La Repubblica di Venezia, tanto celebre per il modo imparziale con il quale amministrava la propria giustizia, ha conosciuto alcuni casi peculiari in cui l’aggettivo superlativo “Serenissima” non si è rivelato del tutto appropriato. Questo è certamente il caso di Pietro IV Candiano, Doge della Repubblica dal 959 al 976, che fu tremendamente ucciso con il figlioletto l’11 Agosto del 976. E’ una storia ormai dimenticata, il Doge “maledetto” più famoso è certamente Marin Faliero, che addirittura si è meritato un panno nero nella sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale, ma è una storia che vale la pena raccontare, un intrigo di palazzo di oltre 1.000 anni fa risolto in modo spiccio a furor di popolo.
Durante il X secolo ci rimane notizia di sole due condanne a morte, una quella di Pietro IV Candiano e una nei confronti di 132 suoi complici l’anno seguente, nel 958. In confronto alle decine e decine dei secoli più mortiferi, dal ‘400 alla metà del ‘700 circa, praticamente nulla, ma queste due sono state particolarmente significative.
E allora passiamo alla parabola terrena di Pietro IV Candiano, che nasce in un anno imprecisato del X secolo a Venezia, figlio di Pietro III Candiano, doge a sua volta. Come sempre accade per l’epoca medievale non sappiamo nulla di lui prima della sua discesa in politica, che avviene nel 958, quando affianca il padre al governo della città. Pietro III si fa affiancare dal figlio al governo, una prassi diffusa all’epoca, ma lo fa con un’operazione di acclamazione di popolo, il che legittima l’operato del doge in carica. Pietro IV però è irrequieto, molto meno moderato del padre. Da subito stringe alleanze con le potenze dell’epoca, il Regno d’Italia, Bisanzio, il Sacro Romano Impero e Regno dei Franchi, per favorire i commerci di Venezia.

In quel periodo c’è un grande Re, Ottone I “il Grande”, che sarà sia Re dei Franchi sia Imperatore dei Romani, con cui è importante intrattenere rapporti, ma c’è anche Berengario II, Re d’Italia, che è confinante con Venezia. I dogi sono quindi attorniati da vicini potenti, molto più di loro, con cui devono riuscire a intrattenere rapporti favorevoli per la loro attività principale: il commercio.
Pietro III aveva raggiunto alcuni importanti successi per Venezia. Era riuscito a rafforzare i confini, che avevano la funzione di fornire approdi sicuri ai commercianti in entrata e uscita da Venezia, e ad arginare il problema della pirateria in Adriatico. Pietro IV però è più agguerrito. Non sappiamo con precisione perché tenta di rovesciare il padre per prendere il potere per sé, forse solo ambizione personale, più probabilmente alimentata da ingerenze estere, ma sappiamo quando avviene la rivolta, nel 959, e sappiamo che dopo di questa Pietro III avrebbe potuto far condannare a morte il figlio. Il Doge in carica, salvato dalla congiura a furor di popolo, grazia Pietro IV e lo condanna semplicemente all’esilio. Pietro è tutt’altro che intimidito dal fallimento della rivolta contro il padre.

Trova rifugio presso la corte di Berengario II, Re d’Italia, ma non si limita a rimanere a palazzo. Scende in campo contro il Duca di Spoleto e Camerino, Tebaldo II, al fianco del figlio di Berengario, Adalberto, e del Duca di Toscana, Uberto. Poi ottiene il comando di sei navi militari da Ravenna e attacca sette navi veneziane che erano ancorate sul fiume Po di Primaro, Padus Primarius lo chiamavano all’epoca, e le confisca in nome del Regno d’Italia. Insomma è tutto fuorché impaurito dalla reazione di Venezia, dove ancora è doge suo padre.
Ma Pietro III muore nel giro di pochissimo tempo dopo la congiura, solo due mesi e mezzo, chissà per quale causa, noi questo non lo sappiamo. Venezia si trova nella condizione di dover eleggere un nuovo Doge appena due mesi e mezzo dopo aver sventato una congiura fra padre e figlio. Quando era partito Pietro IV era stato dichiarato solennemente che “numquam… eum ducem haberent – non lo avrebbero mai… avuto come Doge”. Eppure succede l’inaspettato:
La Serenissima richiama a capo del governo proprio Pietro IV Candiano
Le ragioni di questa retromarcia sono a noi sconosciute, possiamo solo fare delle ipotesi. Forse il Re d’Italia, Berengario II, era riuscito a mettere una tale pressione su Venezia da far riaccettare Pietro come capo del governo. Forse sono i suoi fratelli, tutti in posizioni di potere, a far riammettere Pietro a Palazzo Ducale, chissà. Sia come sia Pietro concepisce il dogato in modo diverso dal padre. Arriva a capo di una flotta di 300 navi, andate a prenderlo a Ravenna per scortarlo in città, e pretende un giuramento di fedeltà dai patrizi veneziani, qualcosa di inaudito sino a quel momento.
Poi inizia a muoversi in politica estera. Nel 960 Re Berengario II è in conflitto contro Ottone I, e Pietro IV muove le pedine per come soffia il vento. Ripudia la moglie Giovanniccia, la spedisce come monaca nella chiesa di S. Zaccaria, e allontana da Palazzo anche il figlio, Vitale, che sarà poi promosso patriarca della città di Grado. Ora questa circostanza potrebbe sembrare cinica, ma forse non è come sembra. Giovanniccia Candiano (certo che a nomi potevano sforzarsi di far qualcosa in più) era già stata sposata in passato e, solo dopo aver divorziato, aveva sposato Pietro. Finché Pietro non era Doge non c’erano stati problemi, ma dovendo guidare la Serenissima una dogaressa divorziata non era più accettabile, e Pietro IV probabilmente è costretto a ripudiarla dalle circostanze. Io un po’ me lo immagino Pietro, mentre va a trovare Giovanniccia a San Zaccaria, a due passi da Palazzo Ducale, mentre le ruba qualche bacio proibito fra i corridoi che portano alla sagrestia..
Ma torniamo a noi. Dopo aver ripudiato Giovanniccia sposa Waldrada, figlia del duca di Toscana Uberto e di Willa, prima cugina di Adelaide, moglie dell’Imperatore Ottone I. Noi moderni potremmo farci fuorviare e queste potrebbero sembrare parentele alla lontana, ma all’epoca tali legami ponevano Pietro nell’élite dei governanti europei di primissimo piano, con al centro dei traffici marittimi Venezia e il suo Doge, imparentato con tutti i vicini più potenti.

Waldrada porta in dote possedimenti e ricchezze, ma anche uomini, fidati soldati al servizio personale del Doge, con i quali Pietro tiene sicuri i suoi possedimenti sulla terraferma e mantiene l’ordine fra le calli e le fondamenta di Venezia.
Ottone I nel 961 riesce ad avere ragione di Berengario, lo esilia in Germania e prende per sé anche la corona di Re d’Italia. In questo contesto Pietro potrebbe addirittura aver aiutato Ottone a sconfiggere le forze di Berengario, quello stesso Re che l’anno precedente era riuscito a farlo tornare a capo di Venezia. Queste naturalmente sono tutte ipotesi, illazioni che noi moderni facciamo per spiegare le mosse politiche dei protagonisti della storia, fonti scritte purtroppo non ce ne sono. Secondo un altro studioso, Carlo Guido Mor, le cose andarono diversamente, e Pietro IV smise di appoggiare Berengario molto dopo la proclamazione a Imperatore dei Romani di Ottone. Purtroppo la verità, dopo tutto questo tempo, ci sfugge.

Sia come sia, Pietro IV dopo il 965 circa si trova certamente in una posizione di vantaggio. Deve avere rapporti solo con Ottone I, con il quale è di famiglia grazie a Waldrada, e con Bisanzio a Oriente. Ma questi alleati pongono condizioni severe a Venezia in cambio di concessioni alla famiglia di Pietro IV Candiano, che a lungo andare indispettiscono i veneziani e portano a un tragico epilogo.
La pagina di Treccani dedicata all’argomento è lunghissima e ben documentata, io preferisco riassumere. I bizantini impongono notevoli limitazioni al commercio dei veneziani con gli arabi. Impediscono loro di portare in Egitto o in Siria legno e ferro provenienti dall’Istria, dalla Dalmazia, dalla Stiria e dal Tirolo, e naturalmente ai veneziani questo causa un danno enorme in termini economici. Ottone I da un lato riduce i possedimenti veneziani sulla terraferma, si appropria di zone a sud di Chioggia e a nord di Venezia, stringendo il territorio sotto il controllo veneziano, mentre dall’altro concede territori e influenze a Pietro IV e ai suoi parenti, prima di tutti il figlio di primo letto, Vitale, a capo di Grado e riconosciuto come capo di tutte le chiese venete.
Il fratello di Pietro, che si chiama Vitale come il figlio avuto da Giovanniccia (non avevano troppa fantasia coi nomi all’epoca) riceve il possesso dell’Isola d’Istria, vicino a Capodistria. Anche l’ex moglie Giovanniccia, sempre confinata a San Zaccaria ma secondo me ancora amante di Pietro, riceve delle terre da Ottone I, il che fa capire quanto la rete di parentele di Pietro sia grande da soddisfare. Ottone I impone anche la quadragesima ai mercanti veneziani, una tassa dell’1,5% sul commercio che ovviamente manda su tutte le furie la classe dirigente di Venezia.
Siamo nel 976, la misura per i ricchi veneziani, che vedono minacciati i propri traffici dagli interessi personali del Doge, è colma. Pietro IV è arroccato a Palazzo Ducale, protetto da un drappello di fedeli provenienti dal Regno d’Italia. Non immaginiamo il palazzo come è ora, all’epoca era tutt’altro. In primo luogo era stato costruito su un terreno di proprietà personale del Doge, esattamente dove sorge ora, ed era più un castello che un palazzo. Aveva torri di avvistamento e una specie di fortificazioni in pietra, anche se purtroppo non sappiamo con precisione come fosse fatto. Il doge quindi è arroccato all’interno e non vuole saperne di uscire, e costringe i veneziani a una “cura” estrema:
Appiccare il fuoco a Palazzo ducale
Le fiamme si alzano, avvolgono la fortezza di Pietro e lo costringono a uscire. Prova a uscire da una porticina laterale, verso la Chiesa, ma le fiamme hanno chiuso l’accesso, ed è costretto a tornare sui sui passi. Alla fine esce nella zona di piazzetta dei Leoni. Qui si consuma il massacro. Pietro IV Candiano cammina fra la folla di veneziani inferociti che vogliono linciarlo, fra cui riconosce molti suoi parenti. Si inginocchia, supplica di aver salva la vita, ma viene trucidato, fatto a pezzi nel modo peggiore possibile. Dopo di lui esce la balia che aveva in braccio il piccolo Pietro, frutto dal matrimonio con Waldrada. Il bambino viene smembrato senza pietà, un linciaggio di una ferocia inaudita contro un innocente. I cadaveri vengono portati al mattatoio e poi sepolti nel monastero di Sant’Ilario, vicino Mestre e in prossimità di proprietà dei Candiano stessi, grazie all’intercessione di Giovanni Gradenigo.

Durante l’incendio di Palazzo Ducale vengono distrutte circa 300 abitazioni, le chiese di San Marco, di San Teodoro e di Santa Maria Zobenigo. Da quell’incendio nascerà il nucleo architettonico della moderna Basilica di San Marco e di Piazzetta dei Leoni, quindi Palazzo Ducale e Piazza San Marco, una rinascita per Venezia che la porrà al centro dei commerci marittimi del Mediterraneo per i successivi Secoli.
La Serenissima però avrà altri dogi legati ai Candiano. Subito dopo Pietro c’è spazio per Pietro I Orseolo, che dura due anni, poi arriva Vitale Candiano, la cui parentela però non è certa. Forse era il figlio che Pietro aveva avuto con Giovanniccia, forse il fratello e forse non aveva legami se non alla lontana, noi questo non lo sappiamo. Sia come sia Vitale dura solo un anno circa e abdica. Al suo posto sale Tribuno Memmo, Doge per ben 12 anni circa, che era genero di Pietro IV Candiano da quando aveva sposato la figlia Marina.

A Venezia la famiglia Candiano era talmente ben radicata che per i Patrizi era impossibile non avere ai vertici uno di loro. Anche se poi poteva accadere che se ne pentissero, come nel caso di Pietro IV, e tutto finisse in un massacro.