wikipedia – Giusto Uso

Uno dei principali artefici della salvezza dei nazisti è il vescovo austriaco Alois Hudal, un sostenitore di Hitler della prima ora, mentre degli ustascia si occupa un altro prelato, il croato Krunoslav Stjepan Draganović, molto vicino al dittatore e criminale di guerra Ante Pavelić, che a Roma è, dal 1943, segretario dell’Istituto Croato di San Girolamo.

Ante Pavelić

Immagine di pubblico dominio

Tutto ha inizio prima della fine della guerra, quando molti gerarchi nazisti e gli industriali tedeschi sono ormai consapevoli che tutto è perduto. Il 10 agosto 1944, a Strasburgo, avviene un incontro decisivo tra numerosi esponenti di primo piano del nazismo e noti quanto importanti industriali e banchieri tedeschi. I presenti sono consapevoli che la guerra è ormai persa, e cercano una strada per non rimetterci la pelle e nemmeno i capitali accumulati. I gerarchi acconsentono allo spostamento di ingentissime somme di denaro, che diversamente sarebbero state confiscate dai vincitori, verso paesi “neutrali”, come Svizzera, Spagna, Argentina, Turchia. In cambio, gli industriali garantiscono supporto economico ai nazisti in fuga. E’ in sostanza la nascita di un’organizzazione che per molto tempo è sembrata solo un racconto di finzione: ODESSA (acronimo, in tedesco, di Organizzazione degli ex membri delle SS).

Krunoslav Stjepan Draganović

Immagine via Wikipedia – Giusto Uso

Un paio di mesi prima della fine della guerra è addirittura il potentissimo Heinrich Himmler (che poi, dopo la cattura, morirà suicida) a incaricare un giovane ufficiale delle SS, Carlos Fuldner, tedesco nato in Argentina, dell’organizzazione della fuga di quanti più nazisti possibile. E lui ci si mette d’impegno, tanto che nel 1946 diventa il direttore della DAIE (Dirección Argentina de Immigración Europea), che ha sede a Genova. Dal suo ufficio partono le liste dei nomi delle persone da accogliere, esaminate a Buenos Aires da un’organizzazione vicina al Presidente Peron e all’episcopato, diretta guarda caso da un criminale di guerra belga, Pierre Daye. Dalla capitale argentina quindi partono i visti d’ingresso, corredati dalle fotografie dei richiedenti, identificati con nomi ovviamente falsi. Nella rete di sostegno ai nazisti, per procurare documenti falsi, spiccano i nomi del presidente della Croce Rossa Internazionale dell’epoca, il cardinale argentino Antonio Caggiano, forse del cardinale Siri, che è vescovo a Genova in quegli anni, ma soprattutto del vescovo Alois Hudal, il principale imputato di un processo che non è mai avvenuto.

1947, il Comitato della Croce Rossa Internazionale di Roma rilascia un documento di viaggio a un croato in fuga dall’Europa per l’Argentina

Immagine di Huddyhuddy via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Hudal è ferocemente antibolscevico, fermamente convinto della necessità di frapporre un baluardo tra l’Unione Sovietica e l’Occidente. Hitler è proprio quello che ci vuole…

Antisemita convinto, abbraccia le idee del Fuhrer già nel 1933, e nel 1937 pubblica il libro I fondamenti del nazionalsocialismo, dove si mostra entusiasta del regime tedesco. A Roma, dove dirige la congregazione austro-tedesca di Santa Maria dell’Anima, dopo il 1938 viene in qualche modo messo da parte, ma intanto lui stringe amicizia con il capo dell’intelligenza tedesca, Walter Rauff, inventore dei camion-camera a gas, che poi sarà uno dei criminali fuggiti, grazie a lui, prima in Siria e poi in Cile.

Walter Rauff

Immagine di pubblico dominio

Non è secondario il fatto che Rauff venga protetto da tutti i governi che si succedono in Cile, da quelli di destra a quelli di sinistra, tanto che le richieste di estradizione arrivate da Israele, Germania Ovest, e Unione Europea non saranno mai accolte, e lui morirà a Santiago del Cile nel 1984, senza aver mai pagato per i suoi crimini.

Oltre a Rauff, scampano alla giustizia, tra gli altri

– Franz Stangl, comandante di Treblinka;

– Eduard Roschmann, responsabile del ghetto di Riga;

Josef Mengele, il famigerato dottor morte;

– Gustav Wagner, sergente delle SS a Sobibor;

– Alois Brunner, responsabile delle deportazioni da Francia e Slovacchia;

Adolf Eichmann, l’architetto dell’olocausto;

– Erich Priebke, l’artefice dell’eccidio delle Fosse Ardeatine;

– Klaus Barbie, soprannominato “il boia di Lione”;

– Gerhard Bohne, responsabile del programma di eutanasia per i disabili;

Klaus Barbie, foto sul documento falso di ammissione in Bolivia a nome Klaus Altmann, realizzato a Genova dal Consolato di Bolivia in Italia

Immagine di pubblico dominio

Hudal è orgoglioso della sua opera (si stima che grazie a lui personalmente un migliaio di nazisti siano riusciti ad espatriare), è convinto di aver fatto la “cosa giusta e quello che ci si sarebbe aspettato da un vero cristiano” perché “non crediamo nell’occhio per occhio degli ebrei”.

Definisce la ratline “un’associazione benefica per le persone bisognose, per le persone senza colpa che devono diventare capri espiatori per i fallimenti di un sistema malvagio”.

Eppure, Hudal non agisce certamente da solo. Il giornalista argentino Uki Goñi, autore del libro “Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón”  scrive:

“L’apertura dell’archivio post bellico della Croce Rossa ha finalmente messo la parola fine all’annosa questione se i criminali nazisti furono o meno aiutati dalla Chiesa Cattolica nella loro fuga in Argentina. Il confronto incrociato tra le informazioni in esse contenute e i documenti conservati in altri archivi americani, argentini e svizzeri, permette di costruire un quadro completo del consapevole coinvolgimento della Chiesa Cattolica nell’opera di salvataggio dei criminali di guerra”.

Saltano fuori i nomi del già citato Cardinale Siri, ma anche del Cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI, e di altri prelati, che delineano un quadro inquietante di quegli anni post-bellici.

Da parte della Chiesa Cattolica la spiegazione è invece un’altra: tutte quelle persone che chiedevano aiuto, magari accompagnate dalle famiglie, non potevano essere immediatamente riconosciute come criminali nazisti. Non si presentavano certo in divisa, ma con abiti modesti, gente povera in cerca di una vita migliore, che solo per carità cristiana è stata aiutata a ottenere documenti e visti per espatriare. Nessuna responsabilità dunque da parte di chi li aiutava nell’organizzato percorso di fuga dalla Germania all’Italia, dove ogni 50 chilometri c’era un “centro di ricezione”, e dei conventi ospitali disposti a nasconderli anche per molto tempo.

Sono comunque in molti, anche al di fuori della Chiesa, ad avere dei dubbi sulla reale esistenza dell’organizzazione Odessa. Qualche storico, come il tedesco Heinz Schneppen, propende più per l’idea di una responsabilità di singoli individui, senza nessuna connivenza del Vaticano.

Insomma, il capro espiatorio è il “vescovo bruno” Hudal, e gli altri sono tutti senza responsabilità, compresi gli Usa, che accolsero oltre 2000 nazisti con famiglie al seguito, pur di avere a disposizione scienziati utili al progresso del Grande Paese. Con buona pace di tutte le vittime della guerra e dell’olocausto.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.