Piero e Sara: gli “altri” sventurati Amanti delle Marche

A due passi dalle meravigliose grotte di Frasassi, aggrappato al suo bel poggio nel territorio comunale di Genga, se ne sta un piccolo e grazioso borgo chiamato Pierosara. Nome piuttosto bizzarro per un abitato, non c’è che dire. E si fa ancor più strano se si pensa che il toponimo originale era quello di Castel Petroso, appellativo decisamente più calzante per un luogo messo lì quasi per una sfida, circondato com’è da una natura tanto magnifica quanto ostile, e per giunta nato come avamposto militare.

Sotto, veduta di Pierosara, fotografia di Samu80 via Wikipedia:

E come mai, allora, questo cambio di nome? E’ presto detto.

Quando si parla di Marche e si infilano nel discorso le parole castello e amore, la mente di chi ascolta corre veloce verso Gradara e la storia di Paolo e Francesca. Ma gli amanti resi celebri dal racconto che ne fece Dante nella sua Divina Commedia non furono gli unici marchigiani portati inesorabilmente dalla passione a rendere l’anima a Dio prima del tempo.

Fu infatti una vicenda d’amore e di morte a far sì che il borgo fortificato prendesse a esser detto Pierosara. Un cambiamento, questo, voluto dagli abitanti del posto per non far scivolare via dalla memoria due loro concittadini – Piero e Sara, appunto – ai quali solo il sonno eterno a cui li costrinse il capriccio d’un prepotente poté impedire le nozze.

Certo, il ricordo di Piero e Sara è affidato al racconto orale che le generazioni precedenti tramandano alle successive, e non agli elaborati versi di un sommo poeta. E’ altresì vero che la storia ha per protagonisti due ragazzi del popolo e poco ha dei gioielli, dei libri e delle preziose vesti che tanto spazio trovano nelle fiabe. Non di meno, l’amore di Piero e Sara nulla ha di ché invidiare a quello dei più famosi vicini gradaresi.

E allora eccola, la storia di Piero e Sara.

In un giorno perso negli abissi del tempo, un dì da rintracciarsi verosimilmente attorno la metà del XII secolo, il Conte di Rovellone e alcuni suoi fidi cavalieri fecero la loro comparsa in quel di Castel Petroso. Scopo della missione, quello d’un sopralluogo al borgo che il nobile – nonché feudatario di Rotorscio – aveva tutta l’aria di volersi accaparrare per via della posizione dello stesso, una posizione favorevolissima che consentiva in un sol colpo di tener d’occhio le vallate dell’Esino e del Sentino.

I forestieri soppesarono attentamente ogni punto del castello, di forza o di debolezza che fosse, e poi si fermarono in un’osteria per consumare il pranzo. Nei discorsi nati attorno alla tavola, il conte dovette più volte giudicare portentoso il borgo fortificato che si accingeva ad acquistare. Ma qualcosa di ancor più formidabile fece capolino di lì a poco dal portone di una casa: era Sara, cui neppure gli stracci che adoperava per vestito riuscivano a sminuirne d’un grammo la bellezza.

La Torre di Pierosara, fotografia di Samu80 via Wikipedia:

Il Signore di Rotorscio, con la sicurezza conferita da titoli e nomea, non tardò a farsi avanti. La giovane rispose educatamente che si chiamava Sara e poi, volendo troncare sul nascere la sgradita conversazione, tentò di avviarsi verso il suo lavoro quotidiano. Ogni passo in avanti le veniva però impedito dall’uomo che, per altro, si faceva sempre più insistente. Finita la pazienza, Sara, tenendo gli occhi bassi, riferì al conte che non era affatto intenzionata ad approfondirne la conoscenza e che per di più era promessa sposa del compaesano Piero. Detto ciò, la ragazza si ritrasse in casa, convinta che il peggio fosse ormai passato.

A mangiare la foglia furono però le anziane del paese, insospettite prima dalla lunga e serrata corte del nobile e poi dal fitto chiacchiericcio che si era andato creando tra i cavalieri al suo soldo.

Le donne mandarono a chiamare alcuni bambini del paese e dissero loro di andare a giocare vicino gli uomini a cavallo, non prima però di averli messi in guardia e istruiti circa il vero scopo della missione:

Origliare

Il racconto riportato dai fanciulli alle madri e alle nonne che ne attendevano il ritorno non lasciava presagire nulla di buono: non solo il conte non si era arreso al rifiuto, il coraggio di Sara era addirittura riuscito a trasformare la piccola scintilla in fuoco ardente.

Il capriccio si era fatto principio

La truppa sarebbe tornata l’indomani mattina, quando gli uomini di Castel Petroso si sarebbero trovati presi nel lavoro dei campi, e avrebbero rapito la futura moglie di Piero. Forti delle informazioni fornite dagli scaltri marmocchi, gli abitanti del castello presero a organizzare la resistenza.

Non meno astuto era però il nobile

Non profittando degli obblighi della campagna, ma dei favori dell’oscurità, la soldataglia si intrufolò nel borgo dormiente e, tra le urla della famiglia, mise le mani su Sara. Piero, tuttavia, insonne e nervoso come un calcio di capra, ai primi rumori balzò a sprangare le uscite del borgo e corse di casa in casa chiedendo soccorso.

Sotto, veduta notturna di Pierosara, fotografia di Samu80 via Wikipedia:

Ben presto la piccola truppa, trovate chiuse le porte del castello, si vide costretta a dover fare i conti con una moltitudine di contadini armata di forconi e attrezzi buoni a spaccare teste e zolle. Per le strette vie divampò feroce la battaglia, caddero le spade e salde nelle mani rimasero le vanghe. Gli abitanti di Castel Petroso erano riusciti con ardore a difendere l’amore dei due giovani.

O almeno così parve loro in un primo momento

Al riaprirsi delle porte cittadine, i soldati sopravvissuti al diluvio di colpi fecero in modo di scomparire nella notte. Il conte, stordito ma vivo, si unì agli sbandati. Ma il tempo di qualche passo nella boscaglia gli fu sufficiente a soppesare il significato della parola sconfitta. E dovette trovarlo umiliante, così umiliante che il sangue prese a bollirgli nelle vene e non poté trattenersi dal tornare sui suoi passi per usare la spada sulla povera Sara.

Piero, distrutto dal dolore e cieco di rabbia, si gettò sull’assassino senza considerare l’arma che egli stringeva in pugno.

Ne finì trafitto

Lo sgomento che ne seguì consentì al conte di svanire nel nulla. D’altra parte, gli occhi erano tutti su quel ragazzo che, morente, stava tentando di trascinarsi fino al corpo esanime dell’amata.

Sotto, un dipinto di Giovanni Costetti raffigura Paolo e Francesca stretti in un abbraccio mortale, perfettamente interpretabile come adatto alla storia di Piero e Sara:

E’ così che ancora oggi vengono ricordati Piero e Sara, in un abbraccio d’amore e di morte che si prolunga da secoli. Un abbraccio così potente da dare nome a un paese.

Marco Toccacieli

Affatto incline a seguire il tempo imposto dallo spartito, ho abbandonato la carriera di musicista da osteria per seguire quella di libraio. I pochi attimi che non dedico a famiglia e lavoro li spendo per dire i luoghi e le storie dell’antico Ducato d’Urbino, per raccontare la mia terra a chi ancora possiede la capacità di lasciarsi stupire.