“Yankee Doodle”, scritta nel XVIII° secolo, è una canzoncina che intere generazioni di americani hanno cantato, e continuano a cantare, probabilmente senza conoscere il significato di alcune strane parole.
Anche se la canzone, accompagnata da un’allegra melodia, viene considerata negli Stati Uniti un inno patriottico, è in realtà una presa in giro, da parte degli inglesi, dei rozzi coloni americani, molti dei quali discendevano da emigrati olandesi, chiamati appunto Yankee.
Chi non conosce il contesto in cui fu composta, può facilmente esser tratto in inganno dalla prima strofa, che sembra descrivere un uomo americano che confonde una piuma con un tipo di pasta:
Yankee Doodle went to town
A-riding on a pony,
Stuck a feather in his cap
And called it macaroni
Yankee Doodle andò in città
A cavallo di un pony,
Attaccò una piuma sul cappello
E lo chiamarono “macaroni”
La canzone contiene dei termini non inglesi, mutuati dalle lingue dei diversi coloni: Doodle è una parola di origine tedesca che può essere tradotta in “sempliciotto – scemotto”, mentre macaroni, termine che usualmente indica un tipo di pasta, fa qui riferimento ad una moda che si diffuse intorno al 1760 tra gli aristocratici britannici.
Al ritorno dal Grand Tour (un viaggio compiuto dai nobili rampolli britannici attraverso l’Europa continentale, con lo scopo di approfondire la cultura classica), i giovani inglesi portarono in patria una moda fatta di grandi parrucche e abiti aderenti, insieme ad un debole per gli allora poco conosciuti maccheroni italiani, i “macaroni”, termine che divenne il loro soprannome, assumendo un significato più ampio. Per potersi definire macaroni, un uomo doveva essere sofisticato, di classe superiore, e mondano.
In “Yankee Doodle” quindi, gli inglesi stavano prendendo in giro ciò che percepivano come la mancanza di classe degli americani. Il primo verso è satirico perché un sempliciotto pensa di poter essere un macaroni alla moda semplicemente attaccando una piuma sul cappello.
Ma ciò che è interessante, è la velocità con cui i macaroni caddero in disgrazia, e come, nell’arco di un decennio, una parola che prima definiva una persona dall’eleganza raffinata, divenne sinonimo di un’eccessiva femminilità maschile. Inizialmente le grandi parrucche e i vestiti attillati, divenuti simbolo di uno status sociale, erano considerati un po’ effeminati, ma accettabili. Ma dal 1770, quando questa moda si diffuse al di fuori dell’aristocrazia, le caratteristiche femminili si amplificarono, tanto che la parola cambiò di significato: da uomo sofisticato a persona che ha superato i limiti ordinari della moda, sinonimo di ridicolo, per la singolarità eccessiva del suo abbigliamento.
L’emulazione, da parte dei macaroni, di molti aspetti tipici della moda femminile, li fece diventare bersaglio di commenti poco benevoli: “di genere dubbio”, “ermafroditi” “creature anfibie”. L’Oxford Magazine descrisse i macaroni come persone non appartenenti ad un genere definito: “Vi è una sorta di animale, né maschio né femmina, una cosa di genere neutro, che ultimamente vive tra noi. Si chiama macaroni. Parla senza senso, sorride senza divertimento, mangia senza appetito, cavalca senza esercizio, è giovane senza passione.”
Non sempre queste critiche tendevano ad insinuare una tendenza omosessuale dei macaroni, a volte volevano solo rimarcare un loro generico rifiuto dei comportamenti tradizionalmente maschili, come frequentare pub e circoli.
La ridicolizzazione dei macaroni, attraverso popolarissimi disegni satirici, fece diffondere l’uso della caricatura come strumento di critica sociale. Ma anche se la loro stravaganza urtava le persone “normali”, in fondo venivano considerati dei coraggiosi, che riuscivano ad essere liberi da molti condizionamenti sociali.
La moda dei macaroni finì attorno al 1780, e le uniche testimonianze di questi primi ribelli ai ruoli di genere ci arriva solo attraverso le loro caricature, che probabilmente esasperavano una tendenza forse non così trasgressiva.