Fin dai tempi più antichi, la pirateria ha sempre costituito un problema per la sicurezza della navigazione e, in epoca romana, i pirati avevano le loro basi un po’ in tutto il Mediterraneo, ma i più temuti erano quelli di Illiria, della Cilicia, dell’isola di Creta e delle Baleari.
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Roma, grande potenza militare di terra, se non con qualche sporadica campagna, fino al I secolo a.C., non prese mai seri provvedimenti contro i pirati; anzi, in alcune occasioni se li fece addirittura alleati, come accadde, ad esempio, durante la prima guerra punica (264-241 a.C.).
La situazione nel Mediterraneo
Con la caduta di Cartagine e il declino dei regni ellenistici, nel Mediterraneo non era rimasta una forza navale in grado di contrastare i pirati: i romani, che non amavano combattere per mare, spesso distruggevano le flotte dei popoli che conquistavano. Allo stesso tempo, anziché tentare di contrastare la pirateria, Roma faceva affari con i briganti del mare, in particolare per rifornirsi di schiavi.
I pirati catturavano spesso le navi che trasportavano merci, prendendo come prigionieri i membri dell’equipaggio, solitamente portati sull’isola greca di Delo, centro di smistamento del commercio di schiavi. Da lì, finivano a lavorare per la nobiltà romana, che certo non voleva rinunciare a questa manodopera a costo zero.
Quando, però, i pirati arrivarono ad attaccare le coste italiane, sbarcando in Sicilia, Puglia, Campania e Ostia, diventarono un pericolo per l’economia romana, ostacolando gli scambi commerciali e mettendo a rischio anche gli approvvigionamenti alimentari. Il senato decise di promulgare la Lex Gabinia, che affidava a Gneo Pompeo il compito di sgominare la pirateria e, nel 67 a.C., l’ex console iniziò la sua campagna.
La guerra lampo di Pompeo
A sostenere la nomina di Pompeo c’era anche Giulio Cesare, che qualche anno prima, nel 74 a.C., era stato preso in ostaggio dai pirati della Cilicia. In realtà, Cesare voleva allontanare da Roma un suo avversario politico molto amato dal popolo e, al contempo, alcuni senatori erano spaventati dall’eccessivo potere conferito a Pompeo. In effetti, con un incarico della durata di tre anni, Pompeo otteneva il totale controllo sul mare, ma anche sulle zone costiere fino a 70 chilometri nell’entroterra, un accesso non controllato al Tesoro pubblico e una flotta che doveva contare 500 navi, poi ridotte a 200.
Pompeo riuscì a debellare la piaga della pirateria, non nei tre anni previsti, ma in appena tre mesi. Dopo poche battaglie, ridusse alla ragione i rivoltosi, e non fu spietato come Cesare, che aveva crocifisso i suoi rapitori: trasformò i banditi del mare in contadini, dando loro delle terre da coltivare in regioni dell’impero poco popolate.
Così scrive Plutarco, in un passo della Vita di Pompeo (compresa nelle Vite Parallele), che potrebbe servire da insegnamento politico ancora oggi:
«Riflettendo, dunque, che per natura l’uomo non è e non diventa un selvaggio o una creatura asociale, ma viene trasformato dalla pratica innaturale del vizio; laddove può essere ammorbidito da nuovi costumi grazie al cambiamento di luogo e di vita, allora, se perfino le bestie feroci possono spegnere il loro modo di essere feroce e selvaggio quando queste vivono in modo più dolce la vita, [Pompeo] decise di trasferire gli uomini dal mare alla terra, permettendo agli stessi di vivere in modo più dolce la vita, in città e coltivando la terra».
Molti dei pirati che non avevano affrontato delle battaglie si consegnarono spontaneamente a Pompeo, del quale implorarono il perdono, ed egli li destinò principalmente a popolare numerose città dell’attuale Turchia e Grecia, deserte a causa di precedenti guerre o saccheggi. La piaga della pirateria era debellata, molti dei rivoltosi furono inclusi nei confini dell’Impero, diventando una risorsa utilissima e fedele, anziché un nemico da temere.